Idei libri del mese MARZ° 1998 ' Q)lUUcr Perché difendere l'indipendenza del pm SERGIO CHIARLONI Paolo Borgna, Margherita Cassano Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in Italia e in Europa pp. 205, Lit 30.000 Donzelli, Roma 1996 giudici e giustizia sono di moda da anni sulla scena delle polemiche pubbliche nel nostro paese. Ma il lettore di quotidiani non riesce a farsi un'idea equilibrata di fronte alle passioni scatenate da un dramma di cui non è facile capire l'intreccio. Il libro di Borgna e Cassano ha il grande merito di affrontare un'analisi dei rapporti tra magistratura e politica nel panorama europeo ben articolata e attenta anche alla storia. Un'indagine preziosa per orientarsi di fronte alle ambigue parole d'ordine garan-tismo-giustizialismo, escogitate dai media a contrassegnare le opposte tifoserie, promosse con alterne vicende nella società dello spettacolo a comporre il dissonante rumore di fondo che accompagna l'operato dei giudici. Con molta intelligenza e sensibilità i due autori, che sono magistrati del pubblico ministero, dedicano la loro fatica "a Piero Calamandrei e a Dante Livio Bianco, avvocati". E un segnale importante di reazione contro il conflitto endemico che da qualche anno vede contrapposti giudici e avvocati e che si è ultimamente aggravato, assumendo una valenza più esplicita rispetto al passato e, oserei dire, decisamente politica, con le due categorie sempre più spesso schierate su fronti opposti. Basti pensare a quanto è accaduto per la recente legge sulla custodia cautelare e, a posizioni invertite, per i provvedimenti urgenti sul processo civile, o allo sciopero proclamato pochi mesi fa dagli avvocati penalisti per influire sulle prossime scelte legislative. L'attenzione degli autori è, pour cause, concentrata sul processo penale. Il nucleo principale del libro consiste in una difesa appassionata, e tuttavia mai faziosa e anzi attenta alle ragioni avversarie, dell'indipendenza del pubblico ministero dal potere politico. Un imparziale e rigoroso controllo di legalità è, ovviamente, non solo richiesto dal principio di uguaglianza, ma rappresenta la precondizione per un assetto veramente democratico delle istituzioni. D'altra parte, come gli autori ci dimostrano con ampiezza di argomentazioni, imparzialità e rigore postulano l'assoluta indipendenza del giudice. Essa però si ridurrebbe a un vuoto simulacro se indipendente dal potere esecutivo non fosse anche il pubblico ministero, almeno in quegli ordinamenti giuridici dove gli è riservato il monopolio nell'esercizio dell'azione penale, come avviene in Italia. Ma l'indipendenza formalmente assicurata dalle norme non è sufficiente. Una delle parti più notevoli del libro è quella che affronta la domanda ricorrente circa la tardività con cui l'azione penale, da strumento quasi soltanto indirizzato a con- trollare i comportamenti devianti di strati marginali ed emarginati della società, si è orientata anche a colpire incisivamente e diffusamente delitti ascritti a indagati eccellenti, andando a scavate nel mondo segreto della corruzione pubblica e della complicità tra settori delle istituzioni e criminalità organizzata. La risposta è più interessante di quella oggi normalmente accreditata, a mio giudizio troppo astratta e banale per essere esplicativa, secondo cui i magistrati si sono mossi a distruggere il ceto politico di governo della prima repubblica approfittando di una sua particolare debolezza nel momento storico in cui si avviarono le prime inchieste milanesi. Borgna e Cassano mettono invece in rilievo 0 mutamento geneticq della magistratura, dovuto alla diversa base sociale del reclutamento, all'accesso per le donne, all'esaltazione dell'indipendenza interna con l'abolizione della carriera. Un mutamento venuto a compimento alla fine degli anni ottanta grazie alla promozione a posizioni di responsabilità di giudici nei, quali, scomparsa l'omogeneità culturale con i detentori del potere, era nata la consapevolezza della gravità di comportamenti criminosi inidonei a suscitare allarme sociale, ma proprio anche per questa ragione distruttivi per la vita associata. Gli autori si rendono beri conto che la difesa dell'indipendenza di un giudice organizzato in un corpo burocratico, senza alcuna forma di controllo popolare, introduce un paradosso nell'assetto democratico delle istituzioni. Da dove ricaverà 0 giudice la sua legittimazione? La risposta offerta è semplice: dalla sua preparazione culturale e dalla sua professionalità, in una parola dalla sua credibilità di fronte ai cittadini. Questa credibilità oggi spesso non esiste. Il concorso per l'accesso alla magistratura non risponde ad alcun criterio capace di controllare l'idoneità dell'aspirante ad amministrare la giustizia. Si vince in base alla fortuna. Bisogna possedere le nozioni necessarie a sviluppare il tema sorteggiato per gli elaborati scritti e qui conta la capacità di digerire enormi manuali assieme alla conoscenza della più recente giurisprudenza. Né nuoce, per non dimenticare un elemento fortemente distorsivo della trasparenza, l'iscrizione a qualcuna delle più note scuole private per la preparazione ai concorsi, talvolta inopportunamente gestite da magistrati o ex magistrati. Dopodiché non resta che affidarsi all'umore e al grado di attenzione dei componenti della commissione (o sottocommissione) giudicatrice al momento della lettura delle migliaia di temi da valutare. Qui avvengono le stragi, con la bocciatura di oltre il 90 per cento degli aspiranti. Agli orali la grande maggioranza dei candidati è promossa. Dopo la vittoria si en- tra con sicurezza pressoché totale (non risultano casi percentualmente rilevanti di uditori a cui non siano attribuite le funzioni) in una carriera non più sottoposta a controlli di merito. Grazie al cielo, le cose stanno cambiando, con la recente delega al governo per l'emanazione di decreti legislativi indirizzati a modificare la disciplina del concorso per l'accesso alla magistratura, attraverso l'istituzione di una scuola triennale di specializzazione. Borgna e Cassano approvano in linea di principio queste recenti novità non ancora compiutamente for- mulate e ci offrono un panorama molto ampio, che occupa buona parte del libro, dei complessi sistemi di reclutamento, selezione e formazione negli altri principali paesi dell'Europa continentale, dimostrando una spiccata preferenza per il sistema francese di preparazione autonoma e solitaria dei magistrati, in confronto a quello tedesco, che prevede una formazione congiunta di tutti gli operatori professionali del diritto. Per le conclusioni raggiunte, e soprattutto per l'ampiezza, l'obiettività, la persuasività delle argomentazioni portate a sostegno, la tesi centrale del libro merita pieno consenso. Nell'attuale assetto istituzionale del nostro paese e con l'attuale disciplina del processo penale la pubblica accusa deve godere, al pari dei giudici, di un'indipendenza assoluta nei confronti del potere esecutivo. Attenzione, però. Indipendenza N. 3, PAG. 37 non significa orgogliosa separatezza, splendido isolamento di. un ceto totalmente autoreferenziale di pubblici impiegati, unici responsabili del pubblico bene in una novella Castalia. Una concezione severamente rigorosa della preparazione professionale non basta di certo a evitare questo pericolo. Molti problemi, che il libro non affronta o affronta solo di sfuggita, rimangono aperti. Non è per esempio un mistero per nessuno lo stato di diffuso e profondo disagio dell'avvocatura per l'attuale situazione del processo penale, che non consente un pieno esercizio del diritto di difesa anche e soprattutto a causa di una situazione di mancata parità delle armi con l'accusa. Troppo sovente dobbiamo poi constatare una preoccupante tendenza al protagonismo di singoli giudici, che scatena assurde gare per conquistare le prime pagine dei giornali, magari attraverso l'emanazione di prowe- Politica e diritto Giustizia e Bicamerale, pre-faz. di Stefano Rodotà, n. mon. di "Questione giustizia" (Angeli, Milano 1997, pp. 124, Lit 22.000), contiene una critica molto articolata, secondo il punto di vista di Magistratura democratica, una delle correnti in cui è divisa l'Associazione nazionale magistrati, alle proposte in tema di giustizia della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. Antoine Gara-pon, I custodi dei diritti, Giustizia e democrazia (prefaz. di Edmondo Bruti Liberati, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 188, Lit 48.000), contiene un quadro interessante del sempre maggior peso assunto dal potere giurisdizionale nelle democrazie contemporanee. dimenti abnormi che invadono competenze proprie di altri poteri dello stato. Basti pensare a quanto è ultimamente avvenuto in tema di assistenza sanitaria, dove un pretore si è arrogato il compito di valutare l'efficacia di una cura anticancro non riconosciuta dai protocolli terapeutici ufficiali, per imporne la somministrazione gratuita ai cittadini da parte di un'azienda sanitaria locale. Infine, manca, all'interno dell'organizzazione della magistratura, qualsiasi criterio per la valutazione dei meritevoli, proprio di ogni organizzazione complessa che voglia anche essere produttiva. Di qui il catalogo dolente delle inefficienze, dei tempi infiniti, degli sprechi assurdi di risorse tecniche e umane, che connotano, in un contesto oltretutto di progressivo aggravamento, l'amministrazione della giustizia sia civile che penale nel nostro paese. Per avviare a soluzione i problemi occorre che la corporazione non si richiuda in se stessa. Instaurare un fecondo rapporto dialettico tra magistratura e istituzioni della rappresentanza democratica, senza mettere in discussione il valore costituzionale dell'indipendenza: questa è la grande sfida del prossimo futuro, per la quale dobbiamo augurarci ulteriori apporti di magistrati capaci di riflettere anche criticamente sul proprio ruolo, come gli autori del libro qui recensito.