L'INDICE ■■DEI LIBRI DEL MESE ■■ ^^Ve^vée oberC'C'k'Le, L'identità in crisi di Impiccababbo e Mangiacavoli ha cultura sassarese tra speculazioni immobiliari e rivendicazioni linguistiche SALVATORE MANNUZZU In Sardegna esiste (o è esistita) una piccola Atene. Ma non è Sassari: è Nuoro. Ed è vero che forse quel titolo onorifico Nuoro se l'è attribuito da sola. Però è sempre il segno di qualcosa: le vocazioni si pretendono, altrimenti non sono. E nuoresi sono Grazia Deledda, con l'aureola ormai un po' scolorita del Nobel, e Sebastiano Satta, suo coetaneo: un poeta avvocato e socialista innamoratosi del Carducci durante gli studi universitari bolognesi e poi ritenuto a lungo il Vate dell'Isola. Entrambi, la Deledda e Sebastiano Satta, cantori di quella Sardegna lì: tanto diversa dalla Sardegna sassarese; anche se allora Nuoro era un lontanissimo paese della provincia di Sassari. E di Nuoro poi era Salvatore Satta: a Nuoro, anzi al suo cimitero, all'impossibile elaborazione del lutto di quelle radici perdute, è dedicato II giorno del giudizio, libro che rimane straordinario. A Sassari nulla di tutto questo, mai; per quanto inevitabilmente ci sia stata, magari ci sia, la rivendicazione di glorie locali. Però se a Nuoro si scriveva, a Sassari si leggeva; o ci si vantava di leggere. Resta nella memoria d'un giro di persone che si va sciogliendo (per motivi naturali) una famosa Libreria Italiana e Straniera, attiva nel Corso fra le due guerre, dove si trovava -riferisce la leggenda - tutto. Sassari era una cittadina non ancora imbruttita: a suo tempo si era disfatta dell'antico castello, di quasi tutte le mura, di quasi tutte le quaranta torri (e anche dei portici medievali del Corso); ma aveva cominciato a inventarsi periferie gradevolmente liberty, poi déco: le generazioni successive, le nostre, ne avrebbero fatto strame. Non a caso i sassaresi vengon chiamati Impiccababbo. Allora Sassari era una piccola città agricola, circondata da begli oliveti e orti grassi (i sassaresi vengon pure chiamati Mangiacavoli). Città di contadini e di artigiani; s'intende anche di professionisti "probi e arguti". Tutti si incontravano a teatro durante le interminabili stagioni operistiche invernali, replica dopo replica: se era annata di olive e correva qualche soldo. Città dunque di lettori (supposti) e di spettatori: spettatori anche d'una propria vicenda "sociale; città disimpegnata ma insieme accanita nelle beghe e contese politiche, addirittura scuola o laboratorio in questo senso - osserva uno storico: così spiegando la provenienza di due presidenti della Repubblica e d'un segretario del maggior partito d'opposizione (per tacere d'altri successivi). Non si capisce Sassari se non si registra questa sua ambi- guità. Come non ha senso provarsi a misurarne oggi la temperatura culturale se non si parte dal disfarsi della città contadina. Molti oliveti son stati spiantati, sostituiti da borgate piuttosto squallide, da qualche seconda casa d'un ipotetico stile mediterraneo ("smeraldino"); gli orti praticamente non esistono più. S'è perduta la posta che s'era giocata, fra gli anni sessanta e gli anni ottanta, sulla grande industria petrolchimica, lì a poca "L'unità contestata". S'intitolava così, in aperta allusione alla crisi dello stato centralistico, il convegno che l'Issra (Istituto sardo di storia della Resistenza; del movimento operaio e dell'autonomia) organizzò a Sassari nell'ottobre del 1996 con Pietro Scoppola, Lisa Foa, Giulio Sapel-li e Gianni Sofri. Unità contestata non da oggi, in Sardegna, regione che ha con la memoria, con il passato, un rapporto difficile. La tentazione di superare le contraddizioni di un presente senza più bussole ideologiche cedendo al fascino della diversità - persino della purezza - etnica è forte. Un influente movimento autonomistico ha, ai margini, frange indipendentiste da tempi ben più lontani di quelli che hanno visto nascere, in contingenze storiche del tutto diverse, il leghismo bos-siano. Eppure, al di là dei rischi e delle pericolose deviazioni, una specificità forte la realtà sarda e sassarese la possiede. Lingua, storia e cultura hanno peculiarità non riducibili a fenomeni residuali del radicale processo di modernizzazione che ha investito la Sardegna a partire dal secondo dopoguerra. Il problema vero è come spendere questa diversità. distanza nella costa di Marinella. Sassari è diventata una città tutta terziaria; anzi una città di stipendi pubblici (oltre che di disoccupati), dove negozi e botteghe son ridotti allo stremo dalla grande distribuzione - e con essi quel po' di vita superstite delle vecchie strade. E dove l'unico gioco che resta è quello, divenuto un po' ansimante, della speculazione immobiliare: far carne di porco del lascito territoriale e buona notte. Non tutte le strade sono identiche. Alla deriva etnicista, che seduce minoranze esigue, si contrappone un recupero dei valori dell'autonomismo e del federalismo democratici e della tradizione del pensiero meridonalista, riletti alla luce di ciò che cambia -del tanto che cambia, e in maniera così tumultuosa - in un mondo divenuto più che mai grande e terribile, locale e globale intrecciati in un unico destino. Su questo terreno sono impegnati gruppi i più vari. Tra gli altri, l'associazione "Antonio Pi-gliaru", intitolata allo studioso che forse più di ogni altro ha contribuito a collocare la discussione sui temi dell'identità entro i limiti di una rigorosa analisi storica e antropologica. Ultima iniziativa dell'associazione, una biografia dell'autore del Codice della vendetta barbaricina curata da Mavanna Puliga. Il libro è pubblicato dalla cooperativa Iniziative culturali, luogo di raccolta di un gruppo di intellettuali che alla specificità sarda e al rapporto tra centro e periferia dedicano da anni un'intensa attività, non solo editoriale. Ma è un lavoro difficile in una città che, con il più alto rapporto in Italia tra abitanti e numero e vastità Da tutto ciò sono condizionate, forse determinate, a Sassari, le due vertenze principali della cultura sarda. Vertenze che partono, entrambe, dal fatto che c'è di mezzo il mare (come tra il dire e 0 fare): quel gran fosso tirrenico un tempo quasi invalicabile, rimasto poi profondo assai più di quanto non sia in natura: per la forza dei simboli; perché la cultura, appunto, è vischiosa e ciò che diventa sangue non ritorna acqua. Quel gran fosso misterio- dei grandi centri di distribuzione commerciale, sembra aver perso la capacità di pensare se stessa. La politica sconta un deficit di progetto. Associazioni come il Circolo progressista e Città mia, nate per stimolare la sinistra a superare vecchi e nuovi limiti culturali, provano a riempire il vuoto, ma è poco. Un'università dove la ricerca è ancora chiusa in ristretti ambiti accademici fatica a diventare soggetto capace di dare contributi rilevanti a una città alla quale servirebbero sia visioni (generali) sia saperi (parziali): un solo esempio, il dibattito sullo sviluppo urbanistico vede completamente fuori gioco l'antico ateneo sassarese. Un'istituzione come l'Ente concerti, che pure in passato ha svolto un ruolo importante, vivacchia nella ripetizione stanca di proposte che quasi mai si aprono al circuito nazionale e internazionale dell'innovazione e della sperimentazione. Resta l'arcipelago dell'associazionismo giovanile, con una miriade di gruppi che dal teatro alla musica, dalla danza alle arti visive, dal volontariato all'ambiente compongono uno scenario ricco di potenzialità. Dipende da loro se Sassari ritroverà una sua anima. so continua a dire che c'è un qui e c'è un là, che c'è una distanza: una separazione divenuta differenza. E dunque il primo quesito riguarda i connotati di questa differenza: chi siamo, qui. E il secondo quesito concerne invece le comunicazioni, i traffici possibili fra il qui e il là, l'importare e soprattutto l'esportare. Soprattutto l'esportare, giacché la partita continua a sembrare a lungo squilibrata: rischiando la nostra storia (minuscola) d'esser fatta e disfatta dalla Storia altrui. Storia, quest'ultima (maiuscola), di cui s'avverte, chi l'avverte, solo il rombo cupo, distante; mentre invece ci ha segnato, ci segna in modo insopportabile - persone e mondo: il nostro mondo, isola o città dove viviamo, dove siamo nati. Tutto ciò comporta un'esasperazione del chi siamo: forse una sua implosione, un'ulteriore sua perdita. Perché conóscersi davvero significa ritrovarsi in un contesto, leggere dei confini e dei rapporti: vivere una storia che non sia solo la propria, non limitarsi a patirla. Che storia si vive dunque in questa piccola città disastrata, con i suoi 120.000 abitanti, campagne comprese? Come sempre la lingua batte dove il dente duole: e se si invoca l'identità (tout court, vale a dire la propria) è perché questa identità va in crisi. E l'appello rischia di risultare tutto ideologico e consolatorio. Finendo nella petizione di principio della lingua: come se bastasse vjlere per darsene una; come se la lingua non fosse un frutto della terra. Intanto altri modesti ma veri frutti di questa terra, segni materiali d'una sua identità, spariscono: mettiamo le lattughe d'un tempo ("bianche e grandi come bambini", strillavano i venditori del Mercato civico), gli antichi profumi delle mele Appiu e Miali -per non dire del sempre più decrepito centro storico della città. È quindi una condizione, ottimisticamente, in bilico. Soggetta (forse salvata, domani, chissà) ad alcune complicazioni: ad alcune varianti specifiche. Dato che ci vuol buona volontà a chiamare lingua il sassarese (lingua se mai è il sardo che si parla a Nuoro, per tornarci; o più vicino a noi in Lo-gudoro, nel Meilogu). E anche questo forse è indizio d'una riserva non ancora esausta di vitalità - se non di buon umore. Forse d'una capacità residua di guardare come uno spettacolo, uno scherzo infinito, quanto ciascuno fa. Senza rispetto, persino con gusto: qualsiasi cosa capiti. Impiccababbo, appunto, Mangiacavoli sino alla fine (anche quando i cavoli sono finiti). Unità contestata e specificità sarda COSTANTINO COSSU Inauguriamo in questo numero uno spazio dedicato alla vita culturale delle città italiane. Intendiamo riflettere su come nella produzione culturale di ciascun luogo convivano localismi e aperture verso l'esterno, rivendicazioni di identità ed esigenze di contatto con la diversità, provincialismi e cosmopolitismi. In particolare, parleremo delle attività che ruotano intorno ai libri: case editrici, biblioteche, librerie, istituti di cultura. Cominciamo con Sassari. Intervengono in queste pagine lo scrittore Salvatore Mannuzzu, il giornalista Costantino Cossu, lo storico Manlio Brigaglia, l'editore Simone Sechi e il libraio Piero Pulina.