dei libri del mese MARZO 1998 Maurizio Russo Wim Wenders. Percezione visiva e conoscenza pp. 129, Lit 20.000 Le Mani, Recco (Ge) 1998 Wenders Story, il cinema, il mito a cura di Giuseppe Gariazzo, Roberto Lasagna e Saverio Zumbo pp. 230, Lit 26.000 Falsopiano, Alessandria 1997 Up and down per gli impervi sentieri del cinema postmoderno, l'opera di Wim Wenders, insieme a quella di pochissimi altri cineasti, deve essere considerata, almeno qui da noi, come una vera e propria pietra di paragone della considerazione critica. Cerchiamo di spiegarci. Non c'è dubbio che la fortuna del filmmaker tedesco ha conosciuto, a partire per lo meno da II cielo sopra Berlino (1989), una decisa eclissi. I diffusi dubbi sulla produzione degli anni novanta (a chi non è piaciuto Lisbon Story, a chi altro I fratelli Skladanowsky o Fino alla fine del mondo, con nessuno, poi, che era convinto in toto del proprio giudizio, cercando, via via, delle giustificazioni critiche al sempre più esplicito e routinario tono oracolante getter -fiLrtx, Le immagini A pagina 43, una scena di La vita è bella di Roberto Benigni; a pagina 44, Virna Lisi e Gastone Moschin in Signore e signori di Pietro Germi, a pagina 45, Solveig Dommar-tin in II cielo sopra Berlino di Wim Wenders; a pagina 46, un particolare della locandina di Lolita di Stanley Kubrick. Un nuovo Wenders americano GIOVANNI SPAGNOLETTI dell'opera wendersiana) si sono improvvisamente condensati al Festival di Cannes 1997. Per la prima volta, credo da sempre, un suo film, The End ofViolen-ce, ha lasciato interdetti (per usare un eufemismo) persino il nucleo d'acciaio dei suoi aficionados. Accorciato e rimontato dopo tale inusitata débàcle, questo film impervio e spiazzante, che segna - esulando da qualunque giudizio di gusto -una svolta rispetto all'elegante ma un po' freddo manierismo del de- cennio novanta, dovrebbe uscire presto anche in Italia, provocando, pensiamo, tra il pubblico di tendenza molte discussioni. E probabile, comunque, che, anche a prescindere dal suo esito commerciale o critico, proprio con questo End of Vio-lence, tanto poco à la page (così come, viceversa, era tanto trendy e facile un certo passato wendersismo che si cullava, compiaciuto, sugli allori dell'esibizione di stile), si inaugurerà una nuova fase del lavoro di Wenders, il quale, abbandonata la Germania, ha deciso di trasferirsi per la seconda volta negli Stati Uniti dopo la difficile avventura alla Zoe-trope coppoliana di Hammett, per andare a realizzare, in loco, cinema d'autore indipendente e a low budget (di cui The End of Violence è proprio il primo esempio). Questa svolta di non poco conto porterà, siamo facili profeti, a nuove valutazioni (anche retrospettive) sul lavoro del regista tedesco nonché ad attendere, con rinnovata curiosità, il prosieguo della sua carriera. In attesa di ciò, intanto, sono usciti due volumi che ribadiscono l'incipit da cui siamo partiti; l'opera di Wenders, pur con i dubbi che ha provocato, continua a sollecitare, soprattutto in Italia, continui discorsi e riflessioni sul cinema. Il che non è un merito da poco, dovuto anche al semplice fatto che il filmmaker di Dusseldorf!' è uno dei pochi registi contemporanei, a parte Godard, ad accompagnare la prassi filmica con un'acuta e costante riflessione sul medium (sia metacriticamente dall'interno dei suoi stessi film sia con interventi e saggi critici "esterni"). La lucidità con cui lo stesso autore offre, in interviste e interventi, molte chiavi di lettura non solo su se stesso ma anche sul cinema tout court, lungi da scoraggiare la riflessione, sembra invece esaltarla, anche se si ha l'impressione che le analisi sullo "sguardo fenomenologico" siano arrivate un po' al capolinea della saturazione. Bisogna dare atto, invece, a Maurizio Russo di aver tentato nel suo agile volume pubblicato dalle operosissime Mani genovesi ( Wim Wenders, sottotitolo importante e distintivo; Percezione visiva e conoscenza) un inusitato approccio extra moenia. Di formazione sociologica, Russo vuole costruire - sostanzialmente sulla scorta di due volumi (L'arte di vedere di Aldous Huxley e N.3, PAG. 45 to, lento e niente affatto lineare, che lo ha portato all'elaborazione di un determinato stile (e anche a "rotture epistemologiche", come nel caso di The End of Violence). Anche se è vero che un autore fa sempre e costantemente per tutta la carriera un solo film, è altrettanto vero che esiste una certa differenza tra il primo Wenders tedesco e quello successivo, tra le sue più o meno fortunate incursioni americane e i film più esplicitamente europei, ecc. La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn) - un parallelismo interdisciplinare con il mondo cinematografico di Wenders, letto appunto tramite i concetti-guida di visione e cambiamento illuminati dai due citati libri. Il richiamo a questi testi scientifici, che ben chiariscono e mettono a fuoco il problema della formazione e della trasformazione della conoscenza e le sue implicazioni fisiologiche, di sicuro è affascinante, ma ha, a nostro avviso, il difetto di ipostatizzare troppo il discorso. Così come lo presenta l'autore, il cinema di Wenders (e la sua riflessione mediatica) sarebbe quasi da equiparare a una teoria scientifica, senza quindi sfaccettature interne né una propria evoluzione interiore, insomma si tratterebbe di un sistema chiuso nato e dato una volta per tutte e non di un prodotto estetico polisemia). Il rischio - tutto platonico (e l'autore richiama il celeberrimo mito della caverna dalla Repubblica, per introdurre il capitolo finale sulT'arte di narrare") - è quello, allora, di leggere l'opera di Wenders come un'Idea e non come un processo di ricerca, differenzia- Da Sodoma a Hollywood Dal 16 al 22 aprile, a Torino, si svolgerà la XIII edizione di "Da Sodoma a Hollywood", festival internazionale di film a tematica omosessuale. Il concorso si articolerà in tre sezioni, Lungometraggi, Corto e Mediometraggi, Documentari, e sarà affiancato da una panoramica di film e video. La retrospettiva sarà dedicata all'omosessualità nel cinema spagnolo (dal franchismo ai giorni nostri) e comprenderà una trentina di titoli. Tra gli eventi speciali: un omaggio a James Dean, una personale di Philip Ridley e una selezione dall'opera di due grandi registi omosessuali degli anni venti e trenta, F. W. Murnau e James Whale. Viceversa, proprio sulle differenze e sull'approfondimento puntuale, opera il libro collettaneo Wenders Story. Il cinema, il mito, che, con esiti molto discontinui, vuole ripercorrere, in un caleidoscopio di interventi, l'articolato corpus filmico wendersiano. L'impresa, vista la non piccola mole di precedenti ricerche a riguardo, suona molto ambiziosa e solo a tratti gli autori tengono fede alle generose promesse della collana "Falsopiano/Cinema", quella cioè di offrire "letture originali e innovative". Il che accade, ad esempio, quando si mette per un attimo tra parentesi le strettoie di una scrittura religiosamente ultracinefila - costruita ad esempio sui ragionamenti all'insegna del mitico "non a caso..." - per affrontare, senza pregiudizi e con cuore sincero, il senso complessivo dell'avventura cinematografica di Wenders. Di cui, così, si riesce ad acchiappare la scabra complessità. Robert Plomin Natura ed esperienza I rapporti tra genetica e ambiente nello sviluppo psicologico Sergio Manghi (a cura di) Attraverso Bateson Ecologia della mente e relazioni sociali Franco Fraccaroli II cambiamento nelle organizzazioni Metodi di ricerca longitudinale applicati ai contesti di lavoro John Byng- Le trame della famiglia Attaccamento sicuro e cambiamento sistemico L.Horwitz, G.Gabbardet al. Psicoterapia su misura Pazienti borderline e patologie mentali gravi Colwyn Trevarthen Empatia e biologia Psicologia, cultura e neuroscienze Silvia Gherardi Il genere e le organizzazioni Il simbolismo del femminile e del maschile nella vita organizzativa