~y ctcvLicvt^i - ^blb'vcr ct&L L'internazionalismo di un povero contadino "Fontamara" e le altre prime opere di Silone. Esilio e fortuna di uno scrittore controverso BRUNO BONGIOVANNI Ignazio Silone Romanzi e saggi. I. 1927-1944 a cura di Bruno Falcetto e con una testimonianza di Gustaw Heriing pp. XC-1574, Lit 85.000 Mondadori, Milano 1998 nicola Chiaromonte, poi condirettore con Silone di "Tempopresente", ebbe a scrivere nel 1952 sul "Mondo" che l'amico fraterno, in particolar modo per l'irripetuto Fontamara, era l'unico scrittore cui potesse applicarsi "senza artificio", vale a dire in modo non ideologico, e spontaneamente lontano dalle sterili poetiche dello stalinismo, la formula del "realismo socialista". Giudizio pertinente e solo in apparenza paradossale. Giudizio in grado altresì di rendere conto del grande, e dallo scrittore certo inatteso, successo del primo romanzo, scritto tra il 1929 e il 1931 (ad Ascona, Davos e Zurigo) da un Silone ancora comunista, ma già caratterialmente estraneo al partito. Pubblicato in tedesco a Zurigo nell'aprile del 1933, ripubblicato in italiano sempre in Svizzera nel novembre dello stesso anno, Fontamara fu poi, nell'arco di soli tre anni, tradotto in francese, inglese (anche per il mercato americano), spagnolo, portoghese, russo (piacque anche ai sovietici!), polacco, ebraico, ceco, ungherese, romeno, croato, danese, olandese, svedese, norvegese, sloveno, jiddisch, bengali. Quale altro scrittore italiano del Novecento - anche senza considerare l'handicap dell'esilio e delle ristrettezze economiche - può vantare un simile exploit per la sua opera prima? In una lettera del 25 giugno 1936 al socialista italoamericano Valenti -che il curatore Bruno Falcetto ha avuto il merito di inserire nelle esaurientissime e davvero preziose "notizie sui testi" di questo Meridiano - Silone mostrò anche di aver compreso le ragioni di tale successo. Fontamara, piccolo paese del bacino del Fucino nei primi anni del fascismo, era a suo dire diventato, senza gli stracci bozzettistici del facile folldore tanto apprezzato dal regime, la patria cosmopolita - locale e globale - di tutti i contadini poveri e oppressi, attaccati alla propria piccola terra e insieme a un'idea generalissima di redenzione sociale e soprattutto umana. Come per prodigio, dall'inesistente e concretissima Fontamara si era infatti dispiegata nel mondo, non inquinata da alcuna precettistica politico-letteraria, l'"universalità del cafone". In Polonia e in Jugoslavia, a quanto pare, le autorità - si trattava di due dittature di fatto - non avevano voluto credere che il romanzo fosse una traduzione dall'italiano (o dal tedesco) e avevano sospettato di trovarsi dinanzi a un trucco imbastito per aggirare la censura e per raccontare la storia, dai lettori riconoscibilissima, di un villaggio galiziano o croato. Nel 1929, d'altra parte, il "realismo socialista", sancito come principio dal congresso sovietico degli scrittori del 1934, era ancora di là da venire. Nello stesso 1929, tuttavia, venne steso, da André Thérive e Léon Lemonnier, il Manifeste du ro-man populiste, che intendeva aprire la letteratura, e in particolare la forma-romanzo, all'universo popolare, abbandonando nel contempo, con una vena di elegiaco lirismo, l'ipe-rintellettualistico cerebralismo delle avanguardie e le esasperazio-ni psi- cologistiche della narrativa "borghese" d'introspezione. Vi fu così un periodo in cui, senza alcun rapporto con l'algida epica sovietizzante, ebbe fortuna la letteratura "proletaria" d'impronta libertario-uma-nistica. Il romanzo più diffuso, all'interno di questa tendenza, fu, di Eugène Dabit, Hotel du Nord (1929), la cui fama fu moltiplicata dall'omonimo film di Marcel Carnè (1938). In questo clima, senza alcuna adesione programmatica, s'inserì, trasferendo lo sfondo sociale dalle periferie urbane all'arcaico mondo rurale, Fontamara, insuperato e spontaneo vertice del romanzo "populista" degli anni trenta, animato da povera gente semplice più che da "classi" e attraversato dal primato morale della coscienza sull'organizzazione (ecco Lenin rovesciato), nonché dal primato dei sentimenti sulle dottrine. D'altra parte, proprio sottolineando esplicitamente e implicitamente la straor- dinaria fortuna dell'opera di Silone, questa ricca raccolta di testi, articolati lungo la biografia intellettuale dell'autore (eccellente, come sempre nei "Meridiani", è la cronologia), ha sgombrato il campo, e ancor più lo sgombrerà nel prossimo volume, dall'unica cosa che ha talvolta nuociuto a Silone, vale a dire dalla ipocondriaca, e ancor oggi non infrequente, querimonia sul marginale, sull'esule in patria, sulla vittima dell'egemonia della cultura comunista. Certo, quando fu espulso dal PCd'I, la sua vicenda venne definita, su "Lo Stato Operaio", nel 1931, un "caso di malavita politica". Certo, nel dopoguerra, soprattutto dopo il 1949, lo storico della letteratura Salinari (il cui nome anche nel Pei qualcuno trasformava in Stalinari) 10 maltrattò. Certo, Togliatti, dopo Uscita di sicurezza su "Comunità", n. 5, settembre-ottobre 1949, scrisse 11 6 gennaio 1950 un articolo suU'"Unità" intitolato Contributo alla psicologia di un rinnegato, dove pesanti sospetti sul personaggio venivano avanzati. Ma erano anni, quelli, di grandi scontri ideologici. E l'oscurantismo staliniano aveva anche in Italia numerosi adepti. Gli scritti storici e politici di Angelo Tasca furono comunque trattati anche peggio. D'altra parte, furono quelli anche gli anni del "culturame". A Brecht fu rifiutato il visto d'ingresso in Italia. A Neruda fu notificato l'ordine di lasciare l'Italia entro venti-quattr'ore. La libertà della cultura non fu però mai davvero minacciata. Tantomeno dall'opposizione. E il successo di Silone non venne praticamente mai meno. Dopo qualche fallito tentativo di attivare un'editoria socialista autogestita no profit, Silone accettò le proposte del massimo editore italiano, Arnoldo Mondadori, e ristampò con successo tutti i suoi libri del periodo dell'esilio, e quindi anche i romanzi Vino e Pane e II seme sotto la neve, presenti in questo Meridiano. Altri ne pubblicò. Sempre con buon successo di pubblico (enorme quello tributato Avventura di un povero cristiano, uscita nel marzo 1968). E senza mai rinunciare alla propria coerenza politica - come dimostrano, tra gli altri, i due saggi ora ristampati nell'assai utile raccolta, curata da Massimo Teodori, L'anticomunismo democratico in Italia (liberal, Firenze 1998, pp. 224, Lit 24.000). D'altra parte, Silone fu l'unico scrittore italiano della sua generazione letterariamente mai venuto a patti con il fascismo. Non si formò come scrittore in Italia. Non pubblicò nulla in Italia prima della liberazione. E quan- do tornò in Italia era già famosissimo. Fu questo, piuttosto - come ricorda Heriing nella testimonianza iniziale - che suscitò "la freddezza e la supponenza dei letterati italiani". In Germania e negli Stati Uniti, durante gli anni cinquanta, Silone fu sicuramente lo scrittore italiano più noto tra quelli viventi. Generazioni di studenti lo hanno inoltre letto a scuola come un classico del Novecento. Il dimesso socialismo cristiano di Silone - nome preso da Poppe-dius Silo, capo della resistenza dei Marsi contro Roma - è piaciuto infatti agli insegnanti. L'unico regime che lo costrinse all'esilio fu dunque quello fascista. La repubblica, complessivamente, lo ebbe caro. E se negli anni ottanta dello scrittore Si-Ione, così poco "postmoderno", si è parlato un po' meno, ciò ha avuto a che fare, credo, con la psicologia del gusto. E non con altro. Ma anche sul terreno storiografico e politico il Meridiano contiene testi di grande rilievo. Alcuni anche interni all'avventura di un povero comunista (1921-1931). Come il saggio straordinario del 1927-28 su La società italiana e il fascismo (uscito su "Lo Stato Operaio"), saggio che Silone, pur non amando più il proprio stile di allora, ripubblicò nel 1962 su "Tempo presente". È il tema del consenso al regime che, con un'analisi superba, viene precocemente delineato insieme al tema del ruolo della piccola borghesia. Vi sono anticipati spunti che saranno poi ripresi da Salvemini, da Rosselli, naturalmente da Tasca e addirittura da Nitti. E anche dal Togliatti del 1935. Per non parlare dell'opera storiografica di De Felice. Manca Riformismo e fascismo, del 1930, testo che approfondisce la natura del regime italiano e che fu condannato dai compagni di partito in nome della sciagurata teoria del "socialfasci-smo". E manca soprattutto l'opera fondamentale sull'argomento. Vale a dire il volume Der Faschismus, concluso alla fine del 1930 e pubblicato in tedesco a Zurigo nel 1934. Di questo libro, malauguratamente, è andato smarrito l'originale italiano. Non poteva quindi probabilmente essere inserito in una raccolta degli scritti "italiani". Ne poteva essere cioè fornita solo la traduzione. Esiste comunque un'edizione italiana scandalosamente tarda e purtroppo pessima {Il fascismo. Origini e sviluppo, Su-garCo, 1992): vi si trovano errori di traduzione, errori di stampa a non finire, nomi storpiati, date sbagliate. La cultura e l'editoria italiana devono a Silone una nuova versione di questo testo eccezionale, che De Felice nel 1969 ha definito "minore", che i tedeschi han continuato a ristampare e che nel 1992 in Italia è passato quasi inosservato. Il lettore vi scoprirà un'analisi delle origini del fascismo che precorre largamente, anche se in modo meno sistematico, quella di Tasca del 1938, e soprattutto, sorprendentemente, vi scoprirà i concetti di "nazionalpopolare" e di "egemonia", presenti, com'è noto, nell'opera contemporanea e carceraria di ► Silone chi è Sembrava scontato quel che il provocatorio Silone sostiene nella premessa a Fontamara: di aver dovuto scrivere il romanzo in traduzione, dal parlato dei cafoni, i quali non hanno lingua ufficiale, all'italiano della scuola e dei libri, una lingua straniera. (In mezzo ai cafoni Silone era nato e cresciuto; dell'influsso dei libri era sospettoso). Invece fa di nuovo impressione, ora che abbiamo - grazie all'acribia di Bruno Falcetto - una raccolta complessiva e commentata dei primi romanzi e saggi, trovarsi a misurare su notizie filologicamente accertate l'estraneità dello scrittore. Fontamara e gli altri libri dell'esilio, Vino e pane e II seme sotto la neve e La scuola dei dittatori, uscirono tutti in tedesco prima che in italiano, e circolarono fuori d'Italia, specie nell'area dell'emigrazione. Il destinatario quanto avrà contato? E la lingua non avrà dovuto per forza modellarsi come lingua trasferibile e già predisposta per la traduzione? Chi era dunque lo scrittore Silone? Quest'abruzzese, che nel rappresentare i suoi cafoni peccava per eccesso di schematica durezza (secondo il parere del tutt'altro che tenero Salvemini), in quale lingua mentale li avrà pensati? Quanto agli scritti saggistici compresi nel volume, molti, che qui leggiamo tradotti, apparvero in inglese o in francese: e il più letterario, del 1937, Sulla letteratura italiana e altre cose, risulta inedito finora in italiano. Anomalo Silone, immerso in una koiné internazionale. L'unico fra gli scrittori italiani della sua generazione che nel binomio politica-letteratura scegliesse subito la politica, e poi quasi a spintoni la letteratura, parola che gli ripugnava. Silone, classe 1900, che andava e veniva da Mosca negli anni in cui in Italia Vittorini e Bilenchi, all'incirca suoi coetanei (l'uno del 1908, l'altro del 1909), facevano l'apprendistato aggirandosi in un miscuglio di ribellismo e fascismo e dentro orizzonti provinciali, strapaesani. È toccato poi a Bilenchi e Vittorini, nelle storie letterarie, configurarsi in casi esemplari del difficile e tendenzialmente antagonistico rapporto fra illetterato e il politico, fra il libero gioco intellettuale e il gioco strumentale della ragion di Stato, ossia dipartito. Ma fu solo Silone (al quale toccò invece d'essere spesso interpretato nella chiave minore di un umanitario sincretismo) colui che i giochi della politica li aveva praticati davvero e con strazio. Ne trasse un giudizio sui letterati italiani, tutti retori e reticenti. Ne trasse una dichiarazione di poetica mirata ai contenuti, destinandosi così a un'accoglienza ideologica o almeno moralistica; a una lettura fortemente contestualizzata e scarsamente testuale. Che Silone oggi entri nella collana dei classici "Meridiani", può considerarsi il segno di un'acquisita distanza, di una pacifica stori-cizzazione? Nessun titolo suo, neppure Fontamara, uno dei romanzi più noti fuori d'Italia, è presente nei due tomi delle Opere assegnati da Asor Rosa al nuovo canone novecentesco. Berardinelli, trattando appunto del canone, nomina Silone nel gruppo alla rinfusa dei disparati autori, da Moravia a Bassani, di seconda scelta. Giovanardi esclude che possa mai diventare un classico. Fofi invece ne è appassionato. E l'"Osservatore Romano", stilando un polemico controcanone, lo mette nel numero dei dieci migliori. Ma a chi interessa il canone? E il variare della ricezione - test culturale, test ancora ideologico - l'aspetto interessante che di Silone ci fa discutere. Lidia De Federicis