SETTEMBRE 1998 Personaggi con vocazione VITTORIO COLETTI C-CVtX-C N. 8, PAG. 11 I Elena Stancanelli Benzina pp. 156, Lit 14.000 Einaudi, Torino 1988 Piero Ferrerò Lettere ai Romani pp. 174, Lit 22.000 Garzanti, Milano 1998 La forma è quella di un epistola- rio tra due preti degli anni cin- quanta; l'uno scrive da una cittadi- na di montagna, dove si è rifugiato stanco e malato; l'altro da Roma, dove ricopre importanti incarichi di curia. Sono due amici che co- minciano a scriversi prendendo spunto dalla morte di un confratel- lo, di cui apprezzavano tanto la cultura teologica quanto temevano la spregiudicatezza. Il comporta- mento dello scomparso (convive- va, senza nasconderlo, con una donna) è il motivo da cui partono due itinerari di riflessione entram- bi sinceri e autentici ma molto di- versi; quello del monsignore roma- no, che chiede a chi è prete la capa- cità di rinunciare al mondo e l'in- telligenza di guardarlo con lo scetticismo di chi ne conosce la caducità, e quello dell'altro cor- rispondente, don Sebastiano, che scopre via via la bellezza e la fero- cia, la meraviglia e il dolore della vita, ed esige da chi ha scelto il sa- cerdozio una partecipazione piena e compromessa all'esistenza quoti- diana degli uomini e delle cose. Ma un terzo, occasionale, scri- vente si affaccia a rafforzare, per antitesi, le opzioni sempre più ra- dicali di don Sebastiano: è il parro- co della cittadina che lo ospita, pieno di premure e occupazioni clericali di basso rango, figura qua- si caricaturale di prete untuoso e senza carità, che finisce, con le sue lamentele e ipocrisie, per riavvici- nare i divaricati sentieri di fede dei due sacerdoti amici. Lo sconcerto del malevolo reverendo è, per al- tro, comprensibile: don Sebastia- no è, come si diceva, molto malato, e la sua lenta, lucida agonia mette nei gesti estremi di solidarietà umana e di amore per le cose, cui volentieri si abbandona, una deter- minazione così totale ed esasperata che ha inevitabilmente anche il sa- pore di una delusione per la pro- pria passata vita ascetica di prete pio e timoroso e di angosciata di- sperazione di fronte all'arduo si- lenzio di quel Dio in cui aveva tan- to confidato. Ma proprio la condi- visione del dolore e delle piccole gioie dell'umanità più misera con- sente in modo diverso ai due amici, che avevano studiato e coltivato fi- no ad allora soprattutto il Dio freddo e nobile del Vecchio Testa- mento, di riscoprire il loro evange- lico e cristiano Dio povero, uomo infimo e abbandonato, e di ritrova- re nella fede in questo Perdente un filo di vacillante speranza. Pur tra molte (troppe?) cerimo- nie stilistiche - per altro giustificate dallo stato e dal livello culturale dei due principali corrispondenti, non- ché dall'ambientazione anni cin- quanta della vicenda -, questo ro- manzo epistolare svolge una medi- tazione profonda e suggestiva sulla scelta della vita religiosa e sulla con- dizione del sacerdote, mettendo in risalto una figura, che a me sembra ormai di per sé drammatica e lette- raria: appunto quella del prete. E davvero singolare che il prete, do- po i tanti successi primonovecente- schi, sembri definitivamente uscito dai ruoli protagonisti della narrati- va, pur presentandosi oggi più che mai come un personaggio di per sé romanzesco, abitato com'è dalla so- Questo è uno degli ultimi libri usciti presso la collana "Stile libe- ro", nota per aver contribuito ad aprire le porte della Einaudi a lavori sperimentali, rivolti alle nuove ge- nerazioni e attenti ai fenomeni cul- turali più recenti. Stranamente Ben- zina è un piccolo romanzo che po- trebbe anche non far parte della luccicante collana. Perché l'im- pianto è classico, la lingua altret- tanto e la vicenda risponde al tipico raccordo autostradale, e si augura- no soltanto che la madre di Lennì possa comprendere e accettare la loro relazione. Così non avviene: una catena di eventi sempre più drammatici trasforma l'armonia ini- ziale nell'unico possibile cupo epi- logo. Ben costruita e ricca di emo- zioni letterarie, la scelta della forma del racconto. Le tre voci, quella di Stella, di Lenni e della madre dì Lenni, si alternano e si richiamano vicendevolmente come in una va- riazione musicale a tema. Le due amanti si rispondono; la madre dapprima si oppone, poi si insinua nel grande tema finale. Si potrebbe La casa sul colle Guasco SIMONETTA GIUNGI Da La casa sul colle Guasco, autobiografia di Simonetta Giungi, nata nel 1945 ad Ancona, da famiglia importante (la madre di aristocrazia provinciale, il padre in Marina), morta a Londra, dove viveva e lavorava, nella primavera del 1985, riportiamo una pagina, che atte- sta la lettura (adolescenziale, liceale) di Bassani e la presa emotiva del Giardino dei Finzi- Contini nel 1962. Ma soprattutto, durante l'intervallo, me ne stavo alla finestra. Mangiavo la pizza e guardavo fuori. La nostra aula aveva due finestre spalancate sulla piazza ed era esaltante sentirsi "fuo- ri", in mezzo alla mattina degli altri, nel viavai delle donne che facevano la spesa, nel misterio- so itinerario intersecante la piazza di quelli che la mattina potevano spenderla così, non al la- voro, non a casa e non a scuola. In piazza succedevano moltissime cose. Per lo più la gente sembrava beatamente senza fret- ta: compravano un giornale, chiacchieravano, aspettavano il semaforo verde, sedevano su una panchina, entravano in un caffè. Dalla piazza cercavo di risalire mentalmente lungo il Corso e il Viale, e poi di percorrerlo in giù verso il porto. Se nell'intervallo uscivo mentalmente e me ne vagavo per la città, anche nelle altre ore ero, in larga misura, assente. "La nostra Giungi è come una farfalla" disse un giorno con un sorriso agrodolce la professo- ressa di greco, "siposa qua e là, e solo di rado è qui in classe, di rado abbiamo l'onore della sua attemione... Non è vero, Giungi? Sapresti ripetermi quello che si stava dicendo?". Non stavo attenta che a certe lezioni di letteratura. In genere riempivo i fogli di profili, di spirali, di versi pieni di cancellature. Avevo uno "striscio" per un mio compagno, benché, circa l'amore in sé, cercassi di essere scettica, un po' come Micòlquando nei "Limi-Contini" dichiara che l'amore è "roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele...". Mi piaceva, allora, identificarmi in qualche modo con Micòl. Avevo letto il libro con passione e ne avevo imparato a memoria certi passi, certe espressioni risolutive: "... di colpo, in uno schianto subitaneo e tremendo di tutto me stesso, ebbi il senso preciso che la stavo perdendo, che l'avevo perduta". ^ E soprattutto la fine: "... che il futuro, in sé, lei lo aborriva, adesso preferendo di gran lunga, 'levierge, le vivace et le bel aujourd'hui', e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio pas- sato". da La casa sul colle Guasco, Transeuropa, 1998, pp. 78-9 litudine, dalla perdita di aureola so- ciale, segnato dalla perentorietà di una rinuncia (specie agli affetti) che, per essere obbligatoria, pare anche più dura del vero. La poesia se ne è invece accorta da tempo e i preti sono protagonisti di tanti grandi componimenti recenti, da Caproni a Giudici a Viviani. Lorse è per questo che, nel libro di Lerrero, i più vicini ai "chiamati da Dio" so- no proprio e ripetutamente i poeti, e la vocazione sacerdotale e quella poetica possono scambiarsi sug- gestivamente (nei .-y luoghi più intellet- !É0*e C A tualmente intreccio amanti in fuga a causa di un avverso destino con finale tragi- co e riscatto attraverso la morte. Gli amanti sono due giovani donne, Eleonora e Stella, l'avverso destino si identifica nella madre di una di loro, e la morte è il suicidio di en- trambe. Dunque amore lesbico, maternità indesiderata, morte co- me unico, vero, slancio verso il fu- turo. Stella e Lenni, questo il nomi- gnolo nel gioco amoroso, sono pre- cise, ordi- raffinati libro) pa role e ci- tazioni. del nate stiscono con goglio loro mune at t i v i t à u n pompa di benzi- na su un ge- or- la co- a ancora accennare agli altri argo- menti che costellano la vicenda principale: la vita dopo la morte, la percezione del corpo, il desiderio, l'angelo. Questioni femminili che tanto occupano le pagine delle scrittrici italiane. Questioni irrisolte, anche qui. Il primo romanzo di Ele- na Stancanelli si colloca fuori dalle frontiere del pulp e del misticismo metropolitano dentro una tradizio- ne di scrittura alta. "Qualcosa lassù ci deve essere per forza: una cala- mita, un imbuto nel quale le anime dei morti si raccolgono tutte insie- me. Trombe, dita puntate, condan- ne... Dovrà esserci qualcosa di più definitivo e solenne di questo distri- butore di benzina...". Una doman- da ossessiva, un certo desiderio di trascendenza condiziona l'agire delle due amanti, che niente hanno a che fare con Thelma e Louise o con le varie edizioni di Bonnie e Clyde sulla strada. Camilla Valletti Questo mese LIDIA DE FEDERICIS Questo mese parliamo dell'io e della scrittura, o dell'io nella scrit- tura: crisi e decostruzione, ricosti- tuzione, forse restaurazione. Mae- stro nella fabbrica del racconto in prima persona è stato Giorgio Bas- sani, di cui Mondadori ha pubbli- cato a giugno il volume delle Opere (a cura di Roberto Cotroneo). Ep- pure Bassani, mentre creava la voce ambigua del narratore autobiogra- fico, e ne faceva una struttura por- tante, continuò a dichiarare la pro- pria avversione al romanzo banal- mente realistico, cioè psicologico, e la propria distanza dai personaggi. Lo scrittore si sdoppia, e può capi- tare che (sulla pagina) il suo porta- voce ne sappia meno di altri (e quel che non sa, o non capisce, non può raccontarcelo). Sarà un esempio fra i tanti di quel "carattere plurale, multiplo dello stesso io individua- le" che è la scoperta della letteratu- ra novecentesca, dice Claudio Ma- gris, e non solo in area mitteleu- ropea. Presso il Giardino dei Finzi- Contini fiorivano infatti le discus- sioni attorno al romanzo sul finire degli anni cinquanta. Racconto in prima persona e pre- senza dell'io: è una formula di ritor- no che quest'anno ha avuto succes- so con i romanzi di Erri De Luca, Athos Bigonciali, Aurelio Picca, Gianfranco Rugarli, svariando fra l'autobiografismo al quale De Luca ci chiede di credere e l'autonomia del personaggio, a cui ci chiede di credere Rugarli. In Una gardenia nei capelli (Marsilio), Rugarli racconta con la voce dell'assassino, un pove- ro mostro d'oggi; De Luca, in Tuo, mio (Leltrinelli), finge voce e memo- ria di un ragazzo napoletano del do- poguerra, che dà fuoco all'albergo dove alloggiano gli allegri tedeschi in vacanza a Ischia; Picca, in Tutte- stelle (Rizzoli), fa parlare un bambi- no di Velletri che ha la sua stessa età (nato nel 1957) e cresce assieme al contesto del paese italiano, per quattro decenni, dal sessanta a oggi, fra realismo e simbolismo, televisio- ne e terrorismo; e infine Bigonciali, in Ballata per un'estate calda (Giun- ti); al quinto libro riprende dal pun- to di partenza, tra scatti fantasiosi e documenti del passato proletario, rievocando il 1957 in Toscana come un ragazzino d'allora: a Marina di Pisa, nella calda estate, si licenziano operai e si balla il calipso. Su tale li- nea, sul crinale fra arte e vita, anzi sul filo di un'arte certificata dalla vi- ta, 0 libro unico è invece La casa sul colle Guasco, autobiografia vera, ri- masta finora inedita. L'ha stesa nel 1972 Simonetta Giungi, una giova- ne donna morta suicida. Di lei sa- premmo poco o niente, se non ne fosse stato toccato Mario Luzi, e so- prattutto se il fratello Aldo non ne avesse promosso i libri postumi: nel 1993 la raccolta poetica, Finestre af- fascinate ardenti stanze, uscita nelle Edizioni II gabbiano; e ora, da Tran- seuropa, questo racconto dell'infan- zia e adolescenza, tutto avvitato al suo tema e intento, che è di dar for- ma alla soggettività e di esprimerla grazie ai vincoli della scrittura. Sull'altra linea, del decostruzio- nismo, cosa diventa il paesaggio del sapere, e del narrato e del narrabile, senza un soggetto che vi s'accampi? Esercizio di dotta scrittura, o di no- menclatura, praticato da Marosia Castaldi, di cui Anterem pubblica nuove e sparse pagine.