Idei libri del mese! Leggendarie faccende di un duo comico MASSIMO ONOFRI DICEMBRE 1998 < tutta scollata, tutta masticata", "ve- devo il suo ventre sbalzare nella stanza") o punta tutto sull'improba- bilità logica delle sequenze ("Spa- lancavo la bocca, non riuscivo a ca- pire se nel frattempo sbadigliavo. Sentivo scoppiare sotto le ruote qualche bestiolina ghiacciata, men- tre andavo stropicciandomi gli oc- chi verso un'altra zona"), resta l'im- pressione di una forzatura non radi- cata, di una rivoluzione di superfi- cie, di una tensione a vuoto. Spiace dirlo: ma la lingua non soccorre le ambizioni, il grande im- pegno intellettuale dell'autore. Mo- resco pare disporre di mezzi non adeguati alla eccezionale visiona- rietà con cui si volge a guardare lo sconvolto spaccato di una biografia intellettuale e collettiva. Il lettore resta così come tagliato fuori, quasi escluso dal discorso; per usare un'immagine cara al protagonista: le parole non gli arrivano. Si intui- sce che il messaggio c'è, è intenso, netto, duro; ma non si riesce a co- glierlo, resta impigliato nelle troppe pagine, intrappolato nel virtuosi- smo, nell'esasperata macerazione intellettuale dello scrittore. "Recherche" marchigiana SERGIO PENT Gilberto Severini Quando Chicco si spoglia sorride sempre pp. 134, Lit 22.000 Rizzoli, Milano 1998 Gilberto Severini è il narratore di una quotidianità tutta da scopri- re. Senza acuti, senza strilli, per- corre la sua provincia marchigiana col passo di chi avanza negli anni accumulando nostalgie. A volte sorride, ma è il riflesso incondizio- nato di uno che valuta le esperien- ze giustificandone l'imperizia che spesso conduce alla solitudine. Il suo panorama è lento come una vi- ta alla moviola, in cui il tempo tra- scorso a rimuginare sulle occasioni perdute è superiore a quello speso per cercare di vivere. Commoven- te e aspro, ma senza pietismi o gio- chi di società per correr dietro alle mode. Spiace però che il primo dei suoi libri pubblicato da una grande ca- sa editrice riveli un bozzettismo abbastanza anonimo e privo di ri- ferimenti originali, come se valu- tassimo l'opera d'esordio di uno scrittore capace ma poco innovati- vo. Si va dai Primi passi di timide scoperte sessuali fine anni cin- quanta alla scontata macchietta della vecchia Elvira che scopre l'uso del telefono, passando per le rimembranze legate all'invasione in famiglia della radio, prima, e poi del televisore. La prima parte della raccolta è quindi tutta impostata al recupero delle nostalgie provincia- li, ma gli argomenti ormai abusati non consentono all'ironia di Seve- rini impennate particolari. Interlocutori i testi di Farfalle e Madame-, e abbiamo una risalita di tono nel rapporto epistolare rias- sunto in Casella postale, dove si as- siste al rito della presa di coscienza di un'omosessualità da parte del ventenne Alessandro. Anche qui, tuttavia, il sospetto di un'emargi- nazione esistenziale fuori tempo massimo rischia di vanificare le in- tenzioni narrative, finalmente sin- tetiche ed essenziali. Difficile da definire il racconto del titolo, proiettato in una sorta di allegoria informatica, col sexy-rapporto vir- tuale tra una solitaria sessantenne e l'aitante Chicco, amante senza età creato dalle tecniche fantascientifi- che di un computer in grado di ri- solvere anche gli enigmi esistenzia- li. Un gioco, certo, ma con una moraletta di fondo che sa di po- sticcio. Ben venga la conoscenza allarga- ta di Severini, di cui ci siamo altro- ve occupati con un panoramico appello critico, ma è bene afferrare subito al volo le sue cose migliori, dalla trilogia della provincia mar- chigiana anni ottanta - Partners (Transeuropa, 1988) - ai romanzi più convincenti, Un breve autunno (Transeuropa, 1992) e Congedo or- dinario (Il Lavoro Editoriale). In entrambi, la rappresentazione del- le occasioni mancate nella vita è struggente nella sua felice sempli- cità. La figura di Elena, l'impiega- ta di mezza età che ripercorre le sue stagioni sull'onda di una serie di telefonate anonime che lei crede provenire dal passato - nel primo testo - e del professor Tommaso con l'amica Ines, salvati dalla me- moria di un giovane discepolo - nel secondo - sono ricche di stu- pore quotidiano, fanno riflettere sul destino di ognuno di noi la- sciando l'amaro di certe appartate consapevolezze. Nicola Fano De Rege varietà. Probabile biografia di un duo comico pp. 186, Lit 26.000 Baldini & Castoldi, Milano 1998 Ecco finalmente un libro che si legge d'un fiato, uno di quelli che, dentro la greve e opaca fatica quo- tidiana, sanno restituire momenti di lieve e luminosa vacanza: gli stessi in cui Fano, c'è da giurarlo, lo ha fantasticato in almeno quin- dici anni di ricerche, entro un pa- norama bibliografico inesistente e in assenza quasi totale di docu- menti, rastrellati ovunque con osti- nazione encomiabile. Un libro anomalo e sorprendente che è sta- to scritto non certo per semplifica- re e riorganizzare razionalmente le vicende di una vita, quella di un trascinante duo comico, quanto, forse, per complicarle e sollevarle dentro un'aura venturosa e leggen- daria (e il termine "leggenda", in effetti, è uno di quelli a più alta fre- quenza nel libro). A questo propo- sito, Nicola Fano è chiarissimo, co- me quando, rispetto a certe sue idee sul non facile rapporto dei De Rege col padre ufficiale, eroe mor- to in guerra, confessa. "Ecco, que- ste sarebbero buone risposte. An- zi, che io sospetti, sono le risposte più probabili. Ma la verità è un'al- tra cosa, e io non la so. E questa qui è un'inchiesta, non una biografia". Già: c'è una bella differenza. Ma un'inchiesta su che cosa? I dubbi sono legittimi: e sono il sale con cui Fano ha condito il libro. Converrà partire, allora, da una pagina ove il personaggio-autore (una delle va- rianti più correnti, nei libri migliori di quest'anno, del personaggio-uo- mo: e penso alla bellissima Isola ri- flessa di Fabrizia Ramondino pub- blicata da Einaudi nel 1998; cfr. "L'Indice", 1998, n. 5) ha appena intervistato (Fano, di mestiere, è giornalista) Bernhard Minetti, l'amico di Grundgans e l'attore che aveva recitato per Hitler ma che aveva poi rifiutato le glorie del re- gime, nonché l'ispiratore di Tho- mas Bernhard. Un'intervista che è occasione per riflettere sui segreti del teatro e la sua inafferrabilità, sull'impossibilità di ricordarlo per come è e sulla necessità di trasfor- marlo sempre, nel racconto, in qualcosa d'altro: "Mi diedi il com- pito di ricordare. Di ricordare le cose vere, quelle verosimili e anche quelle false: tanto sono tutte ugual- mente leggenda e tutte ugualmente n. 11, pag. 12 teatro. Mi diedi questo compito per scommessa e subito mi accorsi che il terreno di lavoro era vastissi- mo e altrettante le possibilità di fi- nire ingarbugliato nei trucchi di chi vuole imporre agli altri la pro- pria memoria come memoria co- mune". Una scommessa che, come ci dice lo scrittore, ruota attorno a "un oggetto vuoto", che verrà pre- sto colmato da voci lontanissime, imprendibili e strane, riportate per caso in vita da un vecchio disco della collana "Fonografo italiano": le voci così "diverse da quelle dei comici di oggi", di Giorgio e Cic- cio De Rege. Il libro teatralissimo di Fano, scritto con tanto di quinte e sipa- rietti, precipita, insomma, come calamitato da questo oggetto vuo- to, fino a contenerne, di libri, molti altri, a parte ovviamente il più ap- pariscente, quello sulla vita ritira- tissima di due comici di cui non si sono trovate nemmeno le tombe: il libro di un grande amore fraterno, di Giorgio, "viveur mancato" e sempre in fuga dalle convenzioni nobiliari familiari, ma nobile per istinto, e di Ciccio, triste sempre, in scena e nella vita, talentosissimo, forse comunista. E poi: la storia di una famiglia insospettatamente ari- stocratica, i De Rege di Donato di San Raffaele, e di nobili impegna- tissimi a nascondere le tracce di un'imbarazzante parentela con gli attori, magari celando, secretato chissà dove, un archivio che oggi varrebbe oro, sicché, alla fine, resta il sospetto che la storia dell'aristo- crazia sia perfino più complicata di quella del teatro. Ma c'è anche il li- bro commovente di un mondo che non c'è più, quello del varietà, e una galleria di ritratti indimentica- bili: da Beniamino Maggio a Carlo Campanini, le ombre di Fregoli e Petrolini. C'è, poi, un nuovo libro delle "Storie della storia d'Italia", quelle scritte fuori centro, laterali, ma forse, sul nostro paese, più con- vincenti, il cui modello insuperato resta sempre, per me, lo stupendo Amici, amici degli amici, maestri di Oreste Del Buono. C'è, infine, il li- bro di una discretissima autobio- grafia dell'ombra: quella in cui Fa- no intreccia memorie e passioni fa- miliari, involgendovi una dolente riflessione sui rapporti tra le gene- razioni, sul rovescio e sui rovesci della verità, sulle intermittenze del- la memoria, sui suoi lapsus. E tutto incomincia in questa sto- ria, bisognerà dirlo, con un naso: e coi nasi non si scherza. Gogol ci aveva avvertito più di un secolo fa: non diamo colpa agli specchi, se i nasi sono storti. Verità di poco va- lore per il pirandelliano Vitangelo Moscarda, che agli specchi, a que- gli specchi che sono gli occhi degli altri, volle imputare il suo naso storto. Verità di nessunissimo con- to per Ciccio De Rege, che il naso, se è vera l'ipotesi di Fano, non ce l'aveva e lo nascondeva dietro a uno posticcio, di cartone: ecco il trucco della sua stranissima voce. Questo per dire che Fano alle sue verità, piccole o grandi (magari una formidabile diagnosi di "microri- nia reversibile"), ci arriva sempre per forza d'immaginazione. Quel- l'immaginazione che sa centrifuga- re documenti d'epoca, voci enci- clopediche, testimonianze orali, pagine di letteratura (come Sul- l'oceano di De Amicis), vecchie fo- to, dischi, a inseguire nei De Rege, dentro quella che fu "una tragedia greca e una favola al tempo stesso", il punto d'onore di una vita. (Gcce-ófcr trv&óe- Segnalo due bambine, e due scrittrici all'esordio. Una è l'esordiente di parecchi an- ni fa, Dacia Maraini, che ha ripubblicato da Einaudi, con pochi ritocchi, il primo roman- zo, La vacanza, uscito nel 1962 da Lerici. Vi si racconta di una ragazzina, Anna, che du- rante una vacanza al mare, in una famiglia sgangherata e in un anno terribile (è il 1943), incomincia la sua strada in mezzo agli adulti esercitando la propria indifferenza nel lasciar- si desiderare da squattrinati ragazzacci e da uomini benestanti. È un romanzo come se ne scrivevano allora, con personaggi plausibili ben situati in un contesto. Alberto Moravia, nella premessa dell'edizione Lerici, sceglieva però di presentare il personaggio vero e inte- ressante: l'autrice che s'avverte dietro le pagi- ne, la giovane donna inetta e ambiziosa a cui tocca la grazia della pazienza sul lavoro. Ora, nell'edizione Einaudi, la premessa è di Dacia Maraini, che in quella cifra, di una vita che può salvarsi con l'atto di scrittura, si è sempre riconosciuta e che a ragione gioca la carta del- la fedeltà a se stessa. Ma noi lettori siamo in- curiositi, più che dal già noto autoritratto, dalla forma in cui, nel libro adolescenziale, il ribellismo femminile trovava espressione in punte grottesche che deformano, appunto, le figure femminili. La scrittura ne enfatizza la mediocre seduzione di mogli e amanti, corpi di servizio, fissandole in un particolare: o le mammelle bianche della giovane Nina, che a letto traboccano "dall'orlo slabbrato della se- ta rosa", o la scollatura, con molti fili di perle per nascondere le rughe, dell'impettita Mary "stretta in un vestito di raso color prugna". L'altra esordiente è Patrizia Zappa Mulas, nipote di Ugo e figlia di Maria Mulas, en- trambi fotografi celebri, che pubblica oggi, da La Tartaruga, il primo romanzo, L'orgoglio- sa. Qui si narra la storia minima di Niti Ida, che in terza elementare, accusata a torto di aver falsificato certe firme, scopre la fallibi- lità degli adulti, specie della maestra. Qui, cessate le convenzioni confortevoli del reali- smo, ci troviamo in una città e in un tempo imprecisati, e riè detto appena il nome della scuola, una qualsiasi "Paravia". Scuola forse vecchiotta e certo un po' speciale, con banchi di legno e classi tutte femminili. Scuola dell'ordine e della regola, con insegnanti in divisa e non un cappotto fuori posto. La no- vità di Patrizia Zappa, attrice, è che il mestie- re le fa intuire benissimo la sostanza teatrale delle relazioni scolastiche. Dal pubblico, do- ve stanno Ida e l'autrice, un osservatore catti- vo segue la signorina Pessìna, che dalla catte- dra interpreta un'idea di astratta femmini- lità, libera dalle cure servili della famiglia e liberamente dedita alla cura nobile dell'isti- tuzione. Ma basta poi sorprenderla all'uscita, quando s'infila al braccio la borsetta di cocco- drillo e "arrotola al collo il visoncino scuoia- to", per rimetterla al suo posto nel piccolo e casalingo decoro del ceto medio. Visto dalla parte di queste bambine, o delle scrittrici che (a distanza di quarantanni) ne fanno i loro portavoce, il mondo tradizionale delle donne non ha modelli socialmente frui- bili da offrire. Neppure la maestra, neppure la maestrina dalla penna rossa in cui si subli- mava l'ambigua emancipazione ottocentesca. Vale soltanto l'eccezione della scrittura, dell'arte; la perfezione della rosa che Niti Ida s'ostina a disegnare. "Il mito dell'eccezione contro la norma del conformismo" (scriveva Anna Banti). Lidia De Federicis