DICEMBRE 1997 |dei libri del mese| / X c^ttcVÓLZYC ctc^Li LCi-AVL Cinque libri in classifica N. 11, PAG. 24 Enzo Siciliano, I bei momenti, Mondadori, Milano 1997, pp. 307, Lit 30.000. Da quando vent'anni or sono lo scrittore Wolfgang Hildesheimer mise in discussione l'idea che il rispecchiamento della vita nelle opere potesse costituire un buon punto di partenza per far luce sul mistero della creazione mozartiana, è divenuto un luogo comune appellarsi al carattere enigmatico di un'esperienza umana nella quale musicologi austeri avevano invece cercato conferme per le loro convinzioni estetiche e per i loro percorsi interpretativi. Anche il romanzo di Enzo Siciliano si affida al presupposto di un'enigmaticità fondamentale dell'uomo Mozart, impenetrabile a ogni filologia e non intaccabile dall'eventuale accertamento di circostanze fino a oggi ignote. Ma l'interesse di una tale operazione risiede tutto nella sua veste narrativa. Non si tratta cioè dell'enunciazione di una verità astratta - quella che attribuisce l'inattingibilità di un'autenticità originaria alla distanza temporale dalla quale necessariamente muove l'interprete - ma del tentativo di mostrare come questa distanza si produca già nel breve spazio dei ricordi che attraversano l'esperienza vissuta di coloro che sono venuti a contatto con l'incandescente libertà dei modi di vita del genio e si vedono in qualche modo impegnati in una loro personale NOVITÀ FILOSOFIA E STORIA Studi in onore di PASQUALE SALVUCCI a cura di P. VENDUTI pp. 624, L. 80.000 Il volume riprende la prospettiva storico-filosofica di Pasquale Salvucci, letta nella grande lezione del suo indimenticabile maestro Arturo Massolo e lavorata sui testi dei giganti dell'idealismo tedesco. Gli studi raccolti nel libro sono stati distribuiti in quattro sezioni: Tra l'antico e il moderno, Kantiana, da Schelling a Marx, Figure e problemi del pensiero filosofico contemporaneo. FRANCO DE FELICE LA COMUNITÀ IN CAMMINO. IL CAMMINO DELLA COMUNITÀ IL TERZO SETTORE IN ITALIA pp. 128, L. 25.000 Si cercherà di far comprendere, anche attraverso il contributo di autorevoli esponenti del settore, che cosa si intende per "terzo settore", da quali organizzazioni è composto, quale è la sua azione in Italia e come viene legittimato dalla legislazione. Si cercherà .inoltre, di focalizzare l'attenzione sull'uomo che partecipa e favorisce lo sviluppo del terzo settore: il volontariato, il cooperatore sociale. DISTRIBUZIONE P.D.E. C.P. 156,61029 URBINO FAX 0722/320998 elaborazione del lutto. Ne viene fuori una sorta di romanzo a più voci, anche . formalmente eterogeneo, nel quale le testimonianze rese nel 1829 da Constanze e Aloisia Weber ai coniugi Novello si alternano con le lettere e i diari della stessa Constanze, con le considerazioni del colto cognato Joseph Lange e con il silenzioso culto paterno di Franz Xaver Mozart. In ossequio al postulato del romanzo, anche la genesi delle opere deve essere ricostruita attraverso la memoria postuma dei sopravvissuti. I dialoghi, le interviste, i ricordi sono naturalmente inventati secondo il filo di una fondamentale verosimiglianza, tale da rivelare una lunga consuetudine dell'autore con la propria materia. Ma forse proprio in virtù di questa competenza le opzioni interpretative, tanto nei dettagli quanto nella visione d'insieme, finiscono per non scostarsi troppo dagli schemi resi consueti dalla tradizione critica e si attendono invano quelle illuminazioni che il glorioso genere della novella mozartiana (da Hoffmann a Mòrike a Furnberg) -cui del resto solo parzialmente il libro di Siciliano si lascia ricondurre - ha dispensato in forme tanto più libere e letterariamente feconde. Piero Cresto-Dina Roberto Cotroneo, Otranto, Mondadori, Milano 1997, pp. 268, Lit 27.000. Dopo Presto con fuoco, un romanzo dedicato alla musica, ecco una nuova opera narrativa di Cotroneo che fin dalla prima pagina denuncia l'ambizione di trattare i temi inerenti all'arte figurativa: la luce, le ombre, i colori. E intorno a quest'idea si affollano immediatamente paesaggi contrapposti (l'Olanda e Otranto), demoni e fantasmi, visioni e immagini concrete. La pagina è costruita con l'uso di una scrittura rigorosa e di brevi e leggeri assaggi di cultura: un pensiero su Ulisse, etimologie e simboli, e soprattutto la descrizione e l'interpretazione iconologica del mosaico delia cattedrale d'Otranto che Velli, la bionda protagonista olandese, ha il compito di restaurare. Un disegno che svela le sue molte pretese man mano che si evidenziano i tre moduli principali della narrazione: quello dell'irruzione del soprannaturale nella vita quotidiana (attraverso figure misteriose che emergono dal passato), quello del recupero della memoria personale e dell'identità (attraverso l'evocazione, da parte delia protagonista, della madre psicologicamente instabile, capace di tagliare i diamanti e scomparsa misteriosamente in mare) e quello della ricostruzione di una vicenda storica (attraverso le rapide incursioni sulla scena dell'eccidio degli abitanti di Otranto durante l'assedio turco del XV secolo). Si tratta, com'è evidente, di scelte di notevole impegno, oppresso dalle quali l'autore non può che soccombere, nel naufragio di pagine sempre uguali, di soluzioni narrative provvisorie e di una superficialità camuffata da profondità. L'effetto finale di quest'operazione di mimesi e travestimento è quello d'ingenerare una struggente nostalgia di altre pagine e altre storie; vengono in mente, per contrasto, alcuni classici di storie di fantasmi, in cui il brivido nasce dall'attrito fra un quotidiano ■credibile (qui assente) e un inverosimile "vero" (come, per esempio, in Ghosts don't kill di Kettridge); viene in mente, soprattutto, L'ora di tutti di Maria Corti (Bompiani, 1991), che attraverso la rievocazione della stessa vicenda dei martiri di Otranto compiva un'appassionata ricognizione sui moventi delle azioni umane nell'ora del sacrificio, quella in cui idee, convinzioni e paure vengono sottoposte a un'estrema verifica: Cotroneo finisce paradossalmente per annegare ogni inquietudine proprio maneggiando "con mani impure" - per usare il suo linguaggio vagamente esoterico - le cose grandi che richiedono maggiori conoscenze e abilità; di fronte all'appello ansioso dell'autore, disagio mentale, violenza, morte, sacrificio, identità perduta si inabissano subito, irridendo ali'hybris, nel "mare profondo dei pensieri divini". Monica 'Bardi Stefano Benni, Bar Sport Duemila, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 165, Lit24.000. Stefano Benni ha abituato i lettori all'uscita dei suoi libri a scadenze periodiche, un po' come Woody Alien nel cinema. E come gli spettatori di Alien, i lettori di Benni sono portati a ripercorrere il cammino dell'autore ogni volta che esce una nuova opera, confrontandola con le precedenti. Per quest'ultima raccolta di racconti il confronto è poi obbligato. Il titolo richiama quello di uno fra i suoi libri più riusciti, pubblicato vent'anni fa e già incentrato sulla vita vissuta e raccontata da frequentatori assidui e occasionali di bar. Il carattere degli ambienti è lo stesso, anche se aggiornato all'evoluzione di certi particolari di costume, come il cambio dei banconi, ora "superaccessoriati" e modello "inferno di cristallo", o il tramonto della brioche stile "L'uisona", ormai superata dalle pastine mignon. I protagonisti sono quindi rinnovate caricature di stereotipi, dal "neo-tecnico" calcistico, dotato di un gergo sempre più storpiato dal linguaggio televisivo, a "i due che devono andare al cinema" e aH"'incazzato da bar", raccontati sempre con grande vivacità e delicata ironia, alternata con la fantasia dei pezzi legati alla vena di Terra! o di Elianto, come quello sulle avventure del piccolo krapfen Franz. Ne risulta un panorama molto vario di profili umani, decisamente più nevrotico di vent'anni fa (ne è l'emblema il "drogato da telefonino" che estrae in continuazione il suo apparecchietto come un pistolero con la colt). S'intrav-vedono desideri e debolezze ' che trascendono le limitate prospettive dei piccoli ambienti da bar di periferia bolognesi da cui prendono spunto (in realtà chi conosce la città ne ricorderà uno anche in centro, da sempre gremito di "neo-tecnici", che porta il nome di un'opera verdiana). Non ci sono dubbi sul fatto che Benni abbia creato un genere coltivato così bene da renderlo inaccessibile a chiunque altro per timore del para: gone. E così potrebbe continuare a divertirsi e a divertire ancora a lungo. Ma quello che forse manca ai suoi lettori, in questi tempi di appiattimento e allineamento su tutti i fronti, moderati ed estremi, è il Benni giornalista e scrittore politico, con una posi- zione precisa ma del tutto originale e, per usare Un termine abusato, veramente "scomoda". Se non sono superati i Bar sport, lo sono ancora meno le Tribù di Moro Seduto. Riccardo Ventura Michele Serra, Il ragazzo mucca, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 217, Lit 25.000. "Se io fossi soddisfatto di quello che ho scritto e di come ho vissuto (...) non sarei qui". È questo il motivo per cui Antonio Lanteri, quarantenne direttore del più importante quotidiano di sinistra del paese, "intellettuale brillante", ha abbandonato il giornale, i dibattiti che lo attendono, le interviste - "dal gel a Dio" -, in una parola il suo prestigioso ruolo pubblico, per rifugiarsi nella casa di famiglia in montagna. Il romanzo è la storia, ben scritta e non troppo avvincente, del rigetto fisico e psicologico di quel ruolo. I salutari rimedi sono, invece, il contatto con i famigliari e le "cose concrete da fare", "minime e tangibili", tra polpettoni, mucche, funghi e pupazzi di neve, il tutto scandito dall'osservazione quasi ossessiva del corpo e dei suoi sintomi. In questa cornice si inseriscono i ricordi del protagonista: l'adolescenza milanese tra cortei e primi amplessi, ma soprattutto le estati a Val-masca di cui la casa e le montagne circostanti sono state il principale teatro (la sua fuga lì è infatti un ritorno e una regressione). Queste parti, in cui maggiore è il peso dell'invenzione narrativa, risultano forse le più godibili del romanzo. Il racconto della crisi del protagonista, invece, risente di una certa difficoltà. Come il protagonista Lanteri, pur rifugiato tra i monti, finisce per tornare continuamente sul tema dei suoi rapporti con il mondo dei mass media (inchiodandovi anche il lettore), così Serra non riesce a fornire alla storia di un intellettuale di sinistra in crisi un respiro che la affranchi del tutto dagli stereotipi del dibattito giornalistico. Non a caso i personaggi più legati alla memoria e al passato del protagonista - e più lontani dall'attualità -sono i più riusciti del libro: lo zio comunista e miliardario, straripante di vitalità, che per i suoi stravaganti tentativi di impiantare imprese a conduzione collettivistica in vari paesi del Sud America finirà nelle liste argentine dei desaparecidos-, e il padre, stimato micologo, che per indole e per mestiere alle avventure del fratello ha preferito'una vita schiva e silenziosa, tra la penombra dei boschi, le minuziose catalogazioni e i fornelli. L'intera crisi di Antonio segue appunto un percorso che, allontanandosi dalla chiassosa vacuità delle rotative, si avvicina al modello paterno. Tiziana Magone Luciano Ligabue, Fuori e dentro il borgo, Baldini & Castoldi, Milano 1997, pp. 179, Lit 22.000. È in una quarantina di brevi racconti, ritratti veloci, frammenti di storie che Luciano Ligabue, cantautore rock abituato alle folle di spettatori, racconta l'angolo di Emilia da cui proviene e a cui torna, quando può. È l'Emilia casareccia dei locali dove si balla il liscio, del Bonanza che trascorre la vita al cinema e, a fine film, rifà per la strada le scene madri, sparando all'impazzata o improvvisando mortali colpi di kung fu, del Condor che conosce a memoria tutti i tipi di treni, locomotive, carri merci che passano per la Verona-Brennero, delle zie che hanno fatto la Resistenza, dei pranzi di nozze con trecento invitati e il sosia di Elvis che balla sui tavoli. Ligabue racconta con tenerezza e divertimento, con tristezza talora, le storie della gente accanto a cui è cresciuto, le violenze e le allegrie. Altri frammenti sono dedicati alla vita musicale di Ligabue, ai concerti negli stadi, ai compagni di tournée che, finito di smontare il palco, vanno in cerca di donne. Riecheggia talora in queste pagine l'eco del primo Tondelli, cui è peraltro dedicato un ricordo affettuoso: un Tondelli addomesticato e ingentilito però, privo di quell'inquietudine selvatica che abbiamo letto nelle pagine di Altri Libertini, un Tondelli, se mai, visto come ispiratore, lui per primo ad aver colto, di quell'Emilia provinciale e apparentemente un po' sonnolenta, la tristezza sotterranea e disordinata. Le pagine migliori del libro di Ligabue sono dedicate ai personaggi che caratterizzano la vita di paese, pagine talvolta di vivido diver-.timento, come quelle sull'irresistibile vecchietto reduce da una guerra d'Africa sempre più lontana nel tempo e sempre più affollata, nell'instancabile raccontare del protagonista di eroismi impressionanti, leoni enormi sbudellati con una mano sola e aerei abbattuti a pugni dall'eroe arrampicato su una palma. Meno bello e coinvolgente il libro quando invece racconta dei concerti e della vita sul palco: l'inevitabile retorica del rock prende un poco la mano all'autore, sia quando racconta dei concerti degli altri, quelli visti dal parterre, sia quando descrive i suoi e tenta di trasmettere al lettore le emozioni che prova, il dispiegarsi dell'energia durante fa musica, la forza che si libera gridando in un microfono. La lingua dei libri e quella delle canzoni sono cose diverse; non sorretta dalla musica, quest'ultima occupa la pagina con eccessivo rumore, diventa ingombrante e, alla fine, un poco stonata. Cristina Lanfranco