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Idei libri delmese|
FEBBRAIO 1998

N. 2, PAG. 40
schede
Camilla Bettoni, Antonia Rubi-
no, Emigrazione e comporta-
mento linguistico. Un'indagi-
ne sul trilinguismo dei sicilia-
ni e dei veneti in Australia,
Congedo, Galatina (Le) 1996,
pp. 226, Lit 40.000.
Nelle scuole elementari australia-
ne l'italiano è, inaspettatamente per
i non addetti, la seconda lingua con
il maggior numero di scolari, e
all'università la terza lingua per
iscrizioni dopo il giapponese e il
francese. D'altra parte, gli italiani
stabilitisi in Australia nel trentennio
1947-76 (circa 280.000), insieme a
figli e nipoti, costituiscono la secon-
da comunità etnica, dopo quella an-
gloceltica. Quali ne sono le caratte-
ristiche dal punto di vista del com-
portamento linguistico? Si può par-
lare di perdita linguistica? E in che
termini? Il libro di Bettoni e Rubino
risponde, con abbondanza dì dati,
accuratezza metodologica e rigore
di analisi, a queste (e altre) doman-
de, in una prospettiva di sociologia
del linguaggio, analizzando quindi
l'ambito d'uso di ciascuna lingua -
italiano, inglese, dialetto - nella co-
munità italiana di Sydney, secondo
parametri situazionali, demografici
e culturali. Il testo si compone di sei
capitoli: nel primo, introduttivo, si
presenta la comunità italo-australia-
na e il quadro teorico dell'indagine
(le tematiche dei "domini", della "di-
glossia", della sostituzione dì una
lingua con un'altra, o language
shift). Nel secondo capitolo, di ca-
rattere metodologico, si introduce il
questionario e la caratterizzazione
sociodemografica e socioculturale
del campione (202 persone). Nel
terzo, di analisi, si documenta il
comportamento linguistico dei sog-
getti nei diversi domini (come si par-
la in/con: famiglia, amici, estranei,
negozianti, professionisti, prete, la-
voro, scuola, se stessi), secondo
l'argomento e il luogo della conver-
sazione, ben valutando la comples-
sità delle variabili coinvolte: età,
sesso, istruzione, occupazione,
contatti con media e libri italiani, fre-
quenza dei viaggi in Italia, ecc. Nel
quarto capitolo i dati analitici del
questionario vengono discussi nelle
loro tendenze generali: fondamen-
talmente la dialettofonia di partenza
della comunità italo-australiana e
l'attuale avanzato stadio del pas-
saggio all'inglese; l'italiano è privile-
giato nei domini "più pubblici, for-
mali, etnici e regionalmente etero-
genei delle transazioni, dell'estra-
neo e della chiesa". Viene inoltre
confermata la doppia ipotesi inizia-
le: "(i) alla variazione nel livello di
formalità del dominio corrisponde
una diversa distribuzione delle lin-
gue, (ii) la diglossia di partenza de-
gli italiani si è mantenuta anche nel
contesto d'emigrazione". Nel quinto
capitolo si confrontano questi dati
con quelli di altre lingue immigrate
in Australia, con dialetto e italiano in
Italia e all'estero. Nelle conclusioni
(capitolo 6) si mettono in rilievo le
forze favorevoli (la distanza geogra-
fica dell'Italia, l'invecchiamento del-
la prima generazione e la mancan-
za di nuovi arrivi, la discreta affinità
culturale con il gruppo dominante,
la mobilità sociale) e sfavorevoli
(consistenza e concentrazione del-
la comunità italiana, alti livelli di en-
dogamia, coesione famigliare alta)
allo shift verso l'inglese, destinato a
proseguire, soprattutto a svantag-
gio del dialetto. In appendice trovia-
mo il testo completo del questiona-
rio e dettagliate tabelle dei dati.
Carla Bazzanella
Le lingue indoeuropee, a cura
di Anna Giacalone Ramat e
Paolo Ramat, Il Mulino, Bologna
1997, pp. 546, Lit55.000.
Si deve alla rinnovata cura di Anna
Giacalone Ramat e di Paolo Ramat,
coadiuvati dall'ottimo lavoro di Pier-
luigi Cuzzolin, la seconda edizione
di uno degli strumenti più importanti
che siano oggi a disposizione di chi
voglia essere informato sulle più re-
centi acquisizioni dell'indoeuropei-
stica. Ai tre saggi introduttivi che val-
gono quale preziosa sintesi dei nodi
fondanti l'indoeuropeistica (Campa-
Eva Wiberg, Il riferimento tem-
porale nel dialogo. Un con-
fronto tra giovani bilingui italo-
svedesi e giovani monolingui
romani, Lund University Press,
Lund 1997, pp. 300, s.i.p.
Questo volume è interessante sot-
to diversi profili: dal punto di vista
teorico si affrontano in modo chiaro
e aggiornato le tematiche del bilin-
guismo, della temporalità e dell'azio-
ne verbale all'interno del discorso;
dal punto di vista della ricerca, ben
organizzata metodologicamente, i
risultati sono interessanti anche per
il confronto con altri studi sull'acqui-
sizione e l'uso del sistema verbale
dell'italiano. Il corpus è costituito di
due parti; 24 dialoghi di giovani sve-
desi bilingui, registrati tra il 1991 e il
1992 durante le ore di insegnamento
di "italiano madrelingua" che la Sve-
zia prevede per gli alunni di famiglie
moderno in cui le grandi domande
filosofiche, prima di sfociare nei mil-
le rivoli dello specialismo, hanno
trovato una sorgente unitaria. Il
conflitto fra due dei suoi maggiori
interpreti, Husserl e Heidegger, è
stato oggetto di ricerca sistematica
fin dagli anni trenta, e se la biblio-
grafia relativa è imponente, scarsa
è invece la documentazione diretta.
Assumono perciò particolare im-
portanza le annotazioni, ora pubbli-
cate, che Husserl appose alla co-
pia di Essere e tempo regalatagli
da Heidegger qualche anno prima
con una dedica che, proclamando
"ammirazione e amicizia", introdu-
ceva in realtà una rottura definitiva
nei confronti del maestro. Un docu-
mento d'importanza storica, ma an-
che teoretica: è infatti da simili
esempi di filosofia applicata, di ve-
ra e propria "fenomenologia al lavo-
ro" che si può trarre impulso per
nile, Antichità indeuropee: Watkins,
Il proto-indoeuropeo: Comrie, La fa-
miglia linguistica indoeuropea: pro-
spettive genetiche e tipologiche)
fanno seguito densi capitoli dedicati
a singole lingue o a gruppi di lingue,
illustrate nelle loro linee essenziali,
con particolare attenzione per i piani
fonologico, morfosintattico e lessica-
le. A Lazzeroni si deve il capitolo sul
sanscrito e a Winter la trattazione del
tocario; l'armeno è stato affidato ad
Ajello, il greco a Hoenigswald, il lati-
no a Vineis, l'albanese a Demiraj. I
capitoli dedicati a gruppi linguistici
sono: Luraghi, Le lingue anatoliche:
Silvestri, Le lingue italiche: Sims-Wil-
liams, Le lingue iraniche e Le lingue
celtiche: Andersen, Le lingue sla-
ve: Ramat, Le lingue germaniche:
Schmalstieg, Le lingue baltiche. Va
da sé che i singoli capitoli, pur nel ri-
spetto della consegna generale se-
gnalata dai curatori (il capitolo di Ra-
mat, dedicato alle lingue germa-
niche, fungeva, tra l'altro, da prototi-
po), risentono delle scelte idiosin-
cratiche dei singoli autori; così, piut-
tosto orientati verso la dimensione
storico-diacronica sono gli inter-
venti di Lazzeroni, Vineis, Ajello, Sil-
vestri e Demiraj; di orientamento ti-
pologico sono invece i capitoli dì
Comrie e Ramat; opportunamente
oscillanti tra l'uno e l'altro polo sono,
in buona misura, i restanti capitoli.
La lettura del volume, se si fa ecce-
zione per i primi tre capitoli di carat-
tere generale, richiede un lettore
che abbia buone conoscenze di fo-
netica storica e di morfologia com-
parata. Utilissimo l'indice analitico
degli argomenti che permette, a chi
lo voglia, l'attivazione di percorsi in-
crociati, stimolo per ricerche ad
ampio raggio.
Emanuele Banfi
composte da almeno un genitore di
origine straniera, e 12 dialoghi con
alunni di una scuola media romana,
tra i 10 e i 14 anni. La dettagliata
analisi delle forme verbali nel corpus
bilingue e monolingue si sofferma in
particolare sul passato (molto usato)
e sul futuro (poco usato), dati i tipi di
testi raccolti: "mini-narrazioni" e pro-
getti per il futuro. L'autrice tiene giu-
stamente conto dei vari parametri in
gioco, a partire dall'importanza del
contesto e della specifica situazione
dialogica, al livello di competenza
linguistica, ai fattori azionali, funzio-
nali, aspettuali relativi ai tempi ver-
bali usati, e all'organizzazione del di-
scorso. Nella conclusione si discuto-
no i risultati nelle linee di tendenze
generali, come l'implicazione forma-
le (Presente (/infinito) > participio
passato / passato prossimo > imper-
fetto > futuro > condizionale > con-
giuntivo), che viene rispettata anche
nei giovani bilingui svedesi. Un dato
interessante da un punto di vista ge-
nerale dell'acquisizione è il fatto che
i bilingui sembrano rappresentare
una terza categoria, tra gli appren-
denti di lingua materna e quelli di se-
conda lingua, rispetto all'uso del si-
stema verbale italiano, che viene co-
munque semplificato anche da par-
te dei monolingui. Ricca e precisa la
bibliografia.
(c.b.)
Edmund Husserl, Glosse a Hei-
degger, a cura di Corrado Sini-
gaglia, Jaca Book, Milano 1997,
pp. 122, Lit20.000.
La fenomenologia è forse una
delle ultime correnti del pensiero
una riformulazione delle domande
originarie e un rinnovato incontro fi-
losofico con le cose del mondo. Se
l'appello di Husserl a una libertà
dalla contingenza del reale diventa
in Heidegger una liberazione dalla
realtà fenomenologica stessa nel ri-
cupero del senso dell'essere in ge-
nerale, non è detto che il sentiero
aperto da tale "parricidio" non deb-
ba essere ripercorso all'indietro,
anche solo per ritrovare l'autentica
passione filosofica che divide pri-
ma le idee e poi le persone.
Benedetta Antonielli
Ugo Volli, Fascino. Feticismi
e altre idolatrie, Feltrinelli, Mila-
no 1997, pp. 176, Lit28.000.
"Son le cose che pensano ed
hanno di te sentimento. Esse t'ama-
no e non io", così cantava Lucio
Battisti nel Don Giovanni. E a leg-
gere il dotto saggio di Ugo Volli sul
feticismo si apprezza ancor di più la
fulminea incisività di quel verso di
canzonetta. Tra i tanti rituali osser-
vati dal feticista, il più importante è
proprio quello df donare la vita a ciò
che vita non ha, le cose, e toglierla
a chi invece l'ha. Agli occhi del feti-
cista la donna diventa una cosa, il
suo corpo si reifica, perde (o non ha
mai avuto) l'afflato vitale, mentre le
sue scarpe, le mutandine di pizzo,
o addirittura i suoi capelli rossi o il
seno o il piede, astratti dal resto del
corpo, diventano soggetti a sé, vivi,
dotati di fascino irresistibile e au-
tentica personalità. Lo sguardo del
feticista sessuale, che da Freud in
poi per definizione è solo maschio,
non è mai uno sguardo panorami-
co, ma è una visione parcellizzata,
che spezzetta il mondo e isola il fe-
ticcio, facendolo emergere come
un Dio a cui è dovuta adorazione. È
la capacità seduttiva degli oggetti
di cui amiamo circondarci, è il "sex
appeal dell'inorganico", come lo
chiamò Walter Benjamin. Fu lo stes-
so Freud a dare la prima spiegazio-
ne, forse non del tutto convincente
ma da allora rimasta sostanzialmen-
te inattaccata. Quando il bambino
guardò i propri genitali e vide che
erano assenti nella madre, non volle
crederci e immaginò una madre fal-
lica. I feticci del piede, della scarpa
col tacco, del seno dalla grande
areola non sono altro che la concre-
tizzazione del fallo materno immagi-
nato. Ma il feticismo non è solo ses-
suale. È economico (il "feticismo
delle merci" di Marx) e soprattutto
religioso. Il termine deriva dal porto-
ghese seicentesco fetisso, quando i
mercanti cattolici inorridirono per gli
dèi informi, artificiali e fittizi degli in-
digeni della Guinea. Un termine
dalla sorprendente forza, che dopo
quattro secoli ancora dà il nome
all'unica vera fede della modernità
disincantata, la "religione delle co-
se", come la chiama Volli.
Nicola De Muro
Virgilio Melchiorre, Creazione,
creatività, ermeneutica, Mor-
celliana, Brescia 1997, pp. 86,
Lit 14.000.
Se si esclude l'accenno del Ti-
meo, l'idea di creazione sembra
estranea al pensiero greco, ed è in-
vece al centro della cultura occi-
dentale, fino a proporsi come una
metafora dello stesso agire umano
nel suo aspetto più misterioso: la
produzione di novità. Nei due saggi
brevi che formano il volume la do-
manda - e la sfida - di Melchiorre è
se sia possibile pensare la creazio-
ne rimanendo nel solco del dettato
biblico, che non si svolge com'è no-
to in una metafisica ma in una pro-
spettiva di salvezza. Il primo passo
sarà la presa d'atto della finitezza
(dell'ente), che non sarebbe tuttavia
possibile senza una "precognizione
originaria, senza un a priori pre-
comprensivo dell'essere incondi-
zionato". Riaffiorano così le linee
maestre della metafisica cristiana,
dal rinvio anselmiano e poi cartesia-
no del finito all'infinito, al tema tomi-
stico dell'ana/og/a entis. La molte-
plicità degli enti comporta, come
sua condizione, un identico che
possa parteciparsi senza risolversi
nella molteplicità delle differenze e
delle determinazioni. E la creazione
sarà appunto questo parteciparsi
dell'identico che è insieme un sot-
trarsi, secondo un'ambiguità che è
il marchio stesso dell'analogia. Il se-
condo saggio si sofferma invece
sulla semantica della creazione
considerata anzitutto come gesto
artigiano, come il "dividere" origina-
rio che sembra inscritto nel raccon-
to della Genesi (la radice BR), e a
cui fa seguito un "comporre" o un
"raccogliere" altrettanto originario.
La creazione diventa così, indagata
nel suo etimo, la "scrittura trascen-
dentale" dell'agire umano, quella
che il pensiero occidentale dai gre-
ci a Heidegger non si stanca di ri-
pensare in termini di logos.
Flavio Cuniberto