Dopo La variante di Luneburg e Canone inverso, il racconto di un gioco crudele e di un indicibile segreto. L. 12.000 Mincu Ho conosciuto Mincu ventidue anni fa, quando avevo appena otte- nuto la docenza per incarico di se- miologia e Marin era mio collega di lingua e letteratura romena nel- l'Università di Torino. Stavo scri- vendo la voce Allegoria per VEnci- clopedia Einaudi (uscita nel 1976) e l'itinerario labirintico di quel lavo- ro, tra simbologie e stratificazioni del significato, rapporti fra Dio e natura, linguaggi e storia mi aveva avvicinato all'oriente d'Europa con la Storia geroglifica di Dmitri Cantemir, principe di Valacchia (1673-1723). Avevo così appreso con l'aiuto di Mincu il senso di una concezione della storia come ri- scrittura universale, come fonte di saggezza, animata da una conce- zione religiosa della tradizione che in qualche modo costituiva la pro- secuzione, in un territorio limi- trofo, della Povest' russa straordi- nariamente introdotta da Lichacév (Einaudi, 1971). Lo stesso emergere di un'identità transazionale fra i Carpazi e il Mar Nero, tra la Russia e l'impero otto- mano, si presentava come una delle basi più stimolanti per comprende- re l'insistenza con la quale Lotman e Uspenskij, allora appena tradotti in italiano, avevano introdotto il concetto di frontiera, della sua mo- bilità, e le interpretazioni semioti- che della cultura in senso spaziale. Un'altra fonte, altri stimoli del dialogo intellettuale con Mincu fu- rono prodotti dalle ricerche da lui intraprese sulle fiabe romene di magia, sui modelli narrativi a cui ri- spondevano e sui motivi a cui attin- gevano. Si trattava principalmente dell'idea dei "mondi sovrapposti" e dunque dei dispositivi simbolici o espedienti narrativi che consento- no all'eroe folklorico di transitare fra terra e aldilà ultraterreno e fia- besco. L'area romena è più conser- vativa ui altre del territorio roman- zo e dunque tende a recare traccia di fasi arcaiche: e un arcaismo cul- turale è costituito certamente dalla rappresentazione del mondo fiabe- sco come mondo collocato in un al- trove difficilmente raggiungibile, quasi una terra mitologica remota ma in qualche modo collegata con quella dell'esperienza quotidiana. Da questi interessi scaturirono due testi di Mincu che pubblicai nella collana di semiologia da me diretta presso l'editore Giappichelli di To- rino e poi il volume sulle fiabe ro- mene di magia edito da Bompiani. Mincu mi coinvolse successiva- mente, prima in un suo libro di in- terviste sulla semiotica in Italia e in due volumi dedicati, il primo alla fortuna di Eliade in Italia, il secon- do a Eminescu e il romanticismo europeo; a lui devo appunto la sco- perta di questo subcontinente del- la cultura europea che è rappresen- tato dall'area romena, nella quale, più facilmente che altrove, i temi folklorici passano nella letteratura, mostrando fra loro, come osserva Avalle, quell'"unità interna che le determina e le giustifica". Ecco che con le poesie e poi con i romanzi - i due "diari", quello di Dracula (1992) e ora quello di Ovi- dio (tutt'e due usciti presso Bom- piani) - Mincu rafforza non soltan- to la sua identità di intellettuale po- liedrico e multiforme, ma anche una delle sue missioni, quella di ambasciatore della cultura romena in Italia e in Europa. (gc) OSCAR ORIGINAL,INEDITI D'AUTORE non ha paura dei suoi "residui" e della sua "spazzatura", come di- rebbe Hillman. ("Le mie valigie si sono riempite di stracci e di ricor- di", osserva Ovidio). E ancora Hillman (Il sogno e il mondo infero, Comunità, 1984) potrebbe aiutarci a capire che for- se nei diari di Mincu (cioè di Dra- cula e di Ovidio) non ci troviamo nel tempo di un racconto ma nello sare Augusto, ma abbia scelto vo- lontariamente, asceticamente l'esi- lio: "Quel gigantesco fluire - os- serva nel romanzo l'io narrante del poeta - riusciva a stordirmi, a de- vastare la mia dimensione interio- re. Sono scappato per salvarmi, per potermi ritrovare: avvertivo l'esigenza di sottrarmi alle oppres- sioni della mondanità". Impossibile non cogliere in que- Come pesce negli abissi di Giancarlo Caprettini Marin Mincu, Il diario di Ovi- dio, Bompiani, Milano 1997, pp. 280, hit 27.000. Mincu è esploratore della cultu- ra arcaica, precristiana della pro- pria terra, regione di passaggi e scontri epici fra popoli, imperi e religioni, dove si percepisce un ri- chiamo possente alla corporeità, alla tragicità del destino, ma anche la conseguente necessaria aspira- zione a un riscatto dagli orrori e dalle miserie della quotidianità. Un riscatto che nell'Qvidio rico- struito da Mincu passa attraverso il disincantato compito profetico della poesia, che ci ripropone (con accenti che richiamano Sade, Rim- baud, Pasolini) il quadro sangui- nario del presente e il miraggio, os- sessivo e delirante, ma anche salvi- fico, di un tempo venturo, mitolo- gico, in cui appunto Ovidio viene accolto nel grembo divino; di un eterno ritorno - quello di cui parlò il romeno Eliade - che riporti la poesia, la scrittura al programma di Orfeo, alla discesa e risalita da- gli inferi. Mi sembra che si possa sostene- re che nel lavoro di Mincu, come hanno fatto Borges per le tradizio- ni occidentali e indoeuropee e Garda Màrquez per quelle suda- mericane, l'eredità del passato e il sapere folklorico lavorino per rafforzare una continuità e per ri- dare spessore alle identità cultura- li; uno spessore che le salvaguardi (e ci salvaguardi) dai processi di totalitarismo insiti nell'attuale espandersi delia globalizzazione in campo culturale. Quest'ultima, col pretesto di esercitare tolleranza e universali- smo, finisce per schiacciare l'uma- nesimo transnazionale di cui ab- biamo bisogno, sostituendolo con slogan transitori e con il richiamo a una postmodernità (e a un post- modernismo) che non di rado so- no alibi per consentire agli intellet- tuali di sottrarsi al compito peda- gogico di ricominciare ogni volta a spiegare origini, principi e pro- spettive di ogni pensiero e di ogni conseguente, coerente attività. Ne II diario di Ovidio la sacraliz- zazione della natura vegetale e ani- male - perfettamente in linea con 10 spirito delle originarie Meta- morfosi ovidiane - e, d'altra parte, 11 progetto di immergere l'uomo nel linguaggio delia materia facen- dogli fare i conti con la corporeità, la sofferenza, la morte, ma anche con i disegni di una metempsicosi (anche in funzione psicoterapeuti- ca di autoanalisi), assumono i con- torni di un certo surrealismo ma- gÌCO- • . , Più precisamente vorrei dire che mi sono tornati alla mente i deliri di Salvador Dall' nel suo Diario di un genio: anche lì la presenza di una dea nutrice (Gala, la moglie del pittore; Aia nel libro di Min- cu), l'ossessione sadomasochistica di insetti ripugnanti, l'aspirazione allucinatoria a un ruolo profetico dell'artista che ha un'irresistibile vocazione cosmogonica, segnano una scrittura che mescola - e talora fonde - le sollecitazioni del "bosco sacro" poetico, evocato indiretta- mente nella sua funzione iniziatica, con lo sprofondamento onirico in un inconscio frammentario che condividere: "Il nostro pensiero ci suggerisce dei modelli d'ordine che la società interamente disgre- gata nella quale viviamo non sem- bra più capace d'accogliere. Si tro- va, o almeno si può trovare, molto più ordine in noi che nel mondo. La vertigine è all'esterno". Ma c'è un dettaglio che ci fa comprendere un'altra affinità fra i due autori, o meglio i tratti costi- tutivi di ogni scrittura diaristica, in cui ciascuno è alle prese con un inconscio difficile da localizzare: Mincu-Ovidio si immerge "nel si- lenzio della notte come un pesce si inoltra negli abissi più profon- spazio di un'immagine, dove que- st'ultima "presenta una condizio- ne eterna dell'anima, cioè sempre in atto e ripetitiva": è forse per questo motivo che Mincu ricorre alla scrittura diaristica per costrui- re a mosaico un pensiero ossessivo ammantato di figurazioni deliranti fortemente associative, dove la realtà dei sensi transita continua- mente nell'onirico, nell'invisibile. Sotto questo aspetto si com- prende anche perché, per un'esi- genza di autoliberazione, di affran- camento dalle pastoie della politi- ca e del potere, Ovidio, nell'inter- pretazione di Mincu, non sia stato allontanato dal suo mecenate Ce- ste parole precisi spunti autobio- grafici, da parte questa volta di Mincu scrittore, immersi in una particolare contraddizione; analo- gamente, Denis de Rougemont, anche lui esiliato volontario nel 1933-34 nell'Ile de Ré, anche lui autore di un appassionato Diario (ora opportunamente tradotto da Fazi) aveva parlato di intellectuel en chòmage: intellettuale "disoccu- pato" che ha però paradossalmen- te bisogno dei media, delle istitu- zioni, dei lettori (e dei loro riti) per essere riconosciuto come tale. An- notava Rougemont, capovolgendo il Werther goethiano, una riflessio- ne che l'Ovidio di Mincu potrebbe di"; e Rougemont; "L'ora nottur- na, quando non si arriva a dormi- re, non è forse l'ora delle nostalgie malvagie?". E così che il surreali- smo tragico di cui ho parlato di- venta quasi un alibi per far passa- re da testimonianze quotidiane della veglia quelle che sono verti- gini poetiche oniriche, e per na- scondere sotto i termini "società" e "storia" tutto ciò che si vorreb- be percepire come esterno e im- personale.