Idei libri del mese| NOVEMBRE 1996 C-C^tXL Che forza, la Cazzimberti di Franco Marenco Remo ceserani, Viaggio in Ita- lia del dottor Dapertutto. At- traverso vizi (e virtù) degli in- tellettuali, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 312, Lit 20.000. Non sappiamo se quella virtuosa parentesi nel sottotitolo sia una crowning irony, un definitivo gesto ironico dell'autore nei confronti dei suoi bersagli, oppure una falsa pista, un'offerta di conciliazione obliqua- mente fatta ai bersagli stessi, che poi sono il suo pubblico; né vogliamo ri- solvere il dubbio, perché la prima ipotesi gli alienerebbe qualche letto- re, mentre la seconda lo ridurrebbe, Dio ne scampi, allo stesso livello dei suoi personaggi o figure. Fatto sta che di virtù qui proprio non se ne vedono - e forse, a pensarci bene, neanche di vizi: gli intellettuali (ita- liani) danno vita a una passerella di tipi poco raccomandabili ma inno- cui, e tutti coinvolti in rituali e tran tran di non elevatissimo profilo. Questa è la satira tollerante di Ceserani, da non confondersi con quella feroce che David Lodge, per esempio, rivolge all'accademia. Qui il discorso vuol essere più am- pio, e dare il caleidoscopio della si- tuazione nuova nella quale si è ve- nuto a trovare un ceto tutto intero e tutto vecchio. E il confronto si isti- tuisce fra un prima e un dopo, fra un passato pieno di cultura e sicu- rezze e un presente che procede a tentoni e facciate nei muri, e non riesce a essere più che folclorico - e curioso, e godibile semmai proprio per questo suo folclore un po' mise- rello, per questa sua caduta nel do- minio della futilità, in cui è fin trop- po facile beccarlo, e riderne. A rappresentare quel prima e questo dopo sono due personaggi- viaggiatori, non a caso intellettuali, non a caso tedeschi, appartenenti cioè a quella categoria cui storica- mente noi non abbiamo cessato di guardare, e che non ha cessato di guardare noi, attraverso le lenti di due ben radicate mitologie, all'oc- correnza rispolverabili con ottimi ef- fetti: il professor Palimpsestus, cul- tore dell'Italia e di tutto ciò che è ita- liano, dalla storia alla cucina, che ap- prezza e decanta con spreco di luoghi comuni, di citazioni dai sacri testi e, appunto, di rivisitazioni di miti antichi e moderni; e il suo segre- tario-assistente Dapertutto, buon conoscitore dell'Italia anche lui, ma della sua fatua e scadente attualità, dei suoi minimalistici miti in fieri, e della sua inclinazione a scatenare lotte ed esplosioni sotterranee, a nu- trire maneggi inconfessabili, a esal- tare le personalità meno raccoman- dabili, a compiacersi di una non più presentabile anima. Mai dialogo è risultato più stri- dente: tanto pervaso di devota, ge- nerosa dottrina storica, tanto preci- so nell'evocarne i momenti solenni è Palimpsestus - ma per forza sconta- to, prevedibile, trombonesco, e vo- tato infine a non capire nulla di nul- la, e a ripartire dal Bel Paese ancor più confuso di quando c'era arriva- to; tanto cinicamente rabdomanti- co, tanto lucido e sogghignante pro- feta, tanto avido rinvenitore di an- nacquamenti, e intorbidamenti, e immeschinimenti, e scandalucci, e miserie, e vanità, tanto rassegnato al peggio è Dapertutto - il suo motto: "gratta gratta..." -, una guida spiri- tuale non verso l'alto ma verso il bas- so, un analista raffinato ma necessa- riamente inconcludente, un volon- teroso spettatore condannato a di- vertirsi per difetto, a canzonare dei guitti che non gli riservano altro che mediocrissimi lazzi, senza poter mettere in piedi una storia coerente. Come tutti i viaggi anche il Viag- gio ha le sue bellezze, nei paesaggi, nei luoghi visitati con lo scrupolo se, comunista rinnegato e playboy, aggiunti e mescolati a quelli di Caio, magari economista di oscure origini lucane, neoliberista, ubria- cone e tifoso della Juve. Una storia piccola piccola, un mi- nimo filone di coerenza tra tante vi- cende buffe e desolate sembra a tratti d'intravederli, ora nella caduta della cosiddetta utopia, e con essa dello status di chi ha avuto, e spreca- to, il mandato di tenerla in vita; ora, e più corposamente, nel processo parallelo e contrario, l'emergere nel- la politica nazionale della meteora berlusconiana, e di tutta la destra cosiddetta sommersa, a partire dal Famiglia L'amore e lo sperpero di Edoardo Esposito Anna Maria Carpi, E sarai per sempre giovane, Bollati Bo- ringhieri, Torino 1996, pp. 170, Lit 25.000. Potrebbe anche essere Donne il titolo di questo nuovo romanzo di Anna Maria Carpi, non solo perché di Lidia De Federicis Il 1969 è l'anno in cui Lalla Romano vinse il premio Strega con Le parole tra noi legge- re: anno cruciale, in tempi di rifiuto della let- teratura e di rifiuto dei premi. Il libro facile da leggere, che ora Einaudi ripropone, fu allora un gesto difficile, e solitario. E vero che rifiu- tava la letteratura in quanto professione sepa- rata, per farla incontrare con la vita e caricarla della sua zavorra; ma restringeva poi la vita vera nell'ambito dei rapporti fra madre e fi- glio, senza sfondo che non fosse famigliare e morale, e senz'ombra di cornice sociologica. Oggi l'ideologia del rifiuto è reattiva su al- tri fenomeni culturali. Della letteratura si parla molto e bene: perché intanto si è comin- ciato a temere che essa sia morta o mortal- mente minacciata (dalla contaminazione con la trivial literatur); o che sia comunque dive- nuta un'arte minoritaria e inoffensiva. L'odiosamata letterarietà, nel senso di pro- pensione all'effetto retorico, entra dappertut- to. E invece vacillano i canoni di autori, gene- ri, stili. Oggi nella narrativa (letteratura im- pura!) ipiù numerosi e spesso interessanti so- no i libri imperfetti. Su argomenti di confine. Tipica è la famiglia, un luogo comune ma così adatto a prospettive diverse secondo l'angolo e il ruolo in cui sceglie di mettersi il narratore, dalla parte dei piccoli o dei grandi. Scrittori consolidati, come Pressburger, Pasinetti, Ma- rabini, traggono dalle strutture famigliari l'idea dei loro libri; ed esordienti fra loro di- versissimi, come la vecchia signora Giulia Fiorn (in Non m'importa se non hai trovato l'uva fragola, premio Calvino del 1994 ora pubblicato da 13angolo Manzoni) e Piccolo e Santagata e Nadia Fusini (in La bocca più di tutto mi piaceva, uscito da Donzelli). E altri tentano il breve racconto misto, come Alberto Rollo, autore quest'estate per "Linea d'om- bra" di un bel pezzo, Un'educazione milane- se, dove risale fino ai nonni, su per proletari mestieri e mentalità, sempre affiancando ana- lisi e affabulazione. Dentro le vaste tematiche parentali ci sono due o tre percorsi contigui. Uno taglia i rap- porti orizzontalmente, e diramandosi nell'in- trico delle identità - attraverso gemellarne, fratellanze, primogeniture - tende a cogliere l'individuo singolo, sfiora l'enigma della per- sona, in un orizzonte segnato dall'incontro fra biologia e psicologia. Un altro ha il carat- tere della memoria storica e tende a riflettere sul vicino passato, sul mutamento a metà se- colo. In quest'ottica, chi racconta dei propri genitori può allargare lo sguardo al tessuto della comunicazione sociale, e immaginarsi il vicinato e il quartiere e la scuola e la parroc- chia e il lavoro e il partito. Ma parla del paese che non c'è più e gli tocca decidere se lasciarsi risucchiare o no nella scia pasoliniana del rimpianto. C'è infine la terza via, più nell'ombra. Punta sul ritorno all'infanzia, uno sprofondamento. Tende a restituirci la voce ingenua dei bambini che siamo stati. Qui agisce il mito (antico) del fanciullino as- sieme a una nuova, fredda intelligenza volta a scoprire i meccanismi segreti del cuore. Dentro il sistema culturale appaiono dun- que tendenze disordinate, forse vitali plurali- smi e anacronismi, certo strane (regressive?) correlazioni. Uattrattiva del padre nella so- cietà senza padri; l'attrattiva del piccolo, o del microscopico, nell'età della mondializzazione. ■ della guida turistica, nei piatti e nei vini esaltati con il gusto del perfet- to intenditore; e ha di bello la lin- gua, lo stile in cui si esprime Da- pertutto, il narratore onniscente per forza e quasi per disgrazia, il maestro dell'ammiccamento colto che non trova più risposta nelle co- se, nel materiale umano ormai de- gradato, com'è chiaro fin dai titoli di alcuni capitoli: Grandi costrutto- ri, grandi distruttori, Prudentemen- te conservatore, prudentemente progressista, Bello il comunismo, ma non funziona, Amori in catte- dra, e via di questo passo. A sentir- li verrebbe fatto di pensare a un ro- man à clef, con nomi inventati che nascondono persone riconoscibili al colto e all'inclita, ma si tratta in- vece - pur se potrei sbagliarmi, da- ta la mia scarsa curiosità per i gene- ri e le famiglie della fauna cui ap- partengo, insieme a Ceserani - di costruzioni a mosaico, con i pezzi di Tizio, magari chimico parmen- Giulianone Ferrara (lui sì molto "unico" e riconoscibile, e prima chiamato con apprezzabile nemesi Camillo Paglia, poi col suo nome e cognome), per finire con altri tolti dal folto stuolo dei soliti nani e balle- rine, e rimescolati in nuovi e fastosi grotteschi postmoderni, tutti ani- mati dalla volgarità del "nuovo" po- litico-spettacolar-televisivo. O for- se, più plausibilmente, il vero filo narrativo è da cercarsi altrove, nella confluenza di tutti i protagonisti, e a varie riprese, nelle braccia di un'uni- ca donna, quell'Eterno Femminino qui ribattezzato Umberta Cazzim- berti, maestosa dominatrice di ogni sogno, ogni ambizione, ogni mossa dei nostri poveri intellettuali, e alla fine premiata con una vera e propria apoteosi, l'ennesima fuga con mari- to altrui (ed ennesimo ex), ma su tanto di elicottero inondato di luce, fra la folla plaudente! E se fosse per davvero la Cazzimberti, invece della Storia, a mandarci tutti avanti? si parla di un universo quasi esclusi- vamente femminile, ma perché ciò che sta a cuore all'autrice non è co- sa queste donne facciano, che cosa esse affermino con il loro compor- tamento nella libera Olanda sul cui sfondo si muovono; e non è nem- meno il progetto o l'ambizione che le muove, ma è propriamente il loro essere donne, con la loro bellezza o con il loro corpo un po' sfatto, con il loro desiderio e la loro fragilità, il loro bisogno di emergere ma anche e prima di tutto di amare. L'amore è certo la passione domi- nante, e poco importa, in fondo, che si tratti di amore per lo più omoses- suale, perché non sono i suoi specifi- ci caratteri o problemi a essere ogget- to di attenzione (quello che ha spa- zio, semmai, è il problema generale della donna nella società), ma l'amo- re in genere, il bisogno di affettività e di sicurezza, il suo gioco di offerta, di cattura, di possesso. È così anche per Meta, protagonista o almeno figura primaria di questa storia dei nostri N. 10,PAG. il tempi, persona piena e matura che la vita cerca di costruirsela costruendo- la anche a nome delle altre donne, e che sul passato e sul futuro riflette e si interroga ponendosi non solo il problema del sé ma quello del sé nel sociale; anche per Marjan, tenera e goffa nel suo timido muoversi in un mondo troppo più aggressivo e de- terminato di quanto le sia concesso di controllare; e ovviamente anche per Saskja, grazia e giovinezza, pigri- zia e talento, fascino e perversione, figura necessariamente emergente fra le altre, comprimaria per vocazio- ne e irresponsabile per scelta. Se Meta è la determinazione, Sa- skja è il cambiamento, e se Meta si ammira, Saskja non si può che ama- re. O odiare, naturalmente, vedendo come i suoi vizi finiscano sempre per prevalere sulle sue virtù, e constatan- do il disfacimento che ella non è ca- pace di trattenere del suo cuore e del suo corpo, il buttarsi via di chi dalla vita ha sortito la partenza migliore (ma non è lei che sentenzia "Lo sper- pero è un modo di sentirsi immorta- li"?). Così, se Meta è colei che apre e chiude il romanzo, e quella intorno a cui ruota la storia (le storie), Saskja, di cui si dice a un certo punto che è "la voce della gioventù del mondo", è quella di cui più si vorrebbe sapere, che più ci strega nella sua capacità di parlare, di dipingere, di scrivere, di non fare niente o, come dice sua ma- dre, di "far sempre diverso dagli al- tri". Ma entrambe sono, anzitutto, personaggi (e la seconda, perle ragio- ni dette, più della prima), personaggi che qui fioriscono con invidiabile na- turalità da poche battute di dialogo e nella cui creazione - non è superfluo ricordarlo nella nostra epoca di "ro- manzi di parole" - consiste per molti aspetti l'arte stessa del romanzo. Molte le cose che si fanno apprez- zare in queste pagine, e fra esse pro- prio la capacità di far colloquiare con vivacità e semplicità persone e persone che acquistano per ciò stes- so consistenza e spessore, e alle quali basta aggiungere ben poco perché si alzino e camminino. Questo poco lo aggiunge un narratore sostanzial- mente tradizionale - per quanto mo- dernamente scaltrito nel padroneg- giare voce, modo e tempi del raccon- to - che solo all'inizio si dichiara, o meglio dichiara la sua qualità di testi- mone, di relatore di fatti avvenuti, ma che proprio nel suo sparire dalla scena (onnisciente sparizione), nel li- mitare il suo intervento a cuciture di- dascaliche (fuse e confuse con il di- scorso diretto), trova l'esatta misura che alla materia consente di lievitare. Libro ilare e tragico insieme, per- ché pieno di momenti teneri, allegri, ironici e perché costretto a constata- re la vanità degli sforzi e l'isolamen- to di ciascuno, questo della Carpi si propone davvero come prova origi- nale nella paludosa narrativa con- temporanea, e non certo per la te- matica amorosa, che viene affronta- ta con rara leggerezza, ma per le ri- flessioni che suggerisce e per la scrittura semplice e sapiente, avvol- gente e diretta, pur nei rallentamen- ti qua e là causati dal riproporsi del- la meccanica degli incontri erotici, sempre diversi e sempre uguali. Non c'è una vera e propria con- clusione (la grande festa in fami- glia, sul prato, segna semmai una tappa: amara, se è anche constata- zione dell'inutilità della ricerca), così come non ce l'hanno in genere le cose della vita. Se dovessimo da- re un'etichetta alla vena di questa scrittrice, infatti, troveremmo for- se la più adatta in un attributo che alla vita (indipendentemente dalle donne e dagli uomini che la vivo- no: de te fabula narratur) fa impre- scindibile riferimento, e parlerem- mo di narrativa esistenziale.