|oei libri del mese| MARZO 1996 vtcc^cv Spara, spara, poliziotto di Francesco Rognoni . Russell Banks, Tormenta, Einaudi, Torino 1995, ed. orig. 1989, trad. dall'americano di Massimo Birattari, pp. 400, Lit 32.000. "E molto più facile capire le manovre diplomatiche in Giordania, le calamità naturali del terzo mondo e l'economia del traffico di droga, di un'isolata esplosione di furia omicida in una cittadina americana". Tormenta, il primo romanzo tradotto in italiano di Russell Banks, uno scrittore americano cinquantacinquenne che (ci informa il risvolto di copertina) ha già al suo attivo una dozzina di libri, si conclude con questa constatazione non particolarmente originale, ma senza dubbio veritiera (perché esisterebbero i romanzi — quasi tutti i romanzi, non solo quelli del dottor Freud — se non fosse vera?). Wade Whitehouse, quarantun anni, divorziato due volte dalla stessa moglie (senza mai smettere d'amarla), ormai estraneo alla figlioletta, il vizio di bere ereditato dal padre — ma, sotto la scorza violenta, una dolcezza, una vulnerabilità che saranno più fatali della violenza stessa; è il poliziotto di Lawford, un villaggio del New Hampshire che si direbbe destinato a un triste declino (e invece no, è alla vigilia d'esser riconvertito in florida stazione sciistica) e, soprattutto, uno dei factotum di Gordon LaRiviere, l'uomo che, con traffici più o meno legali, ormai possiede la cittadina. Attorno a Wade, nei giorni della sua crisi, mentre la follia si prepara a scoppiare, accompagnata dalle pulsazioni insopportabili di un dente malato, una quantità di personaggi, tutti sbalzati con mano sicurissima: Margie, l'amante di Wade, il padre e la madre, i fratelli che hanno lasciato Lawford e i pochi giovani che rimangono, la famiglia di Evan Twombley, il ricco sindacalista che a Lawford s'è fatto la villa ("costruita tre anni prima per sembrare vecchia di un secolo, come se fosse stata ereditata"), i cacciatori stagionali, gli avvocati di città, ecc. Tout se tieni, ora della fine, anche se non è mai detto (o meglio, lo dice il narratore, ma non credo che gli si debba credere) che la morte di Evan Twombley — l'unica morte di cui Wade non è direttamente o indirettamente responsabile — sia stata proprio accidentale. Non che il riccone che vuole a ogni costo il suo cervo gigante e invece scivola sulla neve e finisce di ammazzarsi, sia davvero vittima di un complotto di malviventi (come è convinto Wade nel suo patetico delirio); e tuttavia, in qualche modo Jack Hewitt, la guida, un colpo l'ha sparato, e ora il Winchester di Twombley è diventato suo: cosi quando, alla fine delle altre tragedie, Wade s'apposta ai margini del bosco, e aspetta il ritorno di Jack dalla caccia, è come contro un'altra immagine di sé — un figlio e un patricida — che il suo fucile è puntato... L'accorata vicenda di Wade è ricostruita dal fratello Rolfe, un "doppio" un po' pretestuoso, i cui scialbi rovelli metafisico-esistenziali (perché lui e non io? ecc.) risultano presto irritanti. Forse un sano narratore onnisciente sarebbe stato più appropriato: ma allora si sarebbero dovuti escogitare altri trucchi per non compromettere la suspense di una storia che, senza il controcanto "poliziesco", rischierebbe ogni momento di precipitare nella più bieca psicosociologia — per cui, nel dubbio, meglio sopportare la voce di Rolfe, con le sue occasionali banalità (co- della follia paterna e del furore filiale. P.S. Da dove è saltato fuori il titolo italiano, Tormenta (in inglese è Affliction: cioè, semmai, Tormento), per un romanzo in cui — è vero, sì — nevica spesso, ma la cui scena madre avviene in una giornata di luce abbacinante ("E .poi all'improvviso Wade fu all'esterno del fienile, in mezzo alla luce, circondato di campi di neve luccicante e dagli alberi neri al di là di essi, e sopra di lui, innumerevoli chilometri di cielo azzurro, e il sole, un disco appiattito, bianco e freddo come l'infinito")? L'artista nuotatore di Tiziana Gozzellino Charles Sprawson, L'ombra del Massaggiatore Nero. Il nuotatore, questo eroe, Adelphi, Milano 1995, ed. orig. 1992, trad. dall'inglese di G. lannaccaro ed E. Muratori, pp. 304, Lit 40.000. Dopo avere sperimentato in pri- Il dio che distrugge cormac McCarthy, Oltre il confine, Einaudi, Torino 1995, ed. orig. 1994, trad. dall'americano di Rossella Bernascone e Andrea Carosso, pp. 370, Lit 32.000. Selvatico e solitario, disdegnoso di giungere a patti con l'industria culturale americana Cormac McCarthy (nato nel 1933) scrive dai primi anni sessanta, con scarso successo e all'oscuro dei più: finché il suo penultimo romanzo, Ali the pretty horses (1992), vincitore del National Book Award, non l'ha improvvisamente portato alla ribalta: così che in breve tempo i suoi paesaggi violenti ed elegiaci sono entrati nell'immaginario collettivo, come quelli-degli western messicani di Leone o Feckinpah, in cui sembra rispecchiarsi nel proprio originale consapevole sviluppo della tradizione faulkneriana. Nessun bisogno che anche da noi McCarthy diventi, dall'oggi al domani, un cult writer; ma è altrettanto vero che Cavalli selvaggi, come il libro s'intitola nella traduzione di Riccardo Durante (Guida, 1993), ha ottenuto una risonanza assai inferiore ai suoi meriti, e ora non sarà così facile guadagnarsi un pubblico fedele con Oltre il confine, che è un 'opera più ingrata e più ambiziosa, e probabilmente anche meno riuscita. O meglio: molto più indifferente alle attese del lettore, al suo bisogno di "simpatizzare", nel bene e nel male, con i personaggi e le loro storie. E questa un 'esigenza che si avverte tanto più fortemente perché . le prime cento pagine del romanzo — quando . il giovane Billy attraversa il confine (fra Texas e Messico) nel tentativo di salvare la vita di una lupa incinta — la soddisfano quasi fino allo struggimento, con austera, intensissima commozione. Ma come l'ottusa crudeltà degli uomini sancisce il fallimento dell'impresa ("Aveva trasportato la lupa tra le montagne sull'arcione e l'aveva seppellita nei pressi di un alto valico sotto un cumulo di pietrisco. 1 lupacchiotti che teneva nel ventre sentirono il freddo impossessarsi di loro e piansero al buio, in silenzio; li seppellì tutti, ammucchiò su di loro pietre e si allontanò a cavallo"), la rottura psicologica che il rito funebre segnala (ora il ragazzo ha davvero passato il confine — la "linea d'ombra", direbbe Conrad), comporta anche una rottura della compagine testuale: come se, con la morte della lupa, Billy avesse perso la sua storia, e ora dovesse affidarsi (e il romanzo con lui) alle storie degli altri. Del più giovane ma più solenne fratello Boyd, innanzitutto, che dal romanzo entra nella leggenda quasi senza aver avuto il tempo d'agire come personaggio ("I suoi capelli chiari sembravano bianchi. Sembrava avesse quattordici anni e che andasse per un'età che non era mai esistita. Sembrava che fosse sempre stato seduto in quel posto e che Dio gli avesse creato intorno gli alberi e le rocce"). Quindi alle storie di una successione di figure sapienziali (un prete, un cieco, uno zingaro) destituite d'ogni sapienza, che raccontano vicende che sarebbe vano interpretare, intimamente contraddittorie, chiavi segrete che non apriranno nessuna porta, in un deserto dove sono il vento, il terremoto, la guerra, piogge improvvise e torrenziali a scoperchiare le case, sfondare le chiese, radere al suolo città derelitte, sotto lo sguardo assente di un Dio rigorosamente biblico, follemente indaffarato a creare e, soprattutto, a distruggere. (f. r.) me la caduta di gusto dell'ultimissima riga: "La storia sarà finita. A meno che io non la continui"). Del resto, l'aspra bellezza di questo romanzo si direbbe il risultato, quasi casuale, del netto contrasto tra la schematicità della fabula (nientemeno che l'uccisione del padre: il quale, prevedibilmente, da morto appare "piccolo, acciambellato, con la taglia e la forma di un bambino addormentato") e la dolorosa, delicata esattezza di mille dettagli e osservazioni, e piccoli incidenti ed episodi di sfondo o di contorno (i cervi nascosti sulla montagna; l'apparizione della figlia di Twombley, bionda, alta e snella sulla balconata; l'oscura, atavica diffidenza per l'ebreo; un camioncino che lentamente sprofonda nel lago ghiacciato, la scena terribile dell'estrazione del dente, ecc.) — finché tali episodi restano di sfondo o di contorno e non vengono risucchiati nel gorgo -il»' > J»uUe orme bello corto Dagli albori del più importante veicolo della cultura all'indutrialismo nei ricordi di un infanzia trascorsa in un'antica cartiera amalfitana. Formato cm. 26x32 su carta a mano con serigrafia cm. 40x50 del pittore Franco Costa, "Un'antica cartiera amalfitana" (copertina) Lire 350.000. Stampato su carta delle Cartiere Miliani di Fabriano Lire 35.000. De Luca Editori Via Acquasanta - 84094 Salerno Telefono 089-301333 Fax 089-301784 ma persona il "voluttuoso godimento dell'acqua", Charles Sprawson ripercorre, attraverso i secoli e le culture, la storia del fascino che questo universale, "fatale" elemento ha esercitato sulle menti e sugli animi degli uomini di tutti i tempi, Con sensibilità acutissima e ossessiva curiosità, egli raccoglie le testimonianze che le varie civiltà hanno lasciato del loro complesso e profondo rapporto con l'acqua, e ne ricava il senso di un'esperienza mistica ed eroica, attraverso la quale il nuotatore riconosce e afferma se stesso in quanto essere idealista e solitario, proteso verso l'esplorazione di territori ignoti, più vitali e stimolanti. Non può sfuggire l'alone romantico di cui si circonda, nel libro di Sprawson, la figura del nuotatore che finisce col coincidere con l'archetipo stesso dell'artista secondo la cultura ottocentesca, di cui sembra incarnare perfettamente la protesta verso ■■■■K—'J N. 3, PAG. 7 l'amara esperienza del vivere. Con la generazione romantica risorge infatti quella passione per l'acqua già fiorita ai tempi della classicità e alla quale soggiacciono ora tutti coloro che, pella vita come nell'arte, vanno alla ricerca di ideali svaniti e paradisi perduti. Byron, Shelley, Goethe, Novalis, Puskin, Poe, Whitman — e i loro eredi spirituali, Swinburne, Mann, Lawrence, London, Fitzgerald — non sono che alcuni degli innumerevoli autori attraverso le cui opere inondate di scene acquatiche Sprawson ha in- ■ seguito il senso di una pienezza dell'essere, che solo sembra rivelarsi nel passaggio dal mondo reale dominato dalle futili convenzioni mondane a quello ideale-prenata-le riscoperto nelle oscure profondità degli abissi marini. In quel mondo subacqueo gli scrittori si sono immersi non solo metaforicamente se, come apprendiamo, alle imprese letterarie essi hanno affiancato molte imprese natatorie (come non ricordare, ad esempio, quelle di Byron che percorse a nuoto tutto il Canal Grande e attraversò l'Ellesponto in un'ora e dieci minuti?) che hanno contribuito a costruire la loro immagine leggendaria. Per quegli artisti, come per lo stesso Sprawson, ii nuoto è divenuto una necessità spirituale ed emotiva, una forma suprema di iniziazione, un rito con il quale essi si sono misurati sfidando ripetutamente la sorte, arrendendosi infine — come Shelley, come Byron — al richiamo irresistibile dei flutti. Un richiamo in grado di accomunare uomini di civiltà così diverse e lontane — gli antichi greci e romani, che per primi celebrarono il senso profondo della bellezza e della divinità dell'acqua: gli entusiasti frequentatori delle città termali sorte in Inghilterra verso la metà dell'Ottocento, quando "le acque della classicità tornarono al mondo dopo un lungo riposo sotterraneo"; gli studenti di Eton, che diedero vita, nel 1828, alla prima società di nuoto inglese, ispirata all'esempio classico; le solitarie viaggiatrici dell'Ottocento (Mary Kingsley, Constance Gordon Cumming, Ma-rianne North e tante altre), per le quali i bagni nei mari tropicali furono il segno di un progressivo affrancamento dall'oppressione della maschilista società vittoriana e del risveglio di una sensualità che sempre era stata loro negata; i tuffatori tedeschi e americani, che furono assunti, all'inizio del Novecento, come simboli nazionali di forza, virilità, perfezione fisica e spirituale, e le cui eleganti evoluzioni divennero il soggetto di molta produzione cinematografica dell'epoca; i disciplinati nuotatori giapponesi, infine, che, ispirandosi all'antico codice dei samurai, riuscirono a mantenere una straordinaria supremazia per tutti gli anni trenta. Con tutti loro — "questi eroi" — Sprawson sente di condividere il "sogno prolungato" in cui li sprofonda il sensuale, quasi erotico contatto con l'acqua, alla cui selvaggia e seducente bellezza egli rende qui supremo omaggio. E nel fare ciò, Sprawson sceglie di non varcare la soglia dell'epoca in cui le moderne tecniche di allenamento e di gara avrebbero tolto alla disciplina del nuoto molta della sua aura romantica per non lasciarle che quella di un eroismo teratologico.