LUGLIO 1996 Lf Lcr(^tvi et cvcctcr'zc- N. 7, PAG. 15 La piccola musica di Céline di Pier/ranco Minsenti L'isola degli immigrati diMariolina Bertini Louis-Ferdinand Céline, Gui- gnol's band I - II preceduti da Casse-pipe, a cura di Gianni Ce- lati e Henri Godard, Einaudi- Gallimard, Torino 1996, ed. orig. 1944, 1964, 1948, trad. dal francese di Gianni Celati ed Er- nesto Ferrerò, pp. LVII-896, Lit 110.000. "Ogni uomo con un cuore che batte - scriveva Céline nel 1941 - possiede la sua canzone, la sua piccola musica personale, il suo ritmo incantatore". In quegli anni di fragori bellici Céline affinava la sua personalissima concezione dello stile come una "piccola mu- sica" che, orchestrando i rumori e le voci del mondo in un flusso ver- bale scandito più secondo le esi- genze del ritmo che del senso, riu- scisse a trasfigurare anche la realtà più desolata in una sorta di fanta- smagoria. Il segreto di questo stile non era stato carpito al jazz, come solitamente si pensa, bensì - se dobbiamo credere a Guignol's band, il romanzo che componeva in quel periodo - a ispirarlo era stato il ricordo dei motivetti popo- lari ascoltati per strada o nei pub molti anni prima nella Londra del 1915-16. Il risultato di questa evoluzione erano stati due romanzi che per quanto incompiuti rappresentano due prodigiosi esercizi stilistici: Casse-pipe e Guignol's band, ripro- posti ora nella Biblioteca della Plèiade nelle traduzioni di Ernesto Ferrerò e Gianni Celati, già appar- se presso Einaudi ma ampiamente rivedute, insieme all'apparato cri- tico predisposto per l'edizione francese da Henri Godard. È l'oc- casione per rileggere come un tut- to unico un romanzo straordinario come Guignol's band, finora pena- lizzato da un'edizione in due volu- mi che, sulla falsariga di quella francese curata nel 1964 da Robert Poulet, aveva adottato per la se- conda parte il titolo spurio di 11 ponte di Londra, e per confrontare due diversi modi di tradurre la "piccola musica" di Céline. Casse-pipe e Guignol's band era- no stati progettati nel 1934 come due pannelli di un trittico autobio- grafico centrato sulle peripezie di Ferdinand: dall'infanzia (Morte a credito), alla guerra (Casse-pipe), al soggiorno a Londra (Guignol's band). Ma nel corso della redazio- ne la predisposizione a trasporre in una dimensione fantastica e comi- ca l'esperienza autobiografica mo- dificò profondamente il progetto iniziale. Di Casse-pipe, che in argot indica il tiro a segno, ovvero la guerra, dove i soldati sono esposti come bersagli al fuoco nemico, ri- mane solo la sequenza iniziale in cui i vagabondaggi notturni di una pattuglia di guardia, ritmati dal gioco puramente sonoro delle in- giurie, delle imprecazioni e delle urla, si trasformano in una sorta di grandioso sabba onirico. Per ren- dere la qualità polifonica di questo stile Ferrerò, come spiega nella no- ta introduttiva, ricorre largamente a termini bassi e scherzosi di area padana, che, grazie alla loro ric- chezza espressiva (sei modi per in- dicare la recluta), gli consentono di supplire alla povertà del gergo di caserma italiano, mentre gioca sui registri "alti" per tradurre quel- le immagini dotate di suggestiva bellezza plastica che sembrano fungere quasi da punti di equili- brio attorno a cui si snoda questo frenetico balletto. Guignol's band, che al suo primo apparire nel 1944 un critico salutò, forse non a torto, come "il capola- voro surrealista tanto atteso", stretto tra i grandi romanzi auto- biografici degli esordi e la trilogia tedesca, è stato spesso ingiusta- mente trascurato da una critica di- stratta, insensibile alla verve comi- ca e all'atmosfera quasi surreale che danno alla narrazione una leg- gerezza aerea sconosciuta agli altri romanzi di Céline. Con il loro rit- mo indiavolato, le scene farsesche ed esilaranti popolate di personag- gi clowneschi, le avventure di Fer- dinand, che a Londra frequenta la "mala" francese, ricordano i film di Ridolini e le gag comiche di Stanlio e Ollio. La prosa di Celati si rivela straordinariamente conge- niale alla comicità strampalata dell'originale e rivela la stessa feli- cità narrativa. Un maggior lavoro di ripulitura lo avrebbero forse richiesto le note di Godard, inutili per il lettore ita- liano quando si riferiscono a termi- ni dell'argot francese, e soprattut- to quando contraddicono la tradu- zione, come quando ci spiegano che Chantilly (usato per descrivere l'abito di trine sbuffanti indossato da una vecchia prostituta spagno- la, la Joconde), tradotto da Celati con "panna montata", designa in- vece una qualità di pizzo. Ma in questi casi correggere sarebbe for- se inopportuno: fraintendimenti di questo tipo non fanno che accre- scere, ricreandoli, quei corto cir- cuiti fra parole su cui si basa la co- micità céliniana. Un'ulteriore ri- prova che per "doppiare" la can- zone di Céline il traduttore deve innanzitutto arrischiarsi sulla cor- da tesa dei suoi funambolismi stili- stici. Georges Perec, Ellis Island. Storie di erranza e di speranza, a cura di Maria Sebregondi, Ar- chinto, Milano 1996, ed. orig. 1981, pp. 62, Lit 16.000. Questo testo di straordinaria in- tensità poetica nasce in quel breve volgere d'anni in cui Georges Perec - dopo il successo grande e inatteso di La vita istruzioni per l'uso, pub- blicato nel 1978 - potè dedicarsi completamente alla scrittura, in un gioioso fervore di progetti che la morte venne a spezzare prematura- mente nel marzo del 1982. C'erano, tra i progetti di Perec, feuilletons e libri per bambini, fumetti e canzo- ni, sceneggiature per il cinema e ro- manzi di fantascienza: un insieme eterogeneo e aperto, in cui doveva trovare molto spazio la collabora- zione con registi e disegnatori. Ep- pure, quando, nel 1977, il regista Robert Bober gli propose di colla- borare come sceneggiatore a un do- cumentario su Ellis Island, l'isola nella baia di New York che era stata sino al 1924 sede degli uffici dell'Immigrazione, la prima rispo- sta del romanziere fu negativa. Bo- ber era, come Perec, un ebreo di origine polacca, e lavorava da tem- po sui temi della memoria collettiva del popolo ebraico, della diaspora, dell'erranza. Uno dei suoi bisnonni aveva tentato a un certo punto di la- sciare la natia Polonia per gli Stati Uniti: durante la disagevole traver- sata, nel desiderio di assumere un aspetto più moderno e accettabile per le autorità americane, aveva perfino sacrificato la propria lunga barba di ebreo ossequiente alla tra- dizione. Ma arrivato agli uffici di Ellis Island, dove tutti gli immi- granti che avevano viaggiato in ter- za classe dovevano venir esaminati e interrogati sulle loro condizioni economiche e sanitarie, era stato re- spinto, in quanto malato di traco- ma. La sua amarezza, il suo senso di fallimento e di umiliazione, erano rimasti tra i ricordi dolorosi di una famiglia provata in seguito dalla di- spersione e dall'esilio; Robert Bo- ber, proponendosi di girare nel 1977 un documentario su quel che restava degli uffici di Ellis Island (in abbandono dal 1954), voleva collo- care quei ricordi nella loro cornice storica e integrarli con altre testi- monianze. In un primo tempo parve a Perec di essere troppo estraneo alla ricer- ca di Bober; ma le moderne rovine di Ellis Island non potevano non esercitare un forte richiamo su un romanziere sensibile, come lui, all'archeologia del quotidiano, al fascino delle tracce sepolte, alle vo- ci di tante vite individuali confuse in un flusso di anonima sofferenza. Dalla collaborazione tra Bober e Perec nacque dunque un film, pro- dotto dall'Institut National de l'Audiovisuel; e il testo della sce- neggiatura, seguito da alcune inter- viste (non incluse nell'edizione ita- liana), venne a formare un singola- re volume in cui coesistono poesia e ricerca storica, descrizione ogget- tiva e riflessione autobiografica. Tra schedari arrugginiti e lavandini divelti, rievocando storie dimenti- cate, Perec e Bober raggiunsero una sola certezza: quella di aver ri- trovato per un attimo il suono delle due parole che costituivano il cuo- re della lunga avventura degli emi- granti: "due parole molli, / irrepe- ribili, instabili e sfuggenti, / che si rinviano / senza tregua le loro luci tremule, e che / si chiamano l'er- ranza e la speranza". Beifagor 303 "Lo zampino di Beifagor" Roma 2 aprile '96 "la Repubblica" per Stefano Zamagni - Romano Prodi Massimo Aloisi Anche i gesuiti s'illudono. Carlo Tullio-Altan Un percorso di pensiero. Autoritratto critico Nel segno di Umberto Eco "Forza Virgilio" al DAMS - Bologna A chiiGreci? A Noi Cattedratici.' BELFAGOR Libro nero sovietico Enzo COLLOTTI franco FerraroTTI Gramsci nel mondo arabo Umberto Saba al diminutivo Antonio Girardi Carla Fracci La Colomba di Picasso al Primo Maggio L'Eva di Verga Romano Luperini L'emicrania di Zeus e il faraone fanciullo con il "Messaggero del Disco di Festo" Rassegna di varia umanità diretta da Carlo Ferdinando Russo Abbonamento sei fascicoli di 772 pagine, Lire 69.000 c.c.p. 21920509 - "Beifagor" Firenze Casa Editrice Leo S. Olschki Casella postale 66 - 50100 Firenze kg/ Tel. 055 / 65.30.684 • Fax 65.30.214