Beifagor 303 "Lo zampino di Beifagor" Roma 2 aprile '96 "la Repubblica" per Stefano Zamagni - Romano Prodi Massimo Aloisi Anche i gesuiti s'illudono. Carlo Tullio-Altan Un percorso di pensiero. Autoritratto critico Nel segno di Umberto Eco "Forza Virgilio" al DAMS - Bologna A chi i Greci? A Noi Cattedratici! BELFAGOR Libro nero sovietico Enzo CoLLOTn franco Ferrarotti Gramsci nel mondo arabo Umberto Saba al diminutivo antonio Girardi Carla Fracci La Colomba di Picasso al Primo Maggio L'Eva di Verga Romano Luperini L'emicrania di Zeus e il faraone fanciullo con il " Messaggero del Disco di Festo" Rassegna di varia umanità diretta da Carlo Ferdinando Russo Abbonamento sei fascicoli di 772 pagine, Lire 69.000 c.c.p. 21920509 - "Beifagor" Firenze CASAEPrTRICE s, LeoS. Olschki Casella postale 66 * 50100 Firenze V Tel. 055 / 65.30.684 • Fax 65.30.214 N. 7, PAG. 6 gli anni trenta appaiono solo nella veste sinistra del nazionalismo protezionistico e aggressivo, e scompaiono invece le esperienze di programmazione economica non dittatoriali, di integrazione sociale negoziata, di costruzione del welfare state. L'impianto libe- rale del pensiero federalista ci ha infatti dato una grande, preziosa acquisizione: quella del nesso, po- tenzialmente intrinseco a una so- vranità statale assoluta, tra limita- zione dei diritti dei cittadini e ri- cerca di potenza all'esterno. Ma ha simultaneamente mancato di offrire una risposta storicamente forte, e non solo astrattamente lo- gica, a un dilemma altrettanto cruciale per i regimi democratici: quello cioè del bilanciamento tra le ripercussioni di una interdipen- denza crescente e le esigenze di si- curezza economica, e spesso an- che di identità, all'interno del cor- po elettorale. . Si capisce più chiaramente co- me il federalismo abbia potuto ri- manere solo tangenziale al proces- so postbellico di integrazione eu- ropea - un'integrazione largamen- te imperniata sulle necessità nazionali di coniugare la crescita degli scambi con un controllo sui tempi e i modi di estensione dell'interdipendenza, così da rafforzare non solo i ritmi di svi- luppo ma anche il consolidamento sociale e politico - quando si rileg- gono le pagine in cui Spinelli deli- nea i criteri economici che do- vrebbero sottostare a un ordina- mento federale europeo. Per un verso egli appare lucida- mente lungimirante sulla neces- sità di utilizzare le capacità pro- duttive della Germania e trasfor- marle in perno della ripresa conti- nentale, e poi sull'opportunità democratica oltre che integrativa offerta dal Piano Marshall nel 1947. Ma d'altro canto l'esigenza di superare il nazionalismo eco- nomico è sempre tradotta - con automatismo logico che si rivelerà scarsamente politico - nel precet- to di un inserimento pieno, diret- to e non mediato (più rigidamente liberista che liberale) nel mercato mondiale. Non colpisce tanto l'insistenza - ovvia soprattutto nel contesto ita- liano - sulla necessità di smantel- lare l'economia di guerra, gli ap- parati di controllo e le posizioni di monopolio, quanto il fatto che l'intero rapporto tra cittadino e mercato sembri venir risolto in un principio di "uguaglianza di op- portunità" (Progetto di Piano di Lavoro del P.d'A., novembre 1944, p. 77) che trascura la do- manda di sicurezza economica co- sì cruciale in tutti i sistemi politici dopo gli anni trenta. E rivelatore, in proposito, il fatto che il Roosevelt che Spinelli elogia nel 1945 sia, oltre ovviamente al leader internazionale, un'improba- bile smantellatore delle macchine partitiche e delle posizioni di mo- nopolio, ma non l'edificatore del New Deal sociale ed economico! I dilemmi odierni di un federalismo che nella sua proposta alta di go- verno europeo dell'interdipenden- za non riesce tuttavia a sciogliere i nodi profondi della sicurezza e dell'identità - talora passibili di ri- sposte regressive e brutali - erano gli stessi su cui verteva la riflessione di Spinelli cinquantanni fa. LUGLIO 1996 Altiero Spinelli, La rivoluzio- ne federalista. Scritti 1944- 1947, a cura di Piero Graglia, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 384, Lit 40.000. La "rivoluzione federalista" in- torno a cui il curatore ha selezio- nato questi scritti di Spinelli in ve- rità non è solo una. Sono due. Quella desiderata e anticipata dai federalisti negli anni della guerra come moto di liberazione dell'Eu- ropa, al culmine della sua crisi trentennale, dalle strettoie e dalla degenerazione catastrofica dello stato-nazione a sovranità assoluta: ovvero la rivoluzione storica che non ci fu. E quella politico-cultu- rale che Spinelli inizia a preparare subito dopo, riflettendo sui motivi di quel fallimento - o meglio di quel non avvenimento - per ria- dattare la propensione e l'azione federalista al mondo del dopo- guerra, còsi da renderla nuova- mente cogente in altre condizioni e con altri tempi. Il volume fa seguito a quello che Graglia ha curato sugli anni 1941-44 (Machiavelli nel secolo XX, Il Mulino, 1993) ed è suddi- viso in tre parti, che corrispondo- no all'attività di Spinelli nel Parti- to d'Azione dell'Alta Italia negli ultimi mesi del 1944, al suo lavoro federalista in Francia fino al mag- gio 1945, e poi - nuovamente in Italia - al suo ripensamento delle prospettive postbelliche del fede- ralismo fino all'entrata in scena del Piano Marshall nel 1947. So- no quindi scritti assai utili anche per rivisitare l'esperienza del gruppo dirigente azionista, per ri- considerare il convegno federali- sta europeo di Parigi (marzo 1945) e le pregnanti osservazioni di Spinelli su molti problemi del momento (tra le quali spiccano per lucidità quelle sul futuro della Germania in Europa). Il pregio fondamentale della raccolta con- siste tuttavia proprio nel fatto che essa ricostruisce quel passaggio particolarmente cruciale, difficile e illuminante - a cavallo tra guer- ra e dopoguerra - non solo della riflessione di Spinelli, ma del per- corso intellettuale e politico del federalismo europeo, e consente quindi di riesaminarlo nel suo contesto, di storicizzarlo: in defi- nitiva di comprenderlo assai me- glio di quanto non abbiano fatto le molte trattazioni agiografiche e presentiste. È questo il merito, davvero non piccolo, del curato- re, che nell'introduzione discute con intelligenza critica la contro- versa questione della rilevanza storica del pensiero federalista nella vicenda europea del cin- quantennio postbellico. Nella congiuntura storica della duplice "rivoluzione federalista" di cui sopra, infatti, risaltano tutti i temi che fanno del federalismo una cultura tanto propositiva nel dibattito sull'Europa contempo- ranea, e in particolare sul posto dello stato-nazione al suo interno, quanto laterale alle dinamiche po- litiche della ricostruzione econo- mica e istituzionale del continen- te. Questi scritti di Spinelli ci reimmettono in un reticolo di in- tellettuali europei - ma essenzial- mente italiani, inglesi e francesi - che dalla vicenda del trentennio 1914-1944 evincono delle lezioni e un imperativo. Innestandosi sull'impianto dello stato assoluto e centralista, la democratizzazio- ne e la nazionalizzazione dei paesi dei libri del mese Ut oCiU* ete,L yr\ ed e La rivoluzione che non c'è stata di Federico Romero del continente europeo si è tra- dotta in un "nazionalismo esclusi- vista e aggressivo". Il potere dello stato sovrano reagisce con il mer- cantilismo protezionista alla cre- scita di un'interdipendenza eco- nomica che "considera come qualcosa di sottilmente malefico da controllare". Di fronte a ogni crisi economica e politica "la fra- gile e superficiale vernice demo- cratica e liberale saltava via e nu- do e feroce riappariva il leviatani- co stato assoluto". Lotta per la democrazia interna e aspirazione a una pace cooperativa si fondono quindi nell'imperativo della "smobilitazione dello stato nazio- nale" (cfr. Il nuovo piano della de- mocrazia, novembre 1944, pp. 142-57). È cioè la natura dello stato, e non solo la sua struttura, a richie- dere una trasformazione radicale che per un attimo, nella guerra e nella resistenza, apparve loro pos- sibile. Ma "la nostra previsione di un'Europa in cui le strutture sta- tali sarebbero crollate tutte insie- me, ed in cui tuttavia i popoli avrebbero potuto liberamente de- cidere della loro sorte non si è ve- rificata" (lettera del 7-1-1946, p. 326). È arrivata invece la vittoria delle superpotenze, la tendenziale divisione del continente e la ripre- sa delle funzioni dello stato per la ricostruzione. Tra il 1945 e il 1946 la delusione ovviamente si appunta sul quadro internaziona- le e sul riemergere delle sovranità, ma la sofferta virata di Spinelli verso un "federalismo in attesa" lo porta a guardare più da vicino il nesso tra democratizzazione dei regimi politici e problema della sovranità statale, quando osserva "questa insensata corsa... verso una società polarizzata in interessi organizzati che si precipitano sul- lo Stato" per ottenerne la prote- zione (Discorso al Congresso del P.d'A., febbraio 1946, pp. 333- 334). Qui viene sfiorato il nodo irri- solto delle aspettative federaliste, che rimanda all'inadeguatezza di un'analisi della crisi prebellica in cui le risposte alla depressione de-