Q) Cd C-CCÓ ó CCrCvC- Ma i giovani vanno per la loro strada Walter Siti risponde a Giulio Ferroni LUGLIO 1996 4 memoria e dell'oblio scopre che i luoghi gli sono curiosamente fami- liari, e dopo un certo tempo si ri- corda di essere già stato a Chiusi, qualche anno prima, a parlare in un dibattito in occasione di elezio- ni amministrative. A questo punto si avvia la riflessione, che si con- centra su due argomenti: il senso della politica, e più propriamente della democrazia, e il senso del passato. L'anima del politico e del- lo storico vengono messe in que- stione: quali sono le ragioni rispet- tive, quale è la cosa, la materia a cui si applicano, che cosa in esse susci- ta uno sconforto senza recupero, una debolezza della volontà, un certo desiderio di nulla (da cui la fuga verso il qualsiasi: fuga dal tre- no, in una stazione qualsiasi)'? Ci troviamo di fronte, dunque, alle aporie della giustizia (perché la democrazia che è senz'altro il siste- ma più giusto, è anche l'unico dav- vero irrealizzabile?), e del tempo (che senso ha l'assurda presenza del passato nel presente? perché io, che sono qui, in realtà sono al- trove, nel ricordare vicende perso- nali e storiche, eventi possibili e ideali, circostanze morte e finite?): due disguidi tipici della filosofia dell'ultimo secolo e mezzo. Ma quel che più conta è che sullo sfon- do di tutto questo "armeggiare" intorno a cose "fondamentali" (os- sia tali che "se per caso ad un'ana- lisi attenta rivelassero di non avere un senso... dire che sarebbe una catastrofe sarebbe (esclama) dir poco") si pone una problematica che percorre tutto il libro, e ne co- stituisce la non del tutto implicita legittimazione. Si tratta del proble- ma del "pensatore vivente". La questione, che è stata posta nei termini più seri e dettagliati da Kierkegaard, è così formulabile: come non ricordare che le doman- de teoriche fondamentali sono an- che e soprattutto fatti personali? In quale misura questo non limita for- temente la serietà del teorizzare (si tratta di "ridicole" questioni perso- nali, dice Ferrara), e non ci costrin- ge verso altri territori stilistici, altre modalità del dire (nel caso di Kierkegaard: il testo pseudonimo, il discorso edificante)? Ferrara re- sta fermo a questo imbarazzo del pensatore post-hegeliano onesto: il dover sempre partire da fatti perso- nali, biografici, e parlarne come se si trattasse dell'Umanità intera e del suo destino, con tutta l'ipoteca di ridicolo che ciò comporta. Eppure la risposta, che la filoso- fia di questo secolo conosce bene, gli era a portata di mano e di pen- siero. Si tratta dell'"armeggiare" a cui ripetutamente accenna nel te- sto: "...armeggiando intorno a ri- cordi e riflessioni al tempo stesso personali e storico-universali (un armeggìo a cui la sua mente era deplorevolmente abituata da de- cenni, una sorta di vizio segreto dell'intelletto...)". Come è possi- bile, in un'interiorità così eviden- temente attraversata da circostan- ze e immagini poco "interiori", dal passato e dal futuro, dal collet- tivo e dall'intimo, parlare ancora di fatti "personali", e ad essi con- trapporre senz'altro le "cose so- vrapersonali"? Il pensatore viven- te in effetti, colto nella sua autenti- cità, non sembra avere molto di in- dividuale, di psicologico, di personale. Caro Giulio, ti propongo di soprassedere sui "toni", sia miei che tuoi, magari ne discuteremo a voce. Vorrei tornare invece su alcune idee e posizioni che traspaiono dal tuo libro (e dal- la tua replica). 1) Che deve fare oggi la letteratu- ra. Mi dispiace, ma non è vero che non suggerisci ricette, che non chie- di a nessuno di programmarsi come postumo; a p. 149 del tuo libro scri- vi: "La risposta dell'arte (e, in parti- colare, della letteratura) non può essere oggi né quella... né quella... La sola risposta possibile è... quella postuma". Non dici "la risposta della critica" o "della cultura", dici proprio "la risposta dell'arte e in particolare della letteratura". Più tardi, alle pp. 189-90, aggiungi: "la letteratura non si potrà sottrarre al- la constatazione del carattere ecces- sivo della situazione... Non è certo possibile, per la letteratura, atten- dere solo la presunta prossima fine o far finta di niente, restando tran- quillamente indifferente di fronte a tutti i fenomeni di cui si è parlato in questo capitolo: fenomeni che met- tono in causa l'universo della lettu- ra e della scrittura, ma che proprio per questo gli attribuiscono una de- terminante responsabilità". E anco- ra più avanti: "una letteratura che sapesse invece di essere postuma... potrebbe in realtà essere al centro di una ecologia della comunicazio- ne... una letteratura postuma può dare essenziale e necessario soste- gno...". Se qui non si parla di sugge- rimenti (e anche piuttosto accora- ti ) alla letteratura, di che altro si parla, santoddio? Sai, ci credo davvero che un cri- tico, almeno una volta nella vita, dovrebbe cimentarsi con la crea- zione nell'arte di cui si interessa - magari con scarsi risultati, per ca- rità, ma con passione e senza alibi; è proprio una questione di impulsi diversi che arrivano alle dita. E sentire l'istinto vitale di buttarsi immediatamente alle spalle quello che si è stati appena prima, scri- vendo; è la certezza di una irre- sponsabilità nell'attimo cruciale. Le intenzioni possono affermarsi prima, nei progetti, e magari dopo, nella valutazione dei risultati, ma mai durante, nel fare. E quello che vale per il singolo esecutore vale anche per la, come dire, attività nel suo complesso: scappa sempre do- ve non te l'aspetti. La tua parola chiave è "responsabilità" - ma la letteratura non esiste, nel suo farsi, che per dare cittadinanza a ciò che è represso proprio dal nostro esse- re (eticamente, razionalmente, ci- vilmente) responsabili. Non si trat- ta di trasgressione programmatica o di privilegio del male: se questi diventano imperialistici luoghi co- muni, la letteratura riscoprirà il be- ne, l'importante è che non si senta in dovere di farlo. Poi, se sei bravo, puoi farmi parteggiare per Totò Riina - se sei bravissimo, puoi far- mi parteggiare anche per Veltroni. 2) Il gusto, la poetica implicita. Un libro vale non solo per le pro- posizioni che afferma, ma per i te- sti che cita; da quelli che citi tu (posso sbagliarmi) mi pare che "postumo" sia molto eurocentri- co, e sostanzialmente orientato su un gusto che sta tra i capolavori della "modernità" novecentesca e il "grande stile" un po' funebre dei nostri poeti degli anni sessanta e settanta, con una predilezione per la sobrietà, il riserbo, la serietà, l'eleganza in nero e in beige, la tra- sgressione purché tragica, il grot- tesco purché pensoso - che è poi il gusto dell'ala più presentabile del- la nostra borghesia. Negli ultimi dieci anni mi sembra che la situa- zione si sia fatta più variopinta: mi pare insomma che il tuo "postu- mo" (che ambisce ad alleare classi- cismo e avanguardia in nome di una "coscienza" della tradizione) e il da te tanto avversato "post-mo- derno" (ossessionato dalla tradi- zione al punto da doverla costante- mente sbertucciare) stiano in realtà dalla stessa parte (e entram- bi nel passato) - rispetto a una ge- nerazione giovane che a leggere Lf Lcr(^tvi et cvcctcr'zc- N. 7, PAG. 11 Adorno si annoia e che la tradizio- ne "europea" sta semplicemente scrollandosela di dosso. Come hanno fatto a Roma all'epoca di Tertulliano, o in America all'epoca di Mark Twain, o in Giappone trent'anni fa, prenderanno dalla tradizione quello che possono e che meritano, e se ne andranno per la loro strada; contaminando gior- nalismo e commedia musicale, ci- nema e cabaret e saggistica; secon- do quella che tu chiami "deriva" e loro chiamano avventura. (Inten diamoci, con tutta la stima che ho per te, non credo che i giovani scrittori daranno poi così retta al tuo libro; ma temo invece, ed è per questo che ho deciso di risponder- ti, che la tua autorità in campo cri- tico e culturale possa influenzare il gusto dei giovani lettori nel com- prare i libri di letteratura di oggi e nel giudicarli, e quindi influenzare mediatamente la letteratura di do- mani). 3) La letteratura e la scuola. Hai ragione, sono stato sommario e impreciso; lo so che le opere lette- rarie sono delle straordinarie mac- chine conoscitive, con una capa- cità di condensare i diversi livelli dell'esperienza che forse nessun altro tipo di scrittura possiede. Fi- guriamoci se voglio privarne i ra- gazzi del liceo; tra l'altro, penso che gli insegnanti del liceo spesso la fanno capire meglio la letteratu- ra, perché con i ragazzi ci vivono di più. Era solo per protestare contro l'elefantiasi letterario-cen- trica nei programmi della media superiore: ma perché ore intere su Alfieri e Foscolo e pochissimi mi- nuti (se va bene) su Mozart e Veìàzquez? E perché cosi poco sull'educazione linguistica, sulla decodifica dei vari "generi" di scrittura non-letteraria, che poi rappresentano il novanta per cen- to delle scritture con cui dovranno fare i conti nella vita? La battuta sull'università era solo per dire che lì chi ci va almeno ha fatto una scelta, sa che con quelle trappole raffinate che sono i testi letterari dovrà battagliarci per anni. In realtà mi interessa di più l'ipotesi di "scuole professionali" di lette- ratura, sottratte alla casualità (e spesso all'indecenza) dei corsi di creative writing... Differenziare i canali, questo mi pare oggi il problema politico più importante, di fronte alla rin- corsa verso il basso di tutti i gran- di mezzi di diffusione culturale: le catacombe, materiali o immate- riali, non sono luoghi postumi, so- no luoghi vitalissimi. Quando tor- neranno i tempi forti, si vedrà quello che è rimasto. Scrivere libri che se ne fregano del mercato (an- che nel senso che non si sentono in colpa di essere best-seller), o invece al caso non sgomentarsi dell'invisibilità, e via. Nella scuo- la, certo, far capire la differenza tra bello e brutto - ma per la ridu- zione drastica dei testi da pubbli- care, operazione necessaria all'ecologia che auspichi, chi è che decide? La vita del professore, lo sappiamo, non è molto allegra: la maggior parte del suo tempo se ne va tra puntigli accademici, lagne burocratiche, bibliografie - la let- tura dei testi è il respiro, l'attimo felice. Ma proprio perché i testi rappresentano il punto alto della sua esistenza, li sovraccarica di compiti. Non mi fido. [a proposito di Giulio Ferroni, Do- po la fine, Einaudi 1996] Libri introvabili in collaborazione con Rai Radio 3 Alla radio (Rai Radio 3 "Lampi d'estate"), tutti ipomeriggi, lettori appassionati, so- fisticati, infaticabili cercano libri rari, o usciti dal mercato, o incautamente prestati e perduti. Titoli raffinati, desueti, eccentrici vengono richiesti da studiosi, esperti o sem- plicemente da amanti del genere o dello scrittore. Quasi sempre risponde un lettore che possiede il libro -e lo regala o lo impresta. Succede però che alcuni titoli siano assolutamente introvabili, anche dopo molte set- timane di ricerca: ne daremo qui l'elenco, ogni mese, sia per mettere in contatto, con chi li cerca, eventuali possessori non inclini all'ascolto della radio, sia per sollecitare le case editrici a ristampare titoli molto richiesti e desiderati. mario Praz, Cronache letterarie anglosassoni (editore sconosciuto). HonorÉ de Balzac, Ferragus, Einaudi, Torino 1973. domenico De Paoli, L'opera di Stravinskij, Edizioni Scheiwiller, Milano, forse 1950. giuseppe vlviani, Sei incisioni, Edizioni Scheiwiller, Milano. Antonio Tabucchi, Il piccolo naviglio, Mondadori, Milano 1973. Mai ripubblica- to, neanche da Feltrinelli, che ha acquistato i diritti per tutta l'opera. Tabucchi ne pos- siede soltanto pochissime copie, che non può cedere. Kenneth Patchen, Lo stato della nazione, Guanda, Collana Piccola Fenice, Par- ma 1967. Gianni Guadalupi, Manuale del viaggiatore interplanetario, Rizzoli, Milano 1985. Greil Marcus, Tracce di rossetto, Leonardo, Milano 1991. È stato invece trovato, dopo più di tre mesi di appelli, La lettrice notturna, di Mario Praz. Per tutte le informazioni, per richiedere libri introvabili, e soprattutto per offrire eventualmente i titoli qui sopra indicati, rivolgersi a Rai Radio 3, "Lampi d'esta- te", rubrica "Caccia al libro", tel. 06- 37.01.450.