OTTOBRE 1996 Franco Modigliani, nel suo saggio più recente, suggerisce la possibilità di innescare un circolo virtuoso attraverso politiche di contenimento salariale, che a loro volta produrrebbero un abbassamento dell'inflazione e la conseguente riduzione dei tassi d'interesse. Questo - sostiene - consentirebbe all'Italia di raggiungere i parametri di Maastricht in brevissimo tempo. La convince? No, per niente. Perché l'unico elemento certo della ricetta di Modigliani è la diminuzione dei salari, senza che nessuna delle altre variabili segua lo stesso andamento. Per la verità Modigliani non propone di ridurre i salari, ma di farli aumentare alla media degli aumenti di produttività del sistema. In sostanza fa propria la tesi della Confindustria. Già: così otterrebbe il risultato di cancellare uno dei due livelli della contrattazione, perché riunifica le politiche salariali in un solo momento, e di definire centralmente l'andamento delle retribuzioni senza che centralmente venga definito alcunché del resto. Sostiene infatti che un blocco dei prezzi non sarebbe credibile. E una sorta di scommessa che grava soltanto su una delle dinamiche in campo, con l'aggiunta ulteriore di una modificazione pericolosa della struttura contrattuale. Ora, noi la contrattazione non la facciamo soltanto per avere salario; la contrattazione decentrata serve anche per intervenire sulle condizioni di lavoro. Siccome il salario è spesso connesso all'organizzazione del lavoro, se viene meno la possibilità di negoziarlo oggettivamente si annulla lo spazio per contrattare la prestazione lavorativa. Cosa si aspetta il sindacato dalla prima legge finanziaria dell'Ulivo? Che la manovra venga fatta rispettando i criteri di necessario rigore, ma con l'obiettivo esplicito di finalizzare questo rigore a una politica per lo sviluppo. E che il governo cerchi un equilibrio nei tagli e nei risparmi di spesa tale da non colpire le fasce più deboli e da lasciare inalterate le prestazioni sanitarie e previdenziali. Come si conciliano i due obiettivi che indicate: politiche per lo sviluppo e occupazione da un lato e raggiungimento dei parametri di Maastricht dall'altro? Alcuni, per ultimo il presidente della Fiat Romiti, sostengono che le due cose non si tengono molto insieme. Io credo che completare il risa- Le aspettative del sindacato intervista a Sergio Cofferati di Marco Contini namento, indipendentemente dai vincoli che Maastricht impone, sia necessario, perché il sistema economico italiano deve essere messo in condizione di competere con quelli degli altri paesi dell'Unione. Nel contempo è necessaria l'adozione di politiche mirate alla crescita dell'occupazione, a creare lavoro, e sarebbe utile che queste politiche venissero definite su scala europea. Recuperare l'ispirazione e i criteri del Libro bianco di Jacques Delors sarebbe quanto mai opportuno. Politiche di questa natura, poi, servono in ogni singolo paese, in coerenza con le scelte che dovranno essere adottate a livello comunitario ma anche rispondendo ai bisogni e alle particolarità di ciascuno stato membro. Io non trovo che i due obiettivi siano in contraddizione: temo anzi che in nome di una presunta attenzione per i problemi dell'occupazione si finisca col mettere in discussione l'Unione europea. Forme diverse di protezionismo possono nascere e prendere corpo in tanti modi: sarebbe bene evitarle. A mio avviso è sbagliata l'idea secondo la quale rinviando nel tempo l'ingresso dell'Italia nell'Unione monetaria si possono avere a disposizione risorse maggiori per l'occupazione. Avremmo, invece, soltanto rapporti disastrosi con gli altri paesi dell'Unione, che trarrebbero dalla loro unità un elemento di indubbia forza; ed è quindi tutto da dimostrare che ci sarebbero più risorse disponibili. Per coniugare i due obiettivi -però - è necessario un enorme volume di risorse. E vero. Io credo che il compito che spetta al governo sia molto difficile, ma non impossibile. Soprattutto se al lavoro viene destinata una parte delle risorse che saranno rese disponibili - sia pure per circostanze contingenti - dalle privatizzazioni o dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello stato o del demanio. Lì c'è un blocco di risorse che può essere utilizzato programmandone la spesa nell'arco di un periodo breve. Questi soldi, però, difficilmente potranno bastare. Coi proventi delle privatizzazioni non si fanno le grandi infrastrutture. Sì, però questo paese ha il problema di cominciare: ci sono, per quanto riguarda le infrastrutture, progetti che sono già stati finanziati e che bisogna semplicemente (si fa per dire) avviare. Poi a questi progetti ne vanno aggiunti altri. Per cui le risorse necessarie non sono di per sé sufficienti, ma neppure irrilevanti. Teniamo conto, tra l'altro, che il patrimonio disponibile - penso a quello demaniale più che a quello immobiliare, che ha bisogno di tempi mediamente più lunghi per essere smobilizzato - è molto consistente. E sul versante del risanamento, invece, cosa proponete? Vorrei interventi mirati, soprattutto nei settori pubblici. Credo che la grande area nella quale introdurre forme di riorganizzazione che portino a risparmi strutturali di una certa consistenza sia tutta l'attività pubblica: dalla riorganizzazione dei ministeri al recupero progressivo di efficienza nella pubblica amministrazione. È un'area vastissima, nella quale anche il solo fatto di stimolare un lavoro più adeguato e più coinvolgente per chi lo fa può dare risultati consistenti. La sensazione è che quando da parte di alcuni si continua a insistere perché si prendano in considerazione esclusivamente la sanità e la previdenza, in realtà ci sia il tentativo di non mettere mano a un processo di riorganizzazio- ne della pubblica amministrazione che è complesso, ma che può permettere di superare fenomeni negativi che sono presenti da tempo: dalla scarsa efficacia dei servizi pubblici al permanere delle clientele. Si riferisce alla grande burocrazia? Sì. Non è mai morta. Tornando alla contrattazione, e sempre in tema di occupazione. Voi avete appena dato il parere favorevole al progetto di istituire i cosiddetti "contratti d'area" per le zone di crisi, in particolare al Sud. Nel testo si ipotizza lo snellimento delle procedure per favorire gli investimenti, ma anche la possibilità di utilizzare strumenti contrattuali che - per un periodo dato -comportano rinunce da parte vostra. Specie sul salario. Gli strumenti sono molteplici, da quelli che - attraverso la formazione - devono consentire il reinserimento al lavoro dei disoccupati di lungo periodo, oltre che dei giovani, a quelli che possono presupporre una prestazione diversa da quella ordinaria (in caso di aumento dell'utilizzo degli impianti), fino a quelli che portano a una dinamica salariale diversa da quella prevista in aziende dello stesso settore o già insediate in precedenza. Tutto questo perché la parte di salario sulla quale si può intervenire è quella che riguarda il rapporto tra salario e formazione, salario e orari e salario aziendale. Dunque non i minimi salariali. No. L'accordo non prevede alcun intervento sui minimi. Peraltro, la legge che garantisce il finanziamento alle aree di crisi, la 488, condiziona questi finanziamenti all'applicazione dei contratti. Ragion per cui le deroghe non sono previste. Ci sono due obiezioni correnti a questa intesa: la prima è che si rischia di incentivare la stipula di contratti che prevedono salari più bassi a parità di prestazione. Questa ha un fondamento. Però è il modo per favorire - senza far saltare le regole universali, ma legando la riduzione del salario a una riduzione d'orario o alla formazione - il recupero di aree che sono cadute pesantemente in crisi. P- Liti N. 9, PAG. 39 Credo che questo sia il contributo che la contrattazione può dare in questa direzione. La seconda obie-, zione è che, incentivando la creazione di nuovi insediamenti industriali con la l'èva dei salari, si rischia di favorire uno sviluppo fondato su produzioni "povere", a basso valore aggiunto, e la cui capacità di competere è garantita solo dal basso costo del lavoro. Mentre la prima obiezione è fondata, anche se credo che sia un prezzo da pagare, la seconda non mi convince. Innanzitutto perché parliamo di soluzioni transitorie, che hanno una scadenza nel tempo. E allora, o entro quella data le imprese sono in grado di competere in condizioni di normalità, oppure non vivono. Torniamo a Maastricht. Voi siete contrari a ritardare l'ingresso dell'Italia nell'Unione monetaria. Intanto, però, l'unico paese che è certo di arrivare al '98 con tutte le carte in regola è il Lussemburgo. Neanche Germania e Francia sono sicure di farcela. Questo rafforza l'idea che mi sono fatto. Per un verso è giusto, come dicevo prima, che si prosegua sulla strada del risanamento e che l'Italia si avvicini progressivamente ai parametri di Maastricht. D'altro canto credo che sarà inevitabile, quando si arriverà in prossimità della scadenza, che i paesi europei si guardino in faccia e decidano che fare. A quel punto avranno le carte in regola non quelli che avranno rispettato rigidamente i parametri - che potrebbero essere pochissimi e non particolarmente significativi - ma quelli che nel corso di questi anni ci si saranno avvicinati. Voglio dire che considero più importante le tendenza del risultato effettivo. Se si dovesse verificare questo scenario, pensa che sarebbe più saggio allentare i parametri o dilatare i tempi dell'Unione monetaria? In un'ipotetica scelta, che deve essere fatta da tutti, troverei più ragionevole diluire i tempi. Comunque anche in questo percorso, qualsiasi soluzione si decida di adottare - se non è accompagnata da politiche strutturali per il lavoro - rischia di non essere sufficiente. Perché il risanamento è importante, in quanto restituisce le condizioni per la competizione, però bisogna avere anche politiche specifiche. Vale per l'Europa, e vale per i singoli paesi. Finalista Premio Viareggio 1996 Marco Revelli LE DUE DESTRE «Temi» L. 22000 E se la «sinistra» fosse subalterna a una destra tecnocratica in conflitto con la destra populista ? Aldo Bonomi IL TRIONFO DELLA MOLTITUDINE «Temi» L. 20000 La nuova composizione sociale nell'epoca della mondializzazione Bollati Boringhieri Tullio Regge Maurizio Pallante SCIENZA E AMBIENTE UN DIALOGO «Temi» L. 18000 È possibile conciliare progresso e salvaguardia dell'ambiente ? Vincenzo Ruggiero ECONOMIE SPORCHE L'IMPRESA CRIMINALE IN EUROPA «Temi», L. 26000 La sorprendente contiguità tra crimine economico e criminalità organizzata % Giorgio Agamben MEZZI SENZA FINE NOTE SULLA POLITICA «Temi», L. 18000 Il trasformismo italiano nell'eclisse della politica e delle sue categorie