■ dei libri del mese OTTOBRE 1996 A, B, C grammaticale di Andrea Bosco Vincenzo Ceppellini, Il dizionario pratico di grammatica e linguistica, De Agostini, Milano 1996, pp. 656, Lit 39.000. L'idea di questo dizionario - il disporre in ordine alfabetico tutte le informazioni di carattere grammaticale - è davvero buona. Non si tratta per altro di un'opera nuova in tato, anche se il copyright, che porta la data del 1996 e nessun'al-tra annotazione, potrebbe farlo pensare. In realtà, come si evince dalla presentazione, siamo davanti all'ampliamento e all'integrazione di un'opera già esistente e cioè il Dizionario grammaticale per il buon uso della lingua italiana, sempre di Vincenzo Ceppellini, e sempre pubblicato dalla De Agostini nel 1990. L'edizione originale è però del 1956 per i tipi dell'editore Giuseppe Sorniani. Ripeto, di tutto quésto si dà conto nella presentazione, ma, come è noto, l'acquirente affrettato spesso si limita a un'occhiata al copyright. Ad ogni modo, rispetto all'edizione del 1990 l'opera presenta alcuni cambiamenti significativi. Innanzitutto l'ampiezza (656 pagine) e il formato, più voluminoso rispetto a quello tascabile dell'edizione precedente. Inoltre, come si evince dal nuovo nome dell'opera, è stato inserito un gran numero di voci che lo rendono a tutti gli effetti un dizionario di linguistica, oltre che un dizionario grammaticale. L'idea è buona, si diceva. Anche perché, in effetti, più che di un "dizionario grammaticale" si tratta davvero di una grammatica ordinata alfabeticamente. Un volume di grammatica solitamente non viene letto in ordine sequenziale, ma piuttosto è consultato alla ricerca di un particolare elemento sintattico o meglio ancora di un caso particolare. In questo senso la struttura sequenziale in base a distinzioni teoriche rende spesso la consultazione un'ardua impresa. Con questo Dizionario invece non si rischia di perdersi nei meandri delle grammatiche tradizionali. Ciò anche e soprattutto perché le informazioni fornite non sono solo di ordine generale; non ci sono cioè soltanto voci sul nome, sul verbo, l'aggettivo, sui verbi copulativi, ecc. Ci sono anche diretta- mente molte voci specifiche di parole e locuzioni italiane che presentano qualche particolarità grammaticale o sintattica (voci come pattuire, intorno, conglobare, scalo, ecc.). Di tutte le forme irregolari si trova la flessione. Per esempio sotto la voce accogliere troviamo quanto segue: "verbo irregolare della seconda coniugazione, composto cògliere. Transitivo. Pres. Indie.: accolgo, accogli, accoglie, accogliamo, accogliete, ecc. ". Segue poi il passato remoto, il presente congiuntivo, l'imperativo. Infine conclude la voce una definizione del significato e qualche esempio. A controbilanciare l'ordinamento alfabetico provvede un Indice sistematico iniziale che classifica il contenuto del dizionario secondò l'ordine che abitualmente è presente nei testi scolastici. Inoltre nell'Indice sono evidenziate tutte le voci relative alla linguistica. Completano l'opera un gran numero di tavole e schede (molte delle quali mancavano nell'edizione del 1990) disseminate nel corso del testo. Esse riguardano rispettivamente la grammatica, la produzione del testo, e infine la linguistica e i linguaggi settoriali. Tra le tavole di grammatica vi sono ad esempio tabelle con le coniugazioni regolari dei verbi e la coniugazione dei verbi ausiliari; ma si rende conto anche di aspetti come le funzioni della lingua e la nozione di campo semantico. Le tavole e schede sulla Produzione del testo affrontano determinati generi di testo (ad esempio la recensione) illustrando la loro funzione nella lingua, il referente, gli emittenti e i destinatari e altre informazioni accessorie. Per quanto riguarda le singole espressioni a lemma c'è da dire che non sempre il criterio di scelta è chiaro; è questo l'aspetto del dizionario che più meriterebbe una revisione. Un esempio per tutti: si trova la voce patriotta di cui si dice che è "sostantivo maschile, che indica colui che ama la patria. Esiste anche la forma patriota". Eppure la nostra percezione di parlanti nativi (e la consultazione di un qualsiasi dizionario) ci mostra chiaramente come sia vero il contrario: diremmo mai "Garibaldi era un patriotta"? Belfagor 305 Mirella AppiottI: "Ma accidenti, I'Arcidiavolo non si stanca proprio mai", La Stampa, Torino 27 giugno. Spoon River Antbology a Pavia Giovanni Nencioni con un inventario del Fondo Manoscritti Maria Nieves Muniz Leopardi: A Carlo Pepoli La Sicilia che scrive Enzo Papa L'importanza di chiamarsi A. Labriola da BalaEanoff-Mussolini agli odierni studiosi Stefano Zamagni con Federico Varese Al mercato delle idee Margherita Hack Gino Severini Benedetto Croce LA SCIENZA E LA POESIA Ritratto critico di Edmond Jabès Anna Panicali Mario Picchi belfagoriano Rassegna di varia umanità diretta da Carlo Ferdinando Russo Abbonamento sei fascicoli di 772 pagine, Lire 69.000 OIQOOIAQ "^..U"......^1' r;......... c.c.p. 21920509 - "Belfagor Firenze Casa Editrice 3n LeoS. Olschki Casella postale 66 » 50100 Firenze W Tel. 055 / 65.30.684 » Fax 65.30.214 i^P ~t 'veetw e.^'ti Nelle mani dei diplomatici di Cosimo Risi N. 9, PAG. 48 Luigi Vittorio Ferraris, Manuale della politica estera italiana 1947-1993, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 624, Lit 65.000. Conosco personalmente Luigi Vittorio Ferraris - diplomatico, professore, consigliere di Stato -da diciotto anni: da quando, nel luglio 1978, nel giorno d'insediamento del "mio" concorso diplomatico, prestai giuramento di fedeltà alla Repubblica al suo cospetto, nella sua allora veste di direttore generale del personale. Anni dopo, ambasciatore d'Italia a Bonn (fra i nostri emissari più attivi e conosciuti nella Repubblica Federale), mi incoraggiò a pubblicare il mio primo articolo su "Affari Esteri", facendomi così da editor con Roberto Gaja, all'epoca direttore della rivista. Da ultimo ho ritrovato Ferraris alla Farnesina come sottosegretario di Stato agli Affari esteri nel governo Dini e infine alla Sioi per la presentazione del suo libro: questo Manuale della politica estera italiana che mi accingo a recensire avendolo letto con la curiosità del neofita. E con la soddisfazione, ammettiamo pure, di scoprire che lavoro - con Ferraris e con tanti altri colleghi - per un paese che ha "una" politica estera. Di cui egli scrive per seicento e passa pagine senza una battuta d'arresto né una caduta di tensione espositiva. Il libro è infatti tutto al presente storico, ad accentuare il senso d'immediatezza. La digressione sui rapporti personali con l'autore introduce la domanda che mi sono posto a fine lettura. E la conclusione, ancorché parziale, che ne ho tratto. Il Manuale è molto di più di quanto m'aspettassi in termini di documentazione, un poco meno di quanto occorrerebbe per una valutazione critica della nostra attività esterna. Cerco di chiarire il punto. Altri (Francesco Malgaroli, sul "Manifesto" del 4 luglio 1996: La politica del basso profilo) notano i silenzi del Manuale sulle relazioni economiche esterne, sulla cooperazione allo sviluppo, sul "trasferimento di armamenti". Ebbene, trovo che il silenzio del libro andrebbe piuttosto rotto su un tema cruciale: chi fa, in Italia, la politica estera e a capo di quali processi decisionali. Ferraris, che è persona adusa a esprimersi con chiarezza estrema, avrebbe potuto aiutarci. Quella dell'apparente acriticità è una scelta metodologica che presiede all'opera e la rende perciò d'uso generale: per quanti, all'università e altrove, si accostino alla politica estera italiana e vogliano scrutarne il mistero. Perché v'è traccia di mistero in un paese che riduce progressivamente le risorse ai suoi strumenti di politica estera e non li riforma, che utilizza - specie negli anni del confronto Est-Ovest - la politica estera a fini di schieramenti interni, ma che tiene il passo della haute politique sedendo nel G7, essendo fra i protagonisti dell'Unione europea, aspirando al seggio in seno al Consiglio di Sicurezza. Altra scelta metodologica è quella della completezza. I dati sono minuziosi, i riferimenti testuali, la ricostruzione degli eventi quasi cronachistica: a dimostrare che cu- ratore e collaboratori hanno avuto accesso a materiale archivistico di prim'ordine e hanno saputo catalogarlo e sceverarlo. Il volume abbraccia un arco temporale assai vasto, dal 1947 al 1993: in pratica la vita dell'Italia repubblicana. E completato da una ricca bibliografia. Reca due appendici significative: sulla cultura come strumento di politica estera; su governi e ministri degli Affari esteri nel periodo indicato. Significativa la prima perché riconosce il giusto peso teorico alla cultura: "il petrolio d'Italia" -stando alla stanca propaganda dei talk shows, salvo trascurarla nella corrente attività amministrativa (se l'Arabia Saudita trattasse il petrolio "vero" alla stregua del petrolio italiano, sarebbe ancora in via di sviluppo). Significativa, la seconda appendice, perché l'elenco dei capi della Farnesina è lunghissimo e ricco di nomi illustri: il primato dell'effimero spetta a Vincenzo Scotti, in carica dal 28 giugno al 29 luglio 1992, e a Giuliano Amato, che assunse Xinterim dal 29 luglio al 1° agosto 1992. Ma eravamo in piena convulsione della Prima Re-. pubblica. Altre epoche hanno conosciuto permanenze meno brevi. I dati che si traggono dallo scritto di Ferraris sono sostanzialmente due: che la politica estera italiana segue una linea di continuità, a scanso dei cambi al vertice della Farnesina; che il nucleo duro della continuità risiede nella carriera diplomatica, o meglio nel servizio diplomatico perché alla diplomazia concorrono soggetti diversi dal diplomatico professionale. E, questo della continuità, un tema presente in altre opere di ex ambasciatori: si pensi al libro postumo di Roberto Gaja (L'Italia nel mondo bipolare, Laterza, 1995) e alla sua galleria di "una diplomazia per il XXI secolo". Per tornare al Manuale, colpisce un'altra considerazione: che la politica estera conosce un alto grado di consenso nazionale. Un consenso che Ferraris mostra di accettare con una punta di distacco. La celebre mozione parlamentare congiunta o bipartisan del 1977 (congiunta perché votata da tutto quello che allora si chiamava arco costituzionale) è indizio che: "tutti sono d'accordo su tutto (persino troppo!). Si stemperano fra forze di governo e opposizione gli antichi contrasti sulle scelte internazionali: Nato e Comunità europea, prima oggetto di tante avversioni, diventano punti di riferimento o almeno accettati dati di fatto, smentendo il catastrofismo prima di moda nell'opposizione". In altri termini, per dirla con linguaggio alla moda, l'opposizione - a fine anni settanta - converge al centro avviando la lunga marcia che la porterà - a metà anni novanta - a essere fulcro della maggioranza di governo, con una linea di politica estera ancora una volta di sostanziale continuità. Anzi, di rinnovata ortodossia, se si pensa all'ansia di rispettare Maastricht sotto tutti i profili. Ma la continuità vera e la convergenza autentica tra governo e opposizione sono acquisite solo alla scomparsa dell'Urss, quando viene meno quello che Ferraris definisce "un droit de regard" di Mosca sull'evoluzione europea verso la sua unificazione. Un diritto che continuava a esserle riconosciuto anche dopo perestrojka e glasnost. Il facile europeismo è anch'esso passato al vaglio critico, come pure le aspettative "eccessive" che circondano alcuni passaggi della vita comunitaria. La presidenza del 1990 fu introdotta da De Michelis al Parlamento europeo con espressioni enfatiche: "Raramente un semestre si è aperto in un clima di così grande attesa". Va però aggiunto che il concreto operare della diplomazia - ad esempio lungo il semestre di presidenza europea appena trascorso -cerca di tenere alta la bandiera in contesti internazionali e nazionali in continuo mutamento. Nel 1990 la presidenza italiana aprì le conferenze intergovernative sull'Unione politica e sull'Unione economica e monetaria, che avrebbero portato al Trattato sull'Unione europea del 1992; nel 1996 la presidenza italiana ha aperto la Conferenza di revisione di quel Trattato per adeguarlo ai nuovi tempi. Ma la politica estera non si consuma solo nei fori multilaterali (e sul rapporto fra multilateralismo e bilateralismo, che Ferraris ha praticato alternativamente nella sua carriera, sarebbe utile conoscere il suo parere). La dimensione bilaterale resta importante, specie per una media potenza come l'Italia, confinata nella regione euro-mediterranea ma con interessi generali, come dimostra la sua partecipazione ai vertici G8. Le pagine sulla politica mediterranea di Roma sono fra le più felici del Manuale', il filoarabismo trasversale di parte di governo e opposizione, seguito dall'approccio più equilibrato verso Israele negli anni novanta, specie dopo la crisi del Golfo del 1990.