OHOBRE 1996 Di eCslbìsC cte,L Poeta e giornalista N. 9, PAG. 6 di Vittorio Coletti Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano 1996, 2 tomi, pp. LXXV-3408, Lit 75.000. Con i due tomi de II secondo mestiere, a cura di Giorgio Zampa, prosegue la raccolta nei "Meridiani" Mondadori dell'opera in prosa di Eugenio Montale. Questi volumi seguono quello di Prose e racconti, curato da Marco Forti, e precedono quello conclusivo, ancora intitolato al "secondo mestiere" e che conterrà, avvisa una nota, "le recensioni di argomento musicale, gli scritti sull'arte e gli auto-commenti". Un giudizio sull'intera operazione editoriale si potrà dare solo alla sua conclusione, quando, tra l'altro, sarà (si spera) meglio spiegato il rapporto tra questi volumi e quelli delle prose editi dall'autore stesso. Al momento si sa che nel primo volume sono confluiti, infatti, Farfalla di Dinard, Fuori di casa, La poesia non esiste e Trentadue variazioni (uscito dopo la morte del poeta, ma da lui impostato); nei due tomi del secondo, c'è Sulla poesia, ma scorporato, smontato e rifuso nella nuova disposizione puramente cronologica dei pezzi dell'insieme; si presume poi che il terzo volume conterrà almeno Prime alla scala e, penso, Auto da fé, e ci si chiede se saranno ripresi nella forma in cui li licenziò l'autore o saranno anch'essi scompaginati nella nuova raccolta. Bisognerà dunque tornare sulla questione, anche se fin da ora qualche perplessità nasce dalla mescolanza, nei diversi volumi, di criteri di "genere" (racconti nel primo), di "tema" ("arte, musica, società" nell'ultimo in stampa) e cronologici (in quello in esame). Anche se un'acribia filologica come quella dispiegata da Contini e Bettarini per l'Opera in versi parrebbe eccessiva per le prose del "secondo mestiere", non sarebbe inutile qualche ragguaglio in più, in questi tomi, sulle eventuali varianti dei testi più volte editi (come è stato lodevolmente fatto da Luisa Previte-ra in appendice al volume di Prose e racconti). Qualche dubbio nasce anche dalla distinzione, non sempre così netta, tra le prose definite di invenzione (specie quelle sparse, della seconda parte del primo volume) e certune di questi tomi (o viceversa, specie avendo riguardo al carattere giornalistico delle prose di viaggio di Fuori di casa). Inoltre, qui stanno insieme, da una parte, scritti apparsi su riviste come "Solaria", "Pan" e "Pegaso", introduzioni a opere (Firpo, Defoe, ecc.), saggi (come quello su Gozzano o su Dante) già selezionati per Sulla poesia, e, dall'altra, articoli giornalistici di vario argomento, ancorché soprattutto letterario, recensioni, necrologi, ecc. usciti sul "Corriere della Sera", nonché interventi (come quelli del 1944 su "La Nazione del Popolo") che Montale non accolse in Auto da fé, ma che ne riguardano la tematica così da vicino che l'autore stesso valutò a lungo se includerli nella raccolta da lui edita. Infine: è davvero omnia quest'opera che, come dichiara l'introduzione al primo volume di prose, presenta "una vastissima scelta di quanto Eugenio Montale ha pubblicato"? So che c'è chi, documenti alla mano, ne dubita, anche per questa sezione. Ma, in attesa di esaminare l'opera completa, cominciamo col dire che, in questi volumi, la pur confu- qua e là squarci di riflessioni riferibili direttamente al poeta e all'intellettuale Montale, l'onestà professionale con cui egli esercita il suo pur secondo lavoro, insieme con l'istintiva ritrosia, gli impedisce di svelarsi, se non raramente. Peraltro, se la misura giornalistica e comunque commissionata di tanti interventi non consente di attribuire alle presenze o alle as- Recensendo Tempi memorabili di Cassola scrive pagine limpidissime sul ruolo del paesaggio nella narrativa da Chateaubriand a Hamsum a Cechov; parlando degli Strumenti umani di Sereni indugia sui rapporti tra poesia moderna e musica atonale; a proposito di Herzog di Bellow affronta il problema dell'avvicinamento dello scritto al parlato nella narrativa sa adunata degli scritti giornalistici di Montale rende bene l'idea della quantità e dell'onerosità del "secondo mestiere", specie di quello fatto per puro dovere professionale, come redattore, chiamato a occuparsi di temi o di autori e opere spesso molto lontani dai suoi interessi, a lui non congeniali o indifferenti. Bisogna subito vincere, di fronte a questo ammasso, la tentazione di cercarvi tracce della poetica montaliana o linee interpretative della letteratura contemporanea. Non che suggestioni in tal senso non siano possibili. Ma la somma dell'estemporaneità del materiale trattato nei vari saggi e articoli con l'irregolarità, la discontinuità degli interessi e delle curiosità mon-taliane dà un risultato da cui è difficile desumere, come giustamente dice Zampa, piani, sistemazioni, dichiarazioni programmatiche. Se è certamente possibile cogliere senze di autori, testi, ecc. un significato troppo preciso e di disegnare una tavola organica di valori, è anche vero che proprio questa disorganicità esalta certe presenze o sottolinea certe assenze, e direi più le prime che le seconde. E allora accanto ai ben noti e ripetuti incontri con Svevo o con Saba o con Solmi, andranno segnalati, e spiegati in chiave di gusto e affinità personali, quelli con Benco o con Cecchi o con Emanuelli; mentre al fiuto non irregimentato di Montale si potrebbero ascrivere letture alla luce dell'oggi profetiche, come quella di Bove o di Cankar o di Zangwill o della Orte-se o di Silvio D'Arzo. Pur restando sempre nei pressi del suo esaminato, Montale coglie spesso l'occasione per fissare misure e saggiare terreni più vasti con la semplicità e la larghezza di vedute proprie del grande dilettante che si compiaceva di essere. moderna. In generale, colpisce (ma non sorprende) la sua propensione per gli autori stranieri, anche se le recensioni, ovviamente, privilegiano gli italiani. Si osservino le letture di poeti. Intanto, gli stranieri sono numerosi e di primaria grandezza; per menzionarne solo alcuni: Au-den, Apollinare, Benn, Eliot, Éluard, Jiménez, Kavafis, Lar-baud, Machado, Neruda, Pound, Rilke, Saint-John Perse, Stevens, Supervielle, Williams; ma il saldo straniero potrebbe forse addirittura diventare attivo se si calcolassero anche gli autori citati (lo vedremo con i promessi indici dell'ultimo volume), indizio più significativo di gusti e preferenze. Nella recensione a Fuochi in Novembre di Bertolucci, a parte un occasionale rinvio a Chiaves, menziona Toulet, Pellerin, Pound e Verlaine; nel noto saggio su Campana, tolto Ungaretti, i refe- renti sono Whitman, Rimbaud, Rilke e George, e l'autore dei Canti orfici è fissato nell'epigrafe del "poeta germanicus"; per Zan-zotto cerca appigli in Éluard e in Hòrderlin; scrivendo il necrologio di Rebora, lo ricorda vissuto "fra religiosi di cultura inglese" e cita, ancorché per negarne l'influsso, Thompson, Coventry Pat-more e Hopkins; è celebre nel saggio su Gozzano la "junction Browning-Baudelaire", ecc. Tra gli stessi classici Montale si orienta, più che su Manzoni o Boccaccio o Dante (pur analizzati con grande finezza), sui grandi stranieri, come Shakespeare, Hoff-mann, Kleist, Goethe, Bùchner. Ma a scavare o anche solo a spiluccare questi volumi da tali prospettive si potrebbero moltiplicare le osservazioni, senza per altro mai riuscire a tirare delle somme attendibili, anche, come si diceva, per il criterio ibrido con cui sono stati montati, cronologico, ma con esclusioni motivate dal tema o dal genere; insomma, è da mettere in conto qualche effetto di strabismo interpretativo nel lettore. È bene allora rinunciare a seguire piste letterarie e, in omaggio al lato più professionale e umile del "secondo mestiere", dare un'occhiata anche agli articoli non letterari. Si potrebbe partire dalle diciotto corrispondenze da Strasburgo nel 1950, dove il giornalista Montale seguiva senza entusiasmo le sedute del Consiglio d'Europa, di cui oggi resta forse solo una precoce testimonianza (corsivata però) del pool (ma del ferro e dell'acciaio); passare per l'impacciato resoconto del congresso degli urbanisti in lotta con la burocrazia del Genio Civile; e arrivare al resoconto del primo congresso dei soci del Mulino, tra i cui "mugnai" non arrivò à intravedere l'attuale presidente del consiglio ma certo sembra averne colto le radici tra quei "non comunisti" che "respingono l'anticomunismo a buon mercato dei conservatori", tra gli "strani giovani occhialuti" che "rifiutano l'antitesi fra clericalismo e anticlericalismo", che chiedono "di non dimenticare l'apporto della sociologia... di non trascurare la tecnica e la scienza" e persino lavorano "per équipe" (oggi, però, essi direbbero "squadra"). In questi articoli si vede il giornalista che conosce tutti i trucchi del mestiere e sa come riempire la cartella anche in mancanza di informazioni. Il poeta e il prosatore, per di più, gli offrono pochi supporti e intervengono raramente ad avviare la scrittura, che, si capisce, aveva altro e di meglio su cui dar prova di sé.