• t-H o j_»o dei libri del mese OTTOBRE 1996 digliani. Nessuna sorpresa, dunque, se II miracolo possibile non risparmia le battute sulla testardaggine delle autorità tedesche, gelose e intransigenti custodi dell'interpretazione "letterale" dei criteri di Maastricht. E neppure se il vero obiettivo che gli autori propongono per il paese non è quello di correre dietro anno per anno ai parametri di Maastricht, bensì di completare dal lato dell'inflazione e dei tassi di interesse un risanamento "reale" già conseguito sul versante del bilancio pubblico, e con ciò stesso entrare anche, a testa alta, nell'Unione monetaria (se e quando dovesse farsi). Tutto ciò non significa, naturalmente, che il requisito "statistico" del 3 per cento sia totalmente privo di senso: depurato dall'illusione ottica creata dalla presenza dell'inflazione esso rappresenta un giusto criterio di pareggio della parte corrente del bilancio pubblico, che lascia che il 3 per cento di deficit pubblico sul Pil sia destinato a finanziare le spese di investimento. Poiché dunque l'attuale divergenza del bilancio pubblico da Maastricht è dovuta agli effetti dell'inflazione sugli interessi, ne segue direttamente l'indicazione sul che fare: riuscendo ad abbassare in modo rapido e drastico l'inflazione le autorità di politica economica farebbero con ciò stesso' emergere anche la piena conformità della situazione dei conti pubblici ai requisiti dell'Unione monetaria. Un'osservazione va fatta, di sfuggita, a proposito dell'altro elemento che concorre, insieme alf inflazione, a determinare l'elevato volume di spesa per interessi: lo stock del debito pubblico. Pur senza dirlo esplicitamente, gli autori non lo considerano in effetti un problema meritevole di molta attenzione, e anche in questo caso si mostrano assai distanti dalla concezione della "sana finanza" prevalente in Europa. Se dunque la strategia di politica economica deve mirare a una drastica riduzione dell'inflazione, e poiché inoltre la disinflazione non può avvenire per impulso né della politica di bilancio né di quella monetaria (la restrizione monetaria graverebbe sui tassi di interesse), l'obiettivo deve essere perseguito mediante il classico "terzo strumento" keynesiano, la politica dei redditi. Dunque, scrivono i nostri autori, i contratti di lavoro dovrebbero programmare aumenti delle retribuzioni non superiori al tasso di crescita della produttività (stimata intorno al 6 per cento nell'arco di un triennio), dovrebbero seguire cioè un criterio che essi chiamano (con un termine, per la verità, che può generare equivoci) "inflazione programmata zero". Va notato che la vera inflazione programmata, o attesa, secondo la definizione corrente (gli autori la chiamano invece "effettiva", aggiungendo altri equivoci terminologici), secondo le stime econome- triche presentate nelle appendici scenderebbe rapidamente all'1-1,5 per cento. I salari reali, di conseguenza, crescerebbero leggermente, ma la maggior parte degli aumenti di produttività andrebbe alle imprese nella forma di aumenti dei profitti. Preso alla lettera, ossia come proposta "praticabile" in politica economica nella concreta situazione italiana dal 1996 in poi, i programma di Modigliani e Bal-dassarri è chiaramente fuori mercato. Lo dimostrano le difficoltà che sono immediatamente sorte in sede sindacale (particolarmen- te nella Cgil), e all'interno della maggioranza che sostiene il governo, allorché il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) ha ridotto di un semplice mezzo punto il profilo dell'inflazione attesa (o "programmata", secondo l'uso divenuto corrente in Italia) rispetto a quanto stabilito dal precedente Dpef. Non si tratta solo degli effetti redistributivi dal lavoro al capitale che la proposta Modigliani, alla lettera, comporterebbe (e che si realizzerebbero dopo una consistente redistribuzione già avvenuta nel corso del '95 e negli anni N.9, PAG. 38 precedenti), ma della difficoltà a invertire le aspettative di inflazione sul mercato del lavoro, una difficoltà che gli autori - si presume - hanno ben presente, data la loro formazione dichiaratamente key-nesiana. Del resto gli studi neokeynesiani in materia, teorici ed empirici, riempiono una biblioteca. Modigliani e Baldassarri sanno perfettamente (anche se ne II miracolo possibile non ne tengono esplicitamente conto) che non diversamente dai tassi di interesse anche le retribuzioni si determinano sul mercato, dipendono dalle aspettative, dallo stato della fiducia, da valutazioni di equità relativa tra categorie di lavoratori che stipulano i loro contratti in tempi differenti, ecc., e non possono essere trattate come se fossero una "variabile indipendente", o esogena, a disposizione delle autorità di politica economica. Il che non significa, naturalmente, che la concertazione tra le parti sociali, secondo le procedure stabilite nei famosi accordi del luglio '93, fermamente voluti dall'allora Presidente del Consiglio Ciampi, non sia in grado di modificare e influenzare in modo significativo le aspettative di inflazione che stanno alla base della contrattazione dei salari nominali. E precisamente su questa possibilità, cioè sul successo della concertazione con le parti sociali, che si basa, è da ritenere, il "partito dell'ottimismo" cui ho accennato più sopra. Il discorso di Modigliani e Baldassarri, fuori mercato come vera e propria proposta programmatica, va inteso come una parabola, un ragionamento al limite che contrappone due scenari-tipo estremi, quello di inflazione inerziale, e quello di inflazione in rapida discesa. Va letto come un'analisi che quantifica i vantaggi economici generali, e in particolare per il bilancio pubblico, di una riduzione quanto più rapida nossibile dell'inflazione, e lo contrappone ai costi reali generali, e in particolare di bilancio pubblico (necessità di comprimere le spese (e/o di aumentare le imposte al di là di ciò che richiederebbe in sé una politica di sana finanza pubblica) di una prosecuzione inerziale dell'inflazione, causata da rigidità delle aspettative e dal prevalere dell'immobilismo e della sfiducia nella concertazione tra le parti sociali. 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