OTTOBRE 1996 Una voce fraterna di Luigi Surdich "La poesia di Montale è, fra le voci di questo tempo difficile, una delle più fraterne, forse la più fraterna". Così scriveva, nel 1940, Sergio Solmi in un saggio critico sulle Occasioni, a significare la risonanza umana, oltre che letteraria, del libro montaliano. In effetti viene a stabilirsi immediatamente, entro l'orizzonte cupo del tempo di guerra, una corrente di partecipazione tra la poesia di Montale (il Montale delle Occasioni e, subito dopo, di Finisterre) e i suoi lettori, investiti dalla bufera della storia: come se lo strappo violento e barbaro dell'umano esigesse e provocasse una spinta di riappropriazione che solo una poesia capace di coniugare forza emotiva e tensione raziocinante poteva assecondare. Appartiene all' edificazione di una "leggenda" montaliana la testimonianza di molti giovani (intellettuali e no) che hanno affrontato le tragiche vicissitudini della seconda guerra mondiale avendo a conforto e, al tempo stesso, a irrobustimento nel rigore etico e civile i versi di Montale. Ce lo ricorda, solo per rifarci a un'attestazione che si può leggere ora in un libro fresco di stampa (AA.W., La Liguria di Montale, Sabatelli, Savona 1996, pp. 300, Lit 40.000), Vico Faggi, che indica in Montale, il Montale di Fininsterre, "la voce fraterna che ci accompagnò nelle tappe tormentose di quel viaggio attraverso l'orrore". E ce lo aveva ricordato anche, a suo tempo, Giorgio Caproni, che era stato uno di quei giovani che nei feroci anni della tragedia bellica aveva trovato nella poesia un singolare strumento di appoggio e di resistenza: "magari anche un talismano, una forma di scongiuro o di preghiera (e di conoscenza oltre la 'realtà di Stato', che ci veniva imposta), se penso al conforto provato poi in guerra, sempre sulla soglia d'una probabile ora ultima, rimasticando come giaculatorie versi d'Ungaretti..., o di Guillén, o di Montale ecc., pur con la coscienza lucida dell'inutilità del rito". Peccato che quanto in più di una circostanza Caproni ha scritto su Montale non sia stato fatto confluire nella raccolta dei suoi saggi critici uscita da pochi mesi (La scatola nera. Garzanti, Milano 1996, pp. 198, Lit 32.000): una lacuna in verità vistosa, perché credo che si sia inopinatamente lasciata cadere l'opportunità (per di più in quest'anno di centenario ! ) di conoscere la lettura e l'interpretazione di Montale da parte del poeta che, forse, va riconosciuto come il maggiore tra quelli della generazione successiva alla sua. Cosa giustificava tanta consonanza coi versi di Montale? Cosa spingeva al solidale sostegno della sua opera? Probabilmente un sentimento di "necessità", fondato sul timbro di una voce severa e autentica, profondamente radicata sui valori dell'esistenza e sull'avvertenza dell'emergenza storica. Ripensiamo a quella decina d'anni che muovono dalle alleanze dei sistemi totalitari più potenti e terribili, che attraversano il pieno della sciagura bellica e che si concludono con i giorni della Liberazione. Sono anni che, traguardati dal lato particolare della specola letteraria o, più selettivamente ancora, di quella poetica, scandiscono un percorso che, partendo dall'ermetismo, ha il suo punto di arrivo nel neorealismo: l'assolutezza della parola, l'orfismo, l'assenza, la lontananza dalla storia da una parte (ermetismo); l'impegno, l'immedesimazione col reale, il referto documentario, il contenutismo Cr&ACC*' un incubo destinato a svelarsi come dannazione dell'uomo e della civiltà ("Il rumore degli émbrici distrutti / dalla bufera / nell'aria dilatata che non s'incrina, / l'inclinarsi del pioppo / del Canadà, tricuspide, che vibra / nel giardino a ogni strappo"). E profetico e chiaroveggente allorché in Nuove stanze (poesia del maggio del 1939, pochi mesi prima, dunque, dell'invasione della Polonia da parte delle truppe di Hitler) avverte la minaccia di "una tregenda / d'uomini", di un "nembo" (nembo prossimo a tramutarsi in "bufera"), di uno "specchio ustorio" di fronte al quale dovrà ergersi la forza oppositiva e infine vincente ("Ma resiste / e vince") degli "occhi d'acciaio" della donna amata. Il senso etico della fermezza stoica fluisce dalle Nuove stanze alla pressoché contigua (in senso cronologico) Palio, mentre l'accensione visionaria (una visionarietà che è già nella premesse ispirative del testo, prima ancora di attraversarlo per intero: "È una poesia che ho sognato e trascritto: ne sono forse più 0 medium che l'autore", dichiarerà il poeta) lampeggia per tutta Iride, la poesia del "Nestoria-no smarrito" che si affida all'incar- Ricorrenze montaliane Dal 9 al 12 ottobre, al Teatro Carlo Felice di Genova, si terrà un grande congresso internazionale per il centenario di Montale. In questa pagina pubblichiamo un estratto della relazione di Luigi Surdich sul tema "Dagli Ossi alle Occasioni". Fra gli altri interventi segnaliamo: Giovanni Giudici, "Da Montale, oltre Montale"; Sergio Givone, "Lettura filosofica di Montale"; Carlo Ossola, "Montale e l'istanza religiosa: apologia e assenza"; Carlo Sini, "La destrutturazione del soggetto poetico"; Franco Contorbia, "Montale, Genova, il modernismo"; Luciano Rebay, "Ripensando Montale: del dire e del non dire"; Vittorio Coletti, "Vitaliano di Montale"; Rosanna Bettarini, "Piccola indagine sul lessico"; Maria Antonietta Grignani, "Montale, Blake, Rossetti"; Patrice Dyerval Angelini, "Il latino nella poesia di Montale"; Ghan S. Singh, "Rinnovamento poetico di Montale, Pound e Eliot"; Eugeni Solonovic, "Montale e la Russia: testimonianze di un traduttore"; Michael Marschallvon Bieberstein, "Montale e il Novecento, visto dal suo traduttore tedesco"; Edoardo Sanguineti, "Montale e la mitologia dell'"inetto'"; Gilberto Lonardi, "Montale e il melodramma"; Elio Gioanola, "Il mare negli Ossi di seppia" ; Piervincenzo Mengaldo, "I Mottetti di Montale"; Giorgio Barberi Squarotti, "Mottetti ed altro"; Maria Luisa Spaziani, "Classicità del ritmo anomalo nella Bufera"; Franco Croce, "La Bufera"; Riccardo Scrivano, "Ealtro Montale: la poesia al negativo"; Marco Forti, "Montale e i Diari"; Luisa Previtera, "Montale narratore: prose extravaganti e altro"; Laura Barile, "Un ocapi allo zoo di Londra"; Marziano Gu-glielminetti, "Prose di fantasia". Sabato 12, // / iHff i/,0 f 1 « tavola rotonda "Montale oggi", coordinata da Cesare Segre, con Luigi Blasucci, Fausto Curi, Romano Luperini, Giulio Nascimbeni, Ezio Raimondi, Giuseppe Savoca, Francesco Zambon. La chiusura dell'incontro sarà affidata a un discorso del poeta fiorentino Mario Luzi: "Montale e il suo ascolto". Nella serata verrà eseguita, in prima assoluta, dall'orchestra del Carlo Felice, una composizione di Salvatore Sciarrino, suggerita da pagine montaliane. Per informazioni : Fondazione Mario Novaro, corso Saffi 9/11, Genova, tel. 010-5531281. A Torino, al Teatro Carignano, sabato 12 ottobre alle ore 18, tre attori della Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile leggono, dal Diario postumo, uscito quest'anno da Mondadori, poesie scritte negli ultimi dieci anni di vita. (e.l.r.) dall'altra (neorealismo). Tra queste due sponde i cunicoli d'accesso a una poesia non pregiudizialmente votata all'intransitività né appiattita sulla mimesi realistica erano davvero ardui da individuare e da percorrere. E pur tuttavia c'era la sensibile registrazione diaristica del (appunto) Diario d'Algeria di Vittorio Sereni e c'era l'espressionismo drammatico de 1 lamenti di Giorgio Caproni. Ma c'era soprattutto Eugenio Montale, in virtù di una potenzialità profetica, di un'intensa chiaroveggenza, di una sostenutezza morale e di una forza visionaria capaci di proiettare in figure e situazioni di spessore e rilievo metafisico le dimensioni di spavento e di orrore di una rovina storica immane. Profetico, Montale, in Tempi di Bellosguardo, specialmente nel terzo tempo di questa altissima poesia, terzo tempo che si apre col presagio tutto acustico e visivo di Bollati Boringhieri RIPOSTE ARMONIE LETTERE DI FEDERIGO ENRIQUES A GUIDO CASTELNUOVO «La cultura scientifica», L. 85 000 Una testimonianza e una documentazione di eccezionale valore per la conoscenza della scuola italiana di geometria algebrica P- Liti N. 9, PAG. 7 nazione salvifica della donna, non più solo angelo, ma portatrice di Cristo, Cristofora. E, da ultimo, con La primavera hitleriana (la datazione 1939-46 sembra segnalare tale poesia come testo globalmente riassuntivo di una lunga e sconvolgente stagione), ecco che lo scenario grottescamente degradato del totalitarismo nazifascista richiede la suprema prova del sacrificio della donna per una salvezza che non sia solo salvezza privata, ma sia per tutti: "fino a che 0 cieco sole che in te porti / si abbàcini nell'Altro e si distrugga / in Lui, per tutti"; "col respiro di un'alba che domani per tutti / si riaffacci"; e l'"alba", come ha scritto Oreste Macrì in un saggio che ora si può leggere nel corpus contenente i suoi numerosi interventi su Montale, a partire dal 1936 (Studi montaliani, Le Lettere, Firenze 1996, pp. 457, Lit70.000), "è il momento della visione della fuga del Nemico". L'immagine di un fantasma muliebre che riconosce le sue ascendenze letterarie nei paradigmi della poesia metafisica anglosassone e nella memoria della tradizione stilnovistica e dantesca; la contingenza storica affrontata con lo sguardo fisso a un orizzonte valoriale assoluto ("La guerra, in ispecie, quella guerra e quella dittatura...; ma anche guerra cosmica, di sempre e di tutti", dirà Montale per spiegare il senso riposto nel titolo La bufera)-, gli elementi di cronaca e le vicende storico-politiche riportati non come documento ma investigati per essere sussunti a un significato che vada oltre l'occorrenza immediata; le ragioni esistenziali e le istanze civili declinate secondo modalità legate alfa sfera del sacro e interpretate alla luce di un'urgenza a modo suo religiosa; lo stile alto e tragico conquistato attraverso il recupero e l'innalzamento del prosastico e anche la scelta di forme istituzionalizzate (la stanza, il sonetto elisabettiano): sono queste le principali prerogative per cui la voce di Montale poeta della guerra, negli anni di prima, durante e immediatamente dopo la guerra, risuona con timbro carico di pathos e insieme solenne, in cifra costantemente ardua e spesso criptica, a riscontro di un programma (di una poetica) le cui linee si possono trovare riassunte in una prosa del 1944, Augurio, ove Montale auspicava un'arte "realistica nel metodo e nelle forme, ma di significato essenziale e persino esistenziale nel senso ultimo e nel soprasenso". Un ultimo aspetto, peraltro, va rilevato. Mentre trasferisce il mito della creatura femminile dalla fisionomia di visiting angel all'identità della Cristofora, Montale, su di un piano diverso, recupera e potenzia, espandendolo e caricandolo di allucinata visionarietà, uno dei temi primari (e di più lunga percorrenza) della sua ispirazione: l'orto, che compare fin dal più remoto componimento montaliano accolto in volume (il famosissimo Meriggiare pallido e assorto del 1916), l'orto che si configura come un "reliquiario" nella poesia In limine collocata a inaugurare gli Ossi di seppia, si commuta, nella Bufera, nella "terra folgorata dove / bollono calce e sangue nell'impronta / del, piede umano" (L'arca) e diventa, nella poesia che porta proprio il titolo de L'orto, il crogiolo arroventato che immediatamente rinvia all'inferno della tragedia storica: "L'ora della tortura e dei lamenti / che s'abbattè sul mondo".