OTTOBRE 1996 Atenei mafiosi di Aldo Fasolo Felice Froio, Le mani sull'università, prefaz. di Raffaele Simone, Editori Riuniti, Roma 1996, pp. XIX-228, Lit 16.000. Mafie e potere: le mani sull'università riecheggiano un più celebre e pericoloso Mani sulla città. Nel libro si parla di malauniversità, affrontando coraggiosamente e con riferimenti precisi i tanti focolai di scandalo, che hanno infettato l'università italiana negli ultimi anni. E un'opera scomoda, che dopo una sofferta gestazione, segnata dal rifiuto di editori importanti, tutti preoccupati delle buone relazioni "accademiche", a fatica e con i denti ha trovato il suo spazio pubblico. In esso si parla dello status dei professori (sia del loro ruolo autentico, sia di quello usurpato), dei concorsi, della ricerca scientifi- - - mmm ca e della didattica, citando numerosissimi motivi di lamentela, alcuni minori e di cattivo costume, altri di rilevanza penale e che costituiscono causa di grave turbamento sociale. Il libro, che si chiude con un indice dei nomi a sottolineare che l'attacco è a viso aperto, rappresenta nel complesso un'opera meritoria, perché ha il coraggio di "mettere il dito sulla piaga". La sua struttura ha tuttavia un carattere aneddotico, buono per un articolo giornalistico, ma meno per un libro in extenso. Sembra così di leggere un archivio di schede sulle piccole e grandi nefandezze accademiche, piuttosto che un organico saggio su un'istituzione in crisi. Il saggio rientra in un esiguo filone di denuncia (come 0 più ambizioso e strumentale libro di Riccardo Chiaberge, Cervelli d'Italia, Sperling & Kupfer, 1996), che dovrebbe allertare le coscienze e indirizzare le scelte dei politici e della -società verso una rapida modifica sostanziale della situazione in atto. Certamente una parte dello scopo è raggiunto, perché ben pochi lettori sfuggiranno a un senso di disgusto e a una sacrosanta indignazione. Ma poi? È purtroppo facile essere cinici: dovremmo chiederci quante delle disfunzioni denunciate, e che avevano trovato vasta eco giornalistica (e anche giudiziaria), siano state poi risolte in modo positivo. La risposta, ben lo sappiamo, è desolantemente bassa, tendente a zero. Dobbiamo cioè concludere che la denuncia non basta, perché nonostante i sussurri e le grida, non succede nulla e prevale il grande silenzio... In fondo, la crisi dell'università è il prodotto di due silenzi: uno è quello, volta a volta connivente, frustrato, desensibilizzato, del mondo accademico stesso, che vede e soffre le pecche del sistema e dei comportamenti, ma non sa uscirne con proposte generali e comportamenti adeguati. L'altro grande assente è il controllo sociale sulle istituzioni, sia che si chiami opinione pubblica, sia che si identifichi con la classe politica, sia che rappresenti gli interessi concreti delle famiglie e degli studenti. Ben vengano le denunce allora, ma è poi importante che a queste seguano provvedimenti efficaci, sia per risolvere i casi singoli, sia per pro- porre un centro di attenzione permanente sull'istituzione. Non esistono facili ricette per uscire da una crisi profonda di identità e di immagine, ma solo attraverso interventi diversi e coordinati, sul piano legislativo e su quello del costume, si può imboccare una via di uscita positiva. La riforma dei concorsi e quella degli accessi alla carriera universitaria sono importanti, ma ancora più centrale è la definizione di uno stato giuridico dei docenti e dei ricercatori, nel quale sia finalmente indicato con chiarezza qual è l'insieme di doveri e di mansioni da adempiere. N. 9, PAG. 36 Congiure degli onesti di Giuseppe Sergi Lettere dall'università, a cura di Luisa Muraro e Pier Aldo Rovatti, Filema, Napoli 1996, pp. 240, Lit 26.000. In un intervento del 25 agosto in "Repubblica" Maurizio Bettini ha affermato che occorrerebbe costringere tutti coloro che tessono scellerati elogi della scuola statunitense a fornire nomi e indirizzi de- Schizofrenie accademiche di Paola Di Cori Qualche breve riflessione non sui due libri ma sui problemi che pongono, sul dibattito che hanno suscitato e sugli interventi di Fa-solo e Sergi. Pur trattando entrambi i libri di come funziona l'università italiana e di come vi si lavora, in essi sono dominanti prospettive diametralmente opposte: la valorizzazione delle esperienze positive è al centro di quello curato da Luisa Muraro e da Pier Aldo Rovatti; la denuncia delle disfunzioni e del malcostume è l'obiettivo di quello di Froio. Il primo sembra delineare un orizzonte ottimista e propositivo, il secondo ha un tono decisamente denigratorio e pessimista. Non credo sia un caso che proprio questi libri abbiano risvegliato un grande interesse. Ben poco si è parlato del bel fascicolo che "Aut Aut" ha di recente dedicato ai problemi dell' università (che contiene, tra gli altri, anche interventi di Muraro e di Rovatti), e in fondo le analisi largamente condivise e condivisibili di Raffaele, Simone a-vevano ricevuto un'adesione tiepida, più rassegnata e indifferente che complice. Per le Lettere dall'università e per Le mani sull'università ha probabilmente giovato, oltre al nuovo governo e ministro, l'uscita in contemporanea, il fatto che, nonostante la diversità dei punti di vista, sia le Lettere sia le Mani dipingano uno scenario comune a chiunque transiti o sosti, molto o poco, negli atenei nostrani. E innegabile, infatti, che nell'università italiana (e non solo) quasi tutti vivono in maniera sdoppiata, nella perenne oscillazione tra depressione ed euforia, talvolta soddisfai- RICONOSCENDO LE ORME DI CHI CI HA PRECEDOTO Sii VACANTI. FINCHE SI SCORGE IN | NANZI A NOI ONA Per questo li chiede di abbonarti. Pe Linea d'ombra si occupa da dieci anni di letteratura, storia, filosofia, scienze e spettacolo. Di società e di politica. D'Italia e del mondo. Non sono stati anni facili, come dimostra il presente che tutti stiamo vivendo. LINEA D'OMBRA.,» Ma sono stati anche anni di libertà. Anni di viaggio nell'universo letterario e artistico, alla ricerca del nuovo e di chi non si piega ai dettami dell'industria culturale. rclté vuole continuare a essere libera. Abbonamento a linea d'omb'a. Desidero ricevere, senza nessun impegno da parte mia, olire alla cedola d'aDbonamenio, le mlormaziom su modalità di pagamento, vantaggi e regali. Riceverò una copia saggio della rivista. LINEA D'OMBRA Via Caffurio A, 20124 Milano Tel. 02/6691132 ■ 6690931 - Fa* 02/6691299 ti del proprio lavoro e dei propri innegabili privilegi, e talaltra nel disgusto per i ripetuti esempi di malcostume (baronale e non solo). Malinconia e maniacalità, sfrenato attivismo e passività, iperpresenzialismo e assenteismo sembrano caratterizzare gran parte dei comportamenti, sia di docenti sia di studenti. Ottimismo e pessimismo sono conseguenze inevitabili di questa situazione, e così anche le ricette proposte per correggere la schizofrenia dilagante: da un lato ci vien detto di lasciar perdere improbabili progetti di riforma e di ottimizzare quanto già si fa di buono; dall'altro ci viene chiesto di impegnarci a denunciare, a vigilare, a ripulire, a cambiare... La prima proposta rilancia l'idea di una progettazione collettiva, favorisce la possibile rinascita di utopie, la seconda impone una doverosa attenzione e responsabilizzazione. Ho l'impressione che entrambe queste strade debbano essere percorse, per quanto personalmente condivida in gran parte soprattutto i suggerimenti che emergono dalle Lettere, e che costituiscono solo la punta di un variegato iceberg. Anche in altre sedi, infatti, sono in cantiere pubblicazioni dedicate alla pratica didattica, come quella in corso di stampa dell'Istituto di Filosofia dell'Università di Urbino. Gruppi di docenti (e di studenti) che lavorano e discutono su come e cosa si insegna sono ormai da tempo attivi in diversi atenei, da Torino a Roma. A chiunque stiano a cuore queste faccende, consiglierei intanto la lettura di un libro prezioso, Il mantello di Arlecchino di Michel Serres (Marsilio, 1992). gli istituti frequentati dai loro figli negli Usa. Il numero di quegli elogi crollerebbe per paura della verifica: la mitologia si presta a interpretazioni capziose, la realtà molto meno. Ecco, uno dei pregi di questo libro è che "ci sono gli indirizzi": sono testimonianze che provengono dall'università italiana, da protagonisti che occupano posti diversi nello scenario (dal titolare di cattedra al dottorando, dal ricercatore allo studente della Pantera, dal laureato che insegna nel liceo e pensa al passato, all'università da cui è uscito, al suo collega che pensa al futuro, cioè all'università dove andranno i suoi allievi). Il filo rosso che collega le testimonianze è un pensare positivo applicato a un'istituzione che non è soffocata solo dal malcostume dei docenti, dalla mancanza di controlli, dall'uso distorto dell'autonomia didattica (cioè dalla carenza di "comando" individuata tre anni fa da Raffaele Simone nella sua Università dei tre tradimenti). È soffocata anche dall'incapacità a reagire sia alle esterne maldicenze per sentito dire, sia all'interna propensione al mugugno, per cui ognuno si vive come un ottimo docente costretto a diventare disimpegnato per adeguarsi alla carenza delle strutture, all'impreparazione di base degli studenti, all'assenteismo "degli altri". La maggior parte delle opinioni contenute in questo libro è propositiva, ispirata all'idea di un'"autoriforma" che può essere perseguita dall'interno, dai tentativi di gruppi che scelgano di essere "cittadini" di un'università concepita come propria "residenza" (Riccardo Ghidoni), con docenti che riaprano la comunicazione con i discenti e studenti che riscoprano l'utilità di prendere il buono là dove c'è. La "leggenda bolognese" raccontata da Gloria Zanardo, quella dell'anziano filosofo che arrivava a lezione con enorme ritardo ma deliziava poi coloro che avevano resistito nell'attesa con ore di folgorante comunicazione e disponibilità-ai dialogo, è emblematica: questa testimonianza, come tutto il libro, riesce a un tempo a deplorare il ritardo ma anche coloro che se ne fanno scoraggiare. E il barone-affarista, il trafficone maniacale, che è esorcizzato dalle tante congiure degli onesti che emergono in questa raccolta di testimonianze, non l'intellettuale vero e trasognato, né lo scienziato pazzo da barzellette: perché in questi ultimi si può cercare lo scatto dell'innovazione, basta creare le condizioni perché la comunicazione si accenda. Anche questo è il "valorizzare quanto c'è di positivo in una situazione data" usando così e "non per recriminare... desideri ed energie" \Emma Scaramuzza). Intendiamoci, c'è anche molto realismo in queste pagine, non c'è solo ricerca di vibrazioni e di momenti magici. Non mi riferisco al realismo cinico delle pagine (di Anonima) dal titolo Tesi di laurea a pagamento, il pezzo del libro di cui ovviamente i quotidiani hanno parlato più volentieri. Penso al realismo delle pagine di Giovanni Ferrari, che osserva il passaggio della ricerca scientifica dall'età delle poco costose intuizioni individuali a quella della burocratizzazione e dei costi elevatissimi implicati proprio da "finalizzazione e collettivazione della ricerca", giudicate per altro ormai imprescindibili. L'obiettivo (o l'utopia) che propone Ferrari è opporsi ai misoneismi ma senza perdere la creatività della ricerca del passato: certo rimane, in lui come in noi, la preoccupazione che al posto del "publish or perish" ci sia oggi un terribile "apply or die" (presenta progetti o muori) che fa sprecare ore e giorni di ottimi cervelli a compilar moduli e far fotocopie ("un mostro che divora una buona parte del tempo e della fatica che dovrebbero sostenere l'attività della ricerca"). Altro notevole pregio del libro è la sua non sistematicità. Grazie al suo rimanere sotto tono, proprio