SETTEMBRE 1996 Non solo Cyberpunk Lewis Shiner, Desolate città del cuore, Sellerio, Palermo 1995, ed. orig. 1988, trad. dall'americano di Paola Bertante, pp. 401, Lit 22.000. Tra gli autori cyberpunk, Lewis Shiner si segnalava per una più decisa svolta in direzione "umanistica": minori concessioni agli stereotipi del genere, una più attenta perizia nel respiro narrativo, il gusto per certo "realismo magico" di scuola sudamericana, le accorate preoccupazioni politiche... Sperando che qualche editore si affretti a tradurre la sua rivisitazione dell'Arcadia rock degli anni sessanta che si intitola Glimpses, possiamo per intanto gustarci questo romanzo, unica sostanziale proposta di fantascienza contemporanea della collana edita da Sellerio. Desolate città del cuore si svolge durante la guerriglia dei Chiapas, ma allo stesso tempo durante il crollo della civiltà Maya: a passare dall'una all'altra realtà sono i tre protagonisti (un ex cantante rock, un giornalista di "Rolling Sto-ne", la prestigiosa rivista americana, e un ecologista). I lettori più smaliziati avranno capito, a questo punto, che fra la guerriglia zapati-sta e la fine dell'impero Maya le analogie sono più d'una, e forse avranno anche subodorato il profumo dei favolosi funghi allucinogeni che, nella cultura underground. stanno al Messico come la pizza e i maccheroni stanno all'Italia. È infatti grazie alle droghe vegetali che i protagonisti si spostano da un piano di realtà a un altro: ma Shiner sa farsi perdonare le troppe ingenuità con gustose divagazioni che chiamano in causa le catastrofi ecologiche e la teoria del caos e soprattutto con un convincente tratteggio dei personaggi e del loro background: si vedano soprattutto i flashback di Eddie, l'ex chitarrista in crisi che suona vecchie canzoni rock ai vecchi saggi della tribù messicana. John Shirley, Azione ai crepuscolo, Mondadori (Urania n. 1276), Milano 1996, ed. orig. 1988, trad. dall'americano di Maurizio Carità, pp. 255, Lit 5.500. Sta purtroppo passando inosservata la bella e coraggiosa idea da parte dei curatori di "Urania" di pubblicare la trilogia di John Shirley che l'autore ha voluto raccogliere sotto il titolo A song caited Youth, e cioè "Una canzone chiamata Giovinezza": qualunque riferimento a fatti e musiche realmente esistite è assolutamente volontario e non casuale. Shirley, precursore del cyberpunk ma anche scrittore poliedrico e sempre interessante, affronta qui, senza mezzi termini e con un convincente piglio politico, l'ipotesi, nemmeno troppo inverosimile, di una rinascita su vasta scala del fascismo, che trova come naturale alleato un telepredicatore e come convinti e strenui oppositori un gruppo di partigiani provenienti dalle più varie realtà. Non impressiona solo la precisione dì alcuni dettagli (come ad esempio il fatto di trovare citato a chiare lettere nel precedente volume della trilogia il nome di Stefano delle Chiaie); a convincere è soprattutto la sapiente costruzione dell'intreccio e dei personaggi, oltre al fatto che mai la science-fic-tion, neppure la più schierata a sinistra, era andata così vicina a un'ipotesi politicamente plausibile, rinunciando ai cliché di marca orwelliana per concentrarsi invece sull'analisi del presente. Azione al crepuscolo è la seconda parte della trilogia: la prima, Eclipse, era uscita nel 1995, mentre la pubblicazione di quella a lungo: non tanto per l'inevitabile opinabilità nella scelta dei titoli, dove, si sa, non disputandum est, quanto piuttosto per l'accanimento a concentrarsi sul passato e, per di più, su opere classiche e già edite, seppure in traduzioni meno accurate e con una veste grafica molto meno gradevole (ma anche - va detto -a prezzi decisamente inferiori). Ogni riserva tuttavia scompare di fronte a riproposte della qualità di questo libro di Robert Sheckley, un guerra mondiale. A leggere o rileggere Il viaggio di Joenes, i palati contemporanei potranno forse trovare eccessivo il parfum du temps della "nuova frontiera" kennediana (il libro è del 1962); ma sapranno apprezzare l'amaro retrogusto corrosivo che la paradossale ironia di Sheckley conserva a distanza di oltre un trentennio. conclusiva (La maschera sul sole) è uscita in agosto; vale davvero la pena di tenere gli occhi aperti, e di frequentare assiduamente le bancarelle dell'usato, sperando che Mondadori raccolga presto in un unico volume la trilogia, a beneficio dei più distratti. Robert Sheckley, Il viaggio di Joenes, Sellerio, Palermo 1996, ed. orig. 1962, trad. dall'americano di Giuditta Vulpius, pp. 194, Lit 18.000. Sul catalogo della nuova e pregevole collana di fantascienza dell'editore Selierio ci sarebbe da discutere classico della fantascienza sociologica degli anni sessanta. Già autore di atroci antiutopie come La decima vittima e II prezzo del pencolo, Sheckley assume in II viaggio di Joenes un tono scanzonato e grotte^ sco, mimando la ricostruzione di una cronaca orale derivata da fittizie fonti polinesiane del quarto millennio che narrano l'epico viaggio dell'isolano Joenes nell'America del XXI secolo. Come nella miglior tradizione satirica, però, il futuro è una labile maschera del presente, e Sheckley attacca impietosamente le istituzioni dell 'establishment, raccontando di come Joenes venga scambiato per comunista, finisca in manicomio criminale, divenga professore di "cultura del pacifico suboccidentale", scampi alla terza Iain Banks, La fabbrica degli orrori, Fanucci-Phoenix, Poma-Bologna 1996, ed. orig. 1994, trad. dall'inglese di Alessandra di Luzio, pp. 191, Lit 18.000. "Per anni credetti che Pathos fosse uno dei tre moschettieri, che Fellatio fosse un personaggio dell'Am-leto, che Vitreo fosse una città della Cina e che i contadini francesi pigiassero la torba coi piedi per fare la Guinness". Così parla Frank, diciassette anni e qualche trauma infantile. Frank vive su una minuscola isola insieme al padre Angus, responsabile dell'eterodossa educazione del figlio, e - suo malgrado - si troverà a convivere con Eric, il fratello fuggito dal manicomio nel quale era stato rinchiuso per aver dato una perso- Philip Kindred Dick, Se questo mondo vi sembra spietato, dovreste vedere che cosa sono gli altri, e/o, Poma 1996, ed. orig. 1977, trad. dall'americano di Alberto Cristofori, pp. 71, Lit8.000. Philip Kindred Dick, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Sellerio, Palermo 1996, ed. orig. 1964, trad. dall'americano di Gianni Pannofino, pp. 275, Lit 20.000. Accanto alla copiosa produzione di racconti e romanzi di fantascienza e di opere mainstream (imperdibile la traduzione italiana di Confessioni di un artista di merda, Fanucci, 1996, del quale "L'Indice" riparlerà), Philip Dick produsse anche una copiosa messe di conferenze, autoprefazioni, note ai suoi stessi racconti. Questo tipo di opere costituisce, per così dire, lo hardware della scrittura dickiana: esse rivelano, cioè, in tutta la sua nuda e affascinante complessità, l'universo mentale dello scrittore, continua- Hardware dickiano mente oscillante tra autobiografismo, teologia e fantascienza, il volumetto delle edizioni e/o è corredato da una già edita prefazione di Stefano Benni e riproduce il testo integrale di una conferenza che lo scrittore tenne a Metz nel 1977: è dunque il Dick degli ultimi, devastati anni a parlare, il Dick post-conversione che sprofonda nella paranoia mentre lavorava alla prima stesura di quello che poi sarebbe divenuto V.A.L.I.S. Diventa davvero difficile dipanare la matassa allucinatoria che, nella visione del mondo di Dick, confonde e intreccia inestricabilmente la politica americana, gli studi sullo gnosticismo ed episodi tratti dai suoi stessi romanzi. In questa autorilettura a posteriori, Dick si concentra soprattutto sulle opere più inquietanti, disperate e angosciose (La svastica sul sole, ad esempio), interpretandole come ricordi di un presente alternativo, ovviamente ben più spietato del nostro. "Spesso la gente dichiara di ricordare una vita passata: io dichiaro di ricordare una diversa, diversissima vita presente... sospetto che la mia esperienza non sia unica; ciò che forse è unico è il fatto che io accetti di parlarne". Proviamo allora a rileggere In questa chiave Le tre stimmate di Palmer Eldritch, forse il più riuscito dei suoi romanzi psichedelici, nel quale, in sostanza, Dio è uno spacciatore di realtà parallele, un malvagio cyborg che introduce da un altro pianeta una droga che è in realtà la sua stessa mente, cosi come l'ostia è il corpo di Cristo. Scritto nel 1964, Palmer Eldritch non giunge ancora alla vertiginosa prospettiva che viene suggerita dalle prime pagine della conferenza francese: che cioè Dio sia un ricco, eccentrico dandy che indossa e smette gli infiniti universi paralleli come fossero vecchi abiti. nalissima interpretazione del termine hot dog: un poco di benzina, un fiammifero e, naturalmente, cani vivi. Nonostante Iain Banks sia un affermato autore di fantascienza, La fabbrica degli orrori non reca traccia degli stereotipi cari al genere. Come insegnava James Graham Ballard, tuttavia, la fantascienza può porre tra i suoi obiettivi la scoperta e la descrizione di quello che Ballard chiama, "spazio interiore", che, al pari dello "spazio esterno", non ha mai smesso di rigurgitare alieni di varia natura sul nostro pianeta e nel nostro immaginario. Banks segna un'ennesima, suggestiva tappa di quel sentiero che in Gran Bretagna percorrono i bambini cattivi e gli adolescenti problematici: dal Pinky de La roccia di Brigh-ton di Graham Greene ai ragazzi de Il signore delle Mosche, dall'Alex di Arancia meccanica allo scatenato commando infantile di Giochi di bambini, dello stesso Ballard. Ma si tratta sempre, in fondo, dello stesso personaggio: è Alice che torna nel paese delle meraviglie; solo che, questa volta, scendendo nella tana del coniglio bianco, impugna bottiglie molotov e un serramanico. Paul Di Filippo, Steampunk, Editrice Nord, Milano 1995, trad. dall'americano di M. Cristina Pietri, pp. 313, Lit 22.000. Nato da una costola del cyber-punk, lo steampunk è un sottogenere della science-fiction che si occupa di riscrivere il passato alla luce del futuro, scavando nei possibili retroscena fantascientifici del periodo che vide la nascita della civiltà delle macchine: l'Ottocento, preferibilmente inglese. Se il capostipite del genere resta La macchina della realtà di William Gibson e Bruce Sterling, molti autori si sono cimentati con queste atmosfere. Legittime erano dunque le attese per questo steampunk, nel quale Paul Di Filippo, uno dei più eccentrici, crudeli e sperimentali autori di cyberpunk, doveva impegnarsi con i dickensia-ni bassifondi di Londra anziché con la Los Angeles postnucleare, e con le macchine a vapore in luogo delle realtà virtuali. Di Filippo, che deve in ugual misura a Thomas Pynchon e a Tex Avery, inventa dunque tre passati alternativi nei quali, ad esempio, la regina Vittoria si fa sostituire da un sensualissimo homunculus anfibio, o, ancora, scienziati positivisti partono insieme a Herman Melville e al baleniere Queequeg (uscito dalle pagine di Moby Dick), alla caccia, nientemeno, del terribile Ctulhu inventato da Lovecraft. Siamo, dunque, nell'ambito del più sfrenato pastiche, condito da una discreta dose di, ironia (che dire di una disputa tra antidarwiniani ed evoluzionisti sedata tra le volute della marijuana?). Tuttavia, purtroppo, i meccanismi del giocattolo di Di Filippo fanno sentire un po' troppo spesso il loro ticchettio. A nuocere è soprattutto la misura un poco troppo dilatata dei tre lunghi racconti che costituiscono il volume, che diluisce eccessivamente le scene più divertenti, frenetiche e concitate. pagina di Luca Bianco