|dei libri del mese
dicembre 1996
ma ancora assai lungi dall'essere discorso decantato in un composto coerente. L'analisi del tipo sociale a cui appartengono i giovani che fanno uso di droghe sintetiche è, ad esempio, profondamente contraddittorio: alcuni interventi raccolti nel volume identificano giovani disoccupati e abitatori di hinterland metropolitani, altri dipingono rampolli di famiglie agiate se non ricche, altri ancora individuano un ceto di lavoratori dipendenti, altri di professionisti. Il risultato è che una foto di gruppo che abbia un minimo di consistenza il libro non sa darla. Anche il discrimine tra sostanze tossiche e sostanze che non lo sono fluttua in ampie oscillazioni. Sul criterio in base al quale stabilire se si sia contratta tossicodipendenza o no c'è poca convergenza. Dunque, ciò che resta stabilito con precisione è la situazione di happening che fa da contorno all'assunzione di queste droghe.
Ed è la cosa più importante. Se la figura del tossicodipendente è venuta ritagliandosi negli anni recenti su quella del consumatore di eroina, ecco che lo scenario che il libro tratteggia ci presenta un altro mondo, spesso collocato agli antipodi di questo. Tale differenza pone problemi precisi anche di ordine medico-assistenziale. Che senso ha pensare all'eventuale recupero del tossicodipendente da droghe sintetiche nell'ambito per coazione socializzante di una comunità, quando è precisamente di una sostanza socializzante che il soggetto ha abusato fino alla dipendenza? Che senso ha pensare alla psicologia del tossicodipendente nei termini di quella dell'eroinomane, quando la figura stessa dell'eroinomane è fuggita (come tossico!) dalla maggior parte dei consumatori di droghe sintetiche? In altri termini, a quali errori può condurre l'immagine ormai stabilizzatasi del mondo della droga come mondo di marginalità - stabilizzatasi di nuovo sul calco del mondo eroinomane - quando tipicamente lo scenario di queste altre droghe ci presenta persone che durante la settimana conducono una vita lavorativa normale mentre si concedono la deviazione nel tempo codificato come libero del sabato e della domenica? Questi sono i punti focali del discorso. E sono resi con grande vividezza, impossibile equivocare.
Trapela una certa sufficienza dell'autrice - ma non sua personale, bensì ideologica e dunque condivisa da molti - nei confronti di questa modalità, per così dire normalizzata, dello sballo. Come se lavorare per tutta la settimana e poi deragliare all'interno dei limiti consentiti dei giorni festivi togliesse importanza al fenomeno, e invece la deriva totale a cui sono destinati gli eroinomani fosse in qualche modo più dignitosa, giusta, politicamente accettabile. Una piccola smagliatura.
Di grande rilievo, anche per la capillarità dell'informazione (l'ambiente in cui nasce il libro è quello mai abbastanza elogiato della rivista "Narcomafie", sono le parti conclusive del volume, in cui si tratteggia la geografia di questo nuovo traffico di stupefacenti: grande rilievo al Nord e all'Est dell'Europa in qualità di produttori. Un solo nome, che c'inquieta ormai per più motivi: "La produzione è concentrata nella parte sudorientale dei Paesi Bassi, vicino a Maastricht".
La scelta di Renton
di Graeme Thomson
Irvine Welsh, Trainspotting,
Guanda, Parma 1996, ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Giuliana Zeuli, pp. 361, Lit 26.000.
Fra le Confessioni di un oppiomane di De Quincey e Trainspotting scorre una vena di crudele ironia: la raffinazione dell'oppio in eroina ha decretato la sua volgarizzazione. Se per i romantici il papa-
feria, dove lo spazio e il tempo possono solo essere sfasciati, fracassati, e la lingua fatta a brandelli, ridotta in polvere a creare un tour de force di sillabe scordate che risuonano mentre si allineano sulla pagina. La traslitterazione fonetica dell'accento scozzese dei protagonisti sortisce un effetto sbalorditivo, come se la lingua inglese fosse divorata da un virus dilagante.
vano a guardare i giochini alla televisione, a distruggerti il cervello e l'anima, a riempirti la pancia di porcherie che ti avvelenano. Scegli di marcire in un ospizio, cacandoti e pisciandoti sotto, cazzo, per la gioia di quegli stronzi egoisti e fottuti che hai messo al mondo. Scegli la vita. Beh, io invece scelgo di non sceglierla, la vita. E se quei coglioni non sanno come prenderla, una
nante diffusione nelle discoteche, provoca effetti quali benessere, euforia, senso di vicinanza al prossimo e soprattutto grande resistenza fisica che però si accompagna a ipertermia corporea: questa, associata al movimento, alle musiche che oltrepassano le cento battute-minuto, aumenta gli aspetti euforici ed energetici. Non è un vero allucinogeno, come l'Lsd, ma amplifica la percezione e incide in modo soggettivo e variabile sulle prestazioni sessuali. Si possono avere irrigidimenti muscolari facciali di tipo tetanico, che i più esperti riescono ad evitare masticando chewìngum. Queste sostanze danno effetti psichiatrici a medio termine e probabilmente neurotossici non ancora completamente dimostrati. Le conseguenze dell'euforia e dell'eccessiva sicurezza si osservano nelle morti del sabato sera, ma l'ipertermia, lo sfinimento e la disidratazione possono indurre lesioni agli organi interni o ai muscoli; così le discoteche dei paesi anglosassoni organizzano camere di raffreddamento. Ormai si può parlare di un vero e proprio gruppo ecstasy. Per caratteristiche di forma, colore e qualità, le più conosciute sono il White birci, olandese e in grado di promettere i viaggi più "mentali"; oppure il "San Valentino", con tanto di cuoricino in bassorilievo, pubblicizzato per le sue proprietà afrodisiache. Dal punto divista chimico abbiamo già ricordato la Mdma, l'ecstasy propriamente detta; ma sono note anche l'Mda, di durata circa doppia e l'Mbdb, classificata negli Stati Uniti addirittura come insetticida, che non è un allucinogeno ma aumenta la capacità di "empa-tizzare" con gli altri. Tuttavia questa sostanza per la legge italiana non è droga. Infine l'Mdeaf l'Eva, più simile all'ecstasy come effetti ma di durata minore. Il pericolo maggiore consiste nella mancata conoscenza delle
conseguenze tardive circa l'abuso, la tolleranza e la dipendenza. La legislazione non riesce a tenere il passo dell'evoluzione delle droghe sintetiche: una volta che una certa sostanza viene inserita nelle tabelle ministeriali, basta variare di poco i componenti della sua molecola per crearne una parzialmente nuova, ufficialmente non "riconosciuta" come droga.
In alcune discoteche italiane stanno comparendo gli smart-drinks, beveroni a base di sostanze energetiche e mix di medicinali, che promettono incrementi delle energie psicofisiche; ma che non spiegano i rischi farmacologici collaterali. Le droghe inalabili sono sostanze che producono vapori dotati di azione psicoattiva. Alcune di esse, come l'etere e il cloroformio venivano già assunte nell'Ottocento; altre, come il popper (nitrato di huti-le), una volta impiegate per prolungare le sensazioni dell'eccitamento sessuale e dell'orgasmo, oggi vanno verso un uso voluttuario in senso lato. Attualmente sono le "colle" a occupare un posto di assoluto rilevo, soprattutto tra i minorenni americani e i meninos da rua del Brasile (sono i resistoleros, dal nome della colla più usata, il Resistol). Hanno proprietà allucinogene, ma distruggono in pochissimo tempo le cellule nervose. In Italia non si hanno notizie di loro diffusione.
L'ultima frontiera della tossicodipendenza è rappresentata dalle droghe "fai da te"; quali le soluzioni di oppio tagliate con le più disparate sostanze quali caffè, farina, argilla o addirittura benzina (come nel caso del soutan, ampiamente diffusa in Russia per il suo basso costo, circa tremila lire a buco); oppure la dank o wet o water, come viene chiamata nello slang americano la sigaretta intinta nella formalina capace di provocare uno stato di animazione sospesa, ma anche frequenti avvelenamenti con possibili effetti letali un caso su quattro.
vero, con la sua fragranza d'Oriente, era l'araldo della visione, dilatatore della coscienza, nella nostra epoca per molti l'eroina rappresenta una fuga momentanea dalla desolazione della vita moderna, una piccola oasi sensoriale in un'esistenza anonima e intorpidita. Le fumerie d'oppio si sono trasformate in rovine postindustriali, case popolari fatiscenti.
È nella periferia di Edimburgo che si aggirano Renton, Spud, Sick Boy e Begbie, i personaggi centrali di un romanzo senza centro, lo stupefacente debutto letterario dello scrittore scozzese Irvine Welsh. Le loro storie sono monologhi frastagliati, episodi "no future", per dirla con i Sex Pistols, che danno l'impressione di una raccolta di racconti più che di un romanzo. Invece si tratta di una forma radicalmente rivelatrice: come le vite dei suoi passeggeri Trainspotting è un romanzo di vicoli ciechi di peri-
L'invenzione linguistica di Welsh, la sua padronanza dello slang dei junkies e della cultura post-punk e il modo in cui riesce a riprodurre le sfumature che separano classi sociali e generazioni fanno del libro un vero incubo per i traduttori. Oserei dire che è un testo intraducibile. Come rendere l'elemento regionale? Con il napoletano? Il sardo? Giuliana Zeuli ha optato per un gergo giovanile, ma pur sempre in italiano standard che inevitabilmente affievolisce l'impatto del romanzo. Se qualcuno riesce a mettere a fuoco il delirio di Trainspotting, questo è Renton. Intelligente e intuitivo, ci si chiede come abbia fatto a ridursi così: è una questione di scelta, spiega in un soliloquio, e lui sceglie semplicemente di "rifiutare quello che loro hanno da offrirti. Scegli noi. Scegli la vita. Scegli il mutuo da pagare, la lavatrice, la macchina; scegli di startene seduto su un di-
cosa del genere, beh, cazzo, il problema è loro, non mio".
Nella sua estrema negatività, Renton ricorda Bartleby. Ma mentre il "preferirei di no" dello scrivano di Melville è puramente concettuale, una sorta di grado zero della filosofia, il rifiuto un po' meno raffinato di Renton è la reazione a un vero e proprio cataclisma in una società in cui le alternative politiche si sono ridotte a varianti quasi identiche della stessa illusione. Vivere in un modo "normale" secondo lui non è che un tipo di droga ancora più scadente: carriera, soldi, calcio, nazionalismo. "L'eroina è una droga onesta - sostiene Renton - perché toglie di mezzo tutte le illusioni. Con l'ero, se stai bene ti senti immortale. Se stai male ti senti ancora più di merda, ma è merda che c'era già da prima. È l'unica droga veramente onesta. Non perdi mai la conoscenza. Ti dà una botta e basta, ti
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fa star bene. Poi dopo vedi quanto fa schifo il mondo così com'è e non ci puoi fare più un cazzo, non ti funziona più l'anestesia".
Renton è l'er,oe dell'eroina che pratica un paradossale nichilismo della sopravvivenza. La continua ricerca di droga gli fa da scudo contro la banalità della vita quotidiana e gli permette di scavare passaggi sotterranei attraverso il labirinto piatto della città. Alla sua lucidità fa da contrappunto la prospettiva dei colleghi (come dice lo spacciatore Johnny Swann "Niente amici in questo gioco - solo colleghi"): Spud lo squilibrato, Sick Boy, un gigolò che pensa di essere Sean Connery, e soprattutto Begbie, uno psicopatico il cui uso e abuso di droghe legali è molto più pericoloso della dipendenza di Renton dall'eroina.
Inoltre il libro è popolato da una miriade di personaggi secondari e di vicende che vanno e vengono senza lasciar traccia ma echeggiano disperati e comici al tempo stesso in un coro di isolamento. Una veglia funebre in cui il morto pare tornare in vita, Swann ormai con solo più una gamba che chiede l'elemosina fingendo di essere un eroe della guerra delle Falklands, un divertentissimo colloquio per un lavoro che non vuole nessuno: vignette che ritraggono una classe operaia devastata dal thatcherismo e dal libero mercato.
"Trainspotting" significa letteralmente identificare i treni, e nella lingua parlata indica un hobby assurdo per chi non sa cosa fare del proprio tempo, ma qui vuole anche dire identificare il treno che possa condurre lontano da questa esistenza patetica. L'eroina, Renton capisce alla fine del libro, è solamente una soluzione temporanea, un treno che si avvolge su se stesso in circoli sempre più stretti. Così decide di bruciare una volta per tutte i ponti con il passato, con il suo paese terribilmente provinciale e soprattutto con il surrogato familiare a cui in fondo non sente di appartenere. "Aveva fatto quello che voleva. Adesso non ci poteva più tornare a Leith, a Edimburgo, nemmeno in Scozia, mai più. Se fosse rimasto lì, non avrebbe mai potuto essere diverso da com'era sempre stato. Adesso che si era liberato di tutti, per sempre, poteva essere quello che voleva".
È interessante notare come nel film tratto dal libro di Welsh il regista Danny Boyle si allontani da questo epilogo. Lo spazio di libertà radicale aperto da queste ultime righe vuote del libro, nel film è occupato da Renton che ripete la litania di "scelte" in modo ironico, rassegnato, come se, assumendo una certa distanza cinica da se stesso, fosse in grado di ricongiungersi alla comunità simbolica e al tempo stesso mantenere la propria libertà soggettiva. Ma, come afferma Slavo) Zizek, è esattamente in questa frattura, in questa scissione del soggetto che agisce l'ideologia. Welsh invece lascia il suo eroe in una condizione fisica e mentale transitoria, a contemplare il suo futuro ad Amsterdam dal ponte di un traghetto sul Mare del Nord. Dopo la guerra Rossellini, parlando della fine di un'epoca, disse: "I miei finali sono delle svolte. Poi tutto ricomincia - ma cosa sia a ricominciare, questo non lo so". Navigando verso il nuovo millennio, forse Renton ha la sensazione di saperlo fin troppo bene.