GIUGNO 1999 7 etc^Lic^^i - ctepL N. 6, PAG. 7 La pena dei delitti e il delitto della pena Zibaldone inquieto di un insegnante a Rebibbia: buona letteratura senza guitterie DOMENICO STARNONE Edoardo Albinati Al aggio selvaggio. Un anno di scuola in galera pp. 333, Lit 30.000 Mondadori, Milano 1999 maggio selvaggio di Edoardo Albinati è un libro di valore. Promette il diario di un anno di scuola in galera, dà al lettore mol- to di più. Ma questa sensazione di ricchezza è così profondamente legata al tono del testo, al suo an- damento, all'argomentazione sen- za il sigillo di una qualche fasti- diosissima tesi precostituita, che darne conto dicendo: c'è la scuo- la, c'è la galera, c'è il lavoro del- l'insegnante ingabbiato coi cattivi per un certo numero di ore al giorno, è come ridurre a frutto secco la bella arancia sulla pagina bianca della copertina. Per esempio. Albinati fa scuola in carcere dal 1994, insegna italia- no e storia, racconta come se la ca- va coi suoi studenti carcerati. Le sue lezioni? Un po' di scuola sici- liana, il dolce stil novo, la metrica, la punteggiatura, Marzo 1821, Il 5 maggio e così via, come ogni inse- gnante che tira la carretta dei pro- grammi ministeriali ora appassio- nandosi, ora annoiandosi. La reat- tività dei suoi studenti? Non diver- sa da quella degli studenti di un qualsiasi istituto tecnico o profes- sionale di periferia: ora indiscipli- nata, ora incantata, ora distratta, ora piena di intelligenza e di estro. Il suo impegno di insegnante? Quello dei docenti migliori in per- manente infastidito conflitto con ogni sorta di intralcio burocratico: è attivo nel creare buone occasioni di crescita culturale e umana, ma anche sfiancato dalle difficoltà; è attento ai bisogni di tutti i suoi alunni, senza discriminazioni, e con loro è pronto a mescolarsi vuoi giocando a pallone, vuoi ap- profondendo rapporti a tu per tu, vuoi accettando cortesie e resti- tuendole, pur essendo depresso dalle contraddizioni, dallo sperpe- ro vano di energie; è presente ai riti collettivi d'obbligo (un collegio dei docenti come un concerto di Baglioni) e insieme è criticamente distante se non sfottente. E il car- cere? Il carcere è corridoi, porte che si aprono e si chiudono, uomi- ni in amarissima cattività, agenti di custodia ipnotizzati dai codicilli, ciotole sbattute contro le sbarre, un po' come nei buoni film sull'or- rore delle prigioni, da L'uomo di Alcatraz di Frankenheimer a Or- mai è fatta di Monteleone, o come la scuola che auspicano i cittadini negli autobus zeppi di studenti ap- pena usciti dalle aule. Qui però bisogna fermarsi. Se si procede a una sintesi di questo ti- po, Maggio selvaggio perde gran parte del suo succo. Per restituir- glielo bisogna aggiungere subito che il libro è non sociologia e di- dattica della scuola per carcerati esposte da un docente attento, ma la tormentata storia dell'impatto col carcere da parte di uno scritto- re di talento il cui vero lavoro è consumare e fare letteratura, un uomo che alla materiale libertà del libero cittadino con famigliola, ca- sa, vacanze, feste, cene con buone frequentazioni, somma quotidia- namente il liberissimo trascorrere mentale per un vasto repertorio di forme e relativi linguaggi. La ric- chezza di ogni pagina di Maggio tanartene in fretta, a dimenticare, a rimuovere la vita irreale della pri- gione per non segnare troppo peri- colosamente la tua realtà. Insom- ma la scuola in galera diventa ben altra cosa da quella pur ansiogena che conosciamo nelle normali scuole-prigioni con studenti e in- segnanti di ogni giorno. E i corri- Albinati chi è chiarato quasi per tutelarsi. E le pagine mettono a punto un den- tro-fuori che avanza per sbandate, con effetti ora di soffocamento, ora di respiro a pieni polmoni. E i "ragazzi" (così Albinati con abitu- dine da docente chiama sia i dete- nuti di ogni età, sia gli studenti del- la sede centrale da cui dipende, sia Nato nel 1956 a Roma, dove vive. È inse- gnante, narratore e poèta. Ha esordito nel 1988 con la raccolta di racconti Arabeschi del- la vita morale (Longanesi). Nel 1989 ha pub- blicato Il polacco lavatore di vetri (sempre da Longanesi; poi Mondadori, 1998), romanzo sulle vite di un gruppo di immigrati polacchi a Roma, ed Elegie e proverbi (Mondadori, 1989; cfr. "Llndice", 1989, n. 9), che riunisce la sua produzione poetica degli anni ottanta. La comunione dei beni (Giunti, 1995) è un poema prosastico intessuto di massime e afori- smi. E prevalentemente di aforismi si compo- ne anche Orti di guerra (Lazi, 1997), l'ultimo libro prima di Maggio selvaggio. Alcuni altri suoi scritti sono apparsi su rivi- ste e volumi collettanei: un diario dell' Otto- bre 1989 in "Vanta", 1990, n. 3; un breve saggio, Appunti su prosa e poesia, in La pa- rola ritrovata. Ultime tendenze della poesia italiana, a cura di Maria Ida Gaeta e Gabriel- la Sica (Marsilio, 1995); alcune poesie in Nuovi poeti italiani contemporanei, a cura di Roberto Galaverni (Guaraldi, 1996); un articolo, Il battito involontario del cuore di Puskin, in "Nuovi argomenti", IV serie, 1996, n. 9. Dal 1994 insegna italiano e storia nel carcere di Rebibbia. selvaggio sta nell'efficacia (la lin- gua di Albinati è senza smancerie, veloce e insieme lavoratissima, gra- ve ma anche sprezzata e autoironi- ca) con cui racconta quanto risulti repellente all'uomo libero la pri- gionia di altri uomini, e quanto di- venti imperativo in una prigione darsi da fare per aprire spiragli seppur minimi di libertà. L'Albinati scrittore - tratteggia- to proprio mentre scrive, coi pro- blemi d'un testo del genere, diffi- cile da tenere insieme, sempre a ri- schio - sa dare bene all'Albinati insegnante il fastidio delle per- quisizioni all'ingresso, l'ansia delle porte che ti si chiudono alle spalle o che stentano ad aprirsi per farti uscire (memorabili i risultati di scrittura quando è tratteggiata la possibilità che una porta non si apra, che non si sia più in grado di passare dall'interno all'esterno), la pulsione a sprofondare nell'uma- nità del recluso e la spinta ad allon- doi e le porte e i prigionieri che ra- mazzano e gli agenti di custodia perfidi o maneschi o semplicemen- te in allarme permanente si stacca- no da quelli dei film. Sicché episodi e notazioni e le- zioni e suoni del carcere e della vita libera vengono giù a pioggia, senza trama rassicurante, guizzando di qua e di là tra nodi che non si sciol- gono, tesi e antitesi senza sintesi, spinte etiche con radici in un re- moto fondo religioso subito tenute a bada da un cinismo nichilista di- i suoi quattro figli) si determinano per intermittenza come luci di na- tale che si accendono e si spengo- no: svogliati, arguti, impassibili, buoni lettori, stupefacenti redatto- ri di compitini; umanità detenuta da anni, per anni, in uscita, in semi- libertà, carne riplasmata nei modi, nell'andatura, nelle abitudini per- cettive (la vista) dalle mura che li rinchiudono; macchiati di piccole colpe o grandi, di quelle che ti fan- no ritrarre con orrore e ti lasciano a bocca aperta per come pare impos- sibile il crimine nell'essere umano che conosci, a cui stringi la mano, con cui parli ogni giorno. E la scuola stessa con i suoi Rinaldo d'Aquino, Cino da Pistoia, Dante, la Pentecoste, Xenjambement e tan- to tanto altro ora è una cocciuta messa a punto di piani metaforici di evasione (a che serve sennò?), ora appare essa stessa una jattura in più, che promette crudelmente libertà impossibili a chi libertà non ha, una beffa dove lo Stato che re- clude pagando secondini spende anche in docenti che offrono pagi- ne buone da maggio a maggio co- me lenzuola da annodare forse per squagliarsela, forse per impiccarsi. Per ultimo, in Maggio selvaggio, c'è un autentico disagio a trasfor- mare il carcere visto o intravisto in libro. Disagio fruttuoso, che accu- mula per strati altre sfoglie impor- tanti del testo: il tema complicato dell'autorizzazione a scrivere, per esempio. Nella sua mimesi di dia- rio, Albinati mescola all'Albinati insegnante, all'Albinati scrittore, un Albinati lettore che scivola, per far bene il mestiere sia di insegnan- te sia di scrittore, da una lettura all'altra, ritagliando brani signifi- cativi, chiosando pieno di dubbi ciò che ha a che fare con la legge, col crimine, con la pena, con la sof- ferenza della detenzione. L'uomo libero, che dalla propria realtà di libero spia nell'irrealtà dei carcera- ti, nella loro casa non casa di peni- tenza, sente il peso del compito che si è attribuito tra mille incer- tezze e ricorre a tutori che diano forza e limpidezza al suo sguardo, che gli facciano da pista di lancio per quesiti e ipotesi. Da dove viene la smania di rinchiudere? A che serve? Quanto agisce realmente sul crimine? E cos'è un crimine? La pulsione a distruggere che mi porto dentro, che a volte esplode in formato ridotto o sta per esplo- dere nel modo più atroce, cos'è? Un incidente, una valanga, una fra- na? Posso diventare anch'io il tur- bine di energia cieca, di desiderio che spezza il mio trantran? Cosa rende diversi i reclusi da noi che invece godiamo di libertà? E quale affidabilità ha la Legge? Conviene concepirla come assoluta o nel suo relativismo, nel suo usa e getta a se- conda delle necessità dei tempi? Quali certezze guidano quegli im- piegati della giustizia che distribui- scono a singoli individui anni de- cenni secoli di pena? Fino a che punto possiamo essere d'aiuto, possiamo agire salvando, possia- mo dar spazio alla nostra attitudi- ne altruista senza che, di fronte al dilagare infinito della sofferenza, la bontà si stanchi? Con naturalezza Albinati fa le- zione a se stesso, ai suoi "ragazzi", a noi lettori, distribuendo brani da Euripide o De Maistre, Ibsen o Bùchner, Tasso o Gombrowicz, ma senza blablablà, con deferenza e ironia insieme, affermando sul- l'onda di un'emozione e negando sull'onda di un'altra, con l'accani- mento di chi sta onestamente, arti- gianalmente cercando una forma - come dice nell'esergo - per l'Ir- realtà con la maiuscola. Il testo co- sì diventa anche zibaldone di pen- sieri, note in margine, riflessione stimolante, a volte spiazzante, in qualche caso discutibile, comun- que sempre con un effetto di forte coinvolgimento senza semplifica- zioni. E il risultato è un libro senza sociologismi o guitterie per la tv, buona letteratura che ci lavora con perizia la coscienza (o quel grumo di parole e frasi fatte che chiamiamo così) rendendo insop- portabile la pena dei delitti e il de- litto della pena.