Come sospesi fra Oriente e Occidente Panoramica di romanzi indiani che forse non leggeremo mai in italiano Alessandro Monti La narrativa indiana di lingua inglese sta conoscendo in Italia un piccolo boom editoriale, sull'onda della pubblicazione di autori e autrici quali Shashi Desh-pande, Anita Desai, Bapsi Sidwa, Vikram Seth, Arundhati Roy, Vikram Chandra, Amitav Ghosh, oltre all'ormai venerando R.K. Narayan e al consueto Rushdie d'annata. Vale tuttavia la pena d'indicare autori non ancora conosciuti qui da noi, alcuni dei quali non saranno forse mai tradotti, ma che si possono comunque leggere nell'originale inglese. Val la pena di incominciare con un romanzo ormai uscito nel 1996, A Fine Balance (pubblicato in Inghilterra nella benemerita collana di narrativa post-coloniale della Faber & Faber) di Rohinton Mistry, un parsi di Bombay ormai radicato da tempo a Toronto, e del quale è stato pubblicato in Italia il primo romanzo, Such a Long Journey {Un lungo viaggio, Fazi, 1999). Di mole e struttura assai corpose, A Fine Balance copre circa trent'anni della recente storia indiana, dall'Indipendenza alla Partizione con il Pakistan sino alla cosiddetta "Emergenza", quando la dinastia dei Gandhi so- ' spese di fatto le libertà costituzionali e introdusse un programma di modernizzazione forzata del paese, che incluse la sterilizzazione fraudolenta di milioni di persone e l'espulsione dalle grandi città di altrettanti diseredati. Mistry si avvale delle vicende di due fuoricasta, la cui famiglia viene sterminata in modo atroce per essersi ribellata al latifondista locale, che diventano sarti e, trasferitisi a Bombay, finiscono per instaurare, con uno studente e con la donna che dà loro lavoro, una micro-comunità fondata, per un miracolo di equilibrio spontaneo, sul rispetto reciproco e sul superamento delle differenze sociali e di casta. Il ritorno al villaggio per cercare una moglie sarà fatale ai due sarti, che verranno fatti brutalmente castrare e mutilare dal vecchio latifondista, che controlla in loco il programma di sterilizzazione forzosa. Rientrati a Bombay, i due finiranno i loro giorni a mendicare, esempio beffardo dei risultati raggiunti dalla lotta governativa contro la povertà. Il lettore accorto avrà di certo notato alcune concordanze di fondo con l'astuto Dio delle piccole cose di Arundhati Roy (Guan-da, 1997; cfr. "L'Indice", 1998, n. 3); tuttavia in Mistry la violenza sostanziale della situazione non è, come invece in Roy, addolcita, o meglio edulcorata, da una fremente e patetica storia d'amore e da giochi stilistici pressoché gratuiti. In lui il giudizio sulla recente storia indiana emerge in tutta la sua crudezza spietata, creando un effetto d'intransigenza che forse può impressionare in senso negativo il lettore, portato a trascurare il messaggio di speranza contenuto nel romanzo: il futuro e la coscienza dell'India sono affidati alla piccola e "brava" gente, non ai politici. Per passare a un romanzo dagli stessi anni, mi pare interessante Looking through Glass, 1995, dell'esordiente Mukul Kesavan (pubblicato a Delhi da Ravi Dayal e, pare, già rifiutato da un editore italiano). È una storia paradossale, e di gusto post-Rush-die, di un viaggio a ritroso nel tempo, dato che dai giorni nostri il protagonista si trova all'improvviso proiettato verso la fine della seconda guerra mondiale e immediatamente prima dell'Indipendenza e della Partizione. Più che essere un apologo sulla nascita dell'India post-coloniale, il romanzo pare calcare con sapienza i modi del grottesco e dell'assurdo. Di conseguenza, il consueto paradosso del viaggiatore temporale che non può mutare il passato assume toni tragici, dato che la storia è vista come una dimensione irreale, un incubo dal quale non si può sfuggire, pur avendo la conoscenza per modificare il corso degli eventi. È invece più recente, del 1998, il romanzo di un'altra esordiente, Difficult Daughters, di Manju Ka-pur, pubblicato da Faber & Faber nella collana sopra indicata. La scrittrice riprende e rielabora il tema ormai consueto della me- moria familiare affidata alla ricerca introspettiva di una figlia sulla madre ormai morta. L'autrice rivitalizza tuttavia l'argomento con un piccolo colpo di genio narrativo, tale da trascendere il puro e semplice biografismo al femminile in una stizzosa descrizione di conflitti e rivalità all'interno di un matrimonio con due mogli per lo stesso marito. Infatti, la madre s'innamora, giovane studentessa, di un professore già sposato, di cui diventa la co-moglie, dopo esserne stata a lungo l'amante. Sarà per paradosso la tragedia della Partizione a risolvere i problemi della donna; infatti, durante la guerra civile tra induisti e musulmani la prima moglie abbandona la casa, di modo che la co-mo-glie, sinora bistrattata ed emarginata, può infine prendersi la rivincita e "separare" la rivale. È notevole in Difficult Daughters l'uso "privato" che si fa della Partizione, che si tramuta per la protagonista in un fatto positivo. D'altra parte, la storia d'amore è descritta per quello che è: una frenesia sessuale che coinvolge l'uomo e la donna, senza false pretese di formazione emotiva o culturale da parte del personaggio femminile. Non si esce in definitiva dalla ritualità soffocante e ossessiva del matrimonio induista. Appaiono più esili altre due opere prime, In the City hy the Sea, 1999, della pakistana Kamila Shamsie, rarefatta microsaga, a tratti alquanto leziosa nello stile, di una grande famiglia pakistana caduta in disgrazia politica, vista dagli occhi, insieme turbati e ingenui, di un adolescente. Il romanzo è pubblicato da Granta di Londra. Forse più sostanzioso, ma non ancora svolto del tutto nelle complesse implicazioni narrative, è A cross the Lakes (1998, Phoenix House, Londra), di Amai Chatterjee, ambientato a Calcutta nel mondo industriale e finanziario anglicizzato. Basato sulle vicende familiari e personali di due giovani appena rientrati a Calcutta dall'Inghilterra, il romanzo mescola almeno tre intrecci, uno dei quali include un diseredato che vive ai margini della legge, tutti confluenti in una serie di catastrofi o mini-tragedie correlate tra di loro, secondo un effetto a valanga. Nonostante il frettoloso finale catastrofico, il romanzo sembra presupporre una conclusione aperta, nel senso che la vita futura dei due protagonisti è destinata a evolversi. Kamila Shamsie e Amai Chatterjee appartengono alla categoria degli espatriati, ossia di coloro che, pur essendo nati in India, hanno studiato e vivono in Inghilterra o in America, come sospesi tra Occidente e Oriente. Lo stesso vale per Shyam Selvadurai, nato in Sri Lanka ma trasferitosi in Canada, al suo secondo romanzo con Cinnamon Gardens (cfr., nella pagina a fianco, la recensione di Anna Nadotti), pubblicato nel 1999 dalla Transworld di Londra. Si tratta di una solida cronaca familiare d'impianto tradizionale, ambientata negli anni venti, tra l'elite tamil convertitasi al cristianesimo. Il fatto che uno dei protagonisti sia un tormentato omosessuale rende più complesso il consueto discorso di ribellione, affidato di norma, nei romanzi indiani, ai soliti intrighi legati alle procedure del matrimonio combinato. È anche notevole nel romanzo la figura autoritaria e ambigua del patriarca, esempio di un ceto aristocratico prosperato all'ombra del colonialismo inglese. Nella rappresentazione caustica dell'élite cingalese e tamil, che cerca di contrattare con i dominatori una futura indipendenza che lasci le cose come erano prima, il romanzo può ricordare al lettore italiano II Gattopardo nella descrizione di certa atmosfera stagnante, anche se i destini individuali di molti personaggi (specie femminili) sono ancora tutti da decidere. Arturo Schwarz Cabbalà e Alchimia Saggio sugli archetipi comuni Margarete Susman Il Libro di Giobbe e il destino del popolo ebraico Storie di destini incompiuti e incanti malsani Luminosa come una mucca Anita Desai, Chiara luce del giorno, trad. dall'inglese di Anna Nadotti, pp. 250, Lit 26.000, Einaudi, Torino 1999 In apparenza il romanzo Chiara luce del giorno di Anita Desai ci racconta una tipica storia postwoolfiana di retrospezione e di ricerca d'identità. Tuttavia, la struttura che alterna la rievocazione del passato alla visita nel presente di Tara alla sorella Bim, nella vecchia e malandata casa di Delhi, rimanda a un percorso di sterilità femminile affidato alla simbologia tipica dell'induismo. Sotto tale aspetto, Chiara luce del giorno è opera di forti contaminazioni, affine per scelta stilistica e di moduli narrativi alle tecniche del modernismo occidentale, ma impregnata di un substrato culturale autoctono (deshi) che ne distorce, in un certo senso, le prospettive d'indagine psicologica, ne allenta e quasi corrompe la tensione cognitiva, opponendo al libero discorso dell'io segni e icone di una cultura pressoché immodificabile. Riceve di conseguenza particolare risalto nel testo l'immagine del pozzo, la cui presenza definisce, nel giardino della casa ancestrale, le soglie nefaste della contaminazione e del destino incompiuto femminile. Vi cade infatti dentro annegando la mucca di casa, co-nutrice insieme alla "zia" Mira delle due sorelle e dei fratelli Raja e Baba. Bianca e rosea, la mucca (go in sanscrito) ha le fattezze di una sposa ("Somigliava davvero a una sposa, con il suo muso candido, gli occhi mansueti e l'espressione un po' stolida"), è insomma una gauri (letteralmente "luminosa come una mucca"), numinoso epiteto di luce che battezza sia la sposa "chiara" di Siva sia la moglie ideale e sottomessa dell'induismo. La sua identità di buon auspicio dovrebbe annullare il carattere infausto di Mira (vedova, senza aver neppure consumato il matrimonio) e infondere nelle sue vene il vigore fecondo della grhalaksmi, la donna di casa identificata con la dea dell'abbondanza, così da consacrare una dimora altrimenti destinata alla sterilità e al declino. Madre per procura, Mira vede riflessa nella morte per acqua della mucca la propria predestinazione al ruolo di serva della casa, come avviene delle vedove nell'induismo, o addirittura proietta il proprio io nella morte per annegamento volontario, estremo sfogo concesso alle donne irrealizzate. (Scrive al proposito un critico indiano che "il suicidio per acqua si contrappone alla santità della morte per fuoco ed è considerato estremamente vergognoso. È spesso messo in pratica dalle donne non realizzate". Ancora oggi, nella regione meridionale del Karnataka sono pressoché quotidiani i suicidi di mogli ripudiate o maltrattate. Si veda, anche, il tentato suicidio nel fiume della moglie tradita, nella Stanza diSavitri, di R.K. Narayan, Giunti, 1999). A mio giudizio, l'immagine del pozzo in Chiara luce del giorno costituisce il segno riassuntivo di tutti i percorsi di vita arida e inespressa tracciati nel romanzo, in contrapposizione implicita alla figura "luminosa" della mucca. Si spiega in tal modo l'afasia spirituale di Bim, custode, e non "madre", di una casa divisa in tante isole di solitudine e di rifiuto spaurito del mondo esterno. In particolare, Bim percepisce la realtà come se fosse costituita da una serie di brusche e inspiegabili accelerazioni che perturbano il fluire piatto degli eventi. Anche qui sarebbe forse errato vedere una semplice propensione individuale all'apatia; Bim concentra in sé lo spirito immoto e decadente della vecchia Delhi, tanto da costituirne la vivente incarnazione crepuscolare. La storia fluisce addosso a Bim, senza scalfirla, cosicché la tragedia della Partizione tra India e Pakistan è vista come di squarcio, sullo sfondo di un atto di rottura che è già stato consumato nel passato, con il declino e la scomparsa della vecchia Delhi. (Si consideri che Bim insegna storia dell'India musulmana all'università, vivendo un rapporto discorsivo continuo con gli estinti imperatori di Delhi). Lo stesso incanto malsano per un passato ormai spento spinge il fratello Raja a vivere nel mito del vecchio nawab (si- "La storia è vista come una dimensione irreale, un incubo dal quale non si può sfuggire" Editrice La Giuntina - Via Ricasoli 26, Firenze www.giuntina.it