Fondamenti per una teoria della ricezione Giudicare godendo, godere giudicando Federico Bertoni N.3 Avveniristico senza gloria Carlo Lauro Herbert R. Lottman, jules Verne. Sognatore e profeta di fine millennio, ed. orig. 1996, trad. dal francese di Luisa Agnese della Fontana, pp. 384, Lit 35.000, Mondadori, Milano 1999 Ripreso dall'obiettivo fotografico sempre in pose serenamente profetiche (tutt'al più con qualche increspatura dell'ampia fronte), Jules Verne è il prototipo dello scrittore infaticabile e ricambiato dall'acclamazione universale. La robustezza del suo aspetto sembra tutt'uno con quella del corpus degli oltre sessanta Voyages extraordinaires, impressionante compromesso di scientismo e fantasia che si sposta, volta a volta, dagli abissi del mare al centro della terra, dai poli all'equatore, dalla luna ai regni solari. Come per la Comédie Humaine di Balzac, l'idea di un progetto sistematico si andò formando pian piano, ma sin dal successo del primo romanzo, Cinque settimane in pallone (1863), l'editore Hetzel aveva abilmente pensato di corredare i Voyages di una veste grafico-editoriale addirittura lussuosa, rimasta poi inconfondibile, persino oltre la morte di Verne (1905), quando continuarono a comparire, ancora per un decennio, alcuni inediti. Anche prima del cruciale incontro con Hetzel - che coincise con un assestamento professionale - l'esistenza di Verne non spicca per fatti dirompenti: l'infanzia a Nantes e poi gli studi di diritto a Parigi intercalati da ambizioni teatrali non molto felici (compresi testi per operette), la frequentazione di salotti letterari, la protettiva amicizia di Alexandre Dumas. Verne stesso tenderà a una netta separazione tra vita e opere, giudicando la prima poco interessante e mantenendosi ostinatamente reticente di fronte alle curiosità dei biografi. Questo tentativo di sparire dentro i romanzi è evidente allorché non lascia alcun reportage personale sulle varie esperienze di viaggio: tutto viene sapientemente riciclato a vantaggio dei futuri, cartacei Voyages. Così, in essi nulla trasparirà mai del sentimento di avversione dello scrittore verso il ribellismo del figlio Michel, prima spedito in casa di correzione e poi imbarcato a forza su una nave per le Indie: al contrario, le violente insofferenze domestiche sono trasfigurate dai limpidi rapporti filiali e paterni raccontati in II Chancellor o I figli del capitano Grant. Ciò detto, i Voyages non sono soltanto la bella, accattivante evasione che Verne concede a se stesso e ai lettori. I compassi, i cannocchiali, i missili, gli obici, i battelli a vapore che campeggiano sulle telature rosse e oro di Hetzel sono l'armamentario di una Scienza di cui Verne non vede soltanto i progressi, ma anche tremendi contraccolpi e oscure minacce. E questa consapevolezza - estrema verità dei Voyages per un "bon usage" del positivismo - non è solo dei testi maturi: già in Avventure del capitano Hatteras (1864-65), l'intrepido esploratore Hatteras, giunto con estremi sacrifici al Polo Nord, cede alla follia e vuol lanciarsi nel grande cratere che si trova dinanzi. Il buon Hetzel volle a tutti i costi evitare il drammatico finale; Verne lo accontentò con un salvataggio in extremis, ma non risparmiò a Hatteras la definitiva perdita del senno. E il germe di un pessimismo che sfiorerà sviluppi apocalittici in opere come I 500 milioni della Begum. La tacita, personale malinconia di Jules Verne era invece quella confidata a un giornalista americano nel 1893: "non contare" nella letteratura Hans Robert Jauss, Storia della letteratura come provocazione, ed. orig. 1970, a cura di Piero Cresto-Dina, pp. 275, Lit 58.000, Bollati Boringhieri, Torino 1999 "Un'amabile causerie, già diceva nel 1921 Roman Jakobson, della storia letteraria". Basta forse questa sbrigativa boutade con cui Roland Barthes, in Critica e verità (1966; Einaudi, 1995), alludeva al programmatico divorzio tra storia e letteratura sancito dalle tendenze più radicali dello strutturalismo, per comprendere la portata della "provocazione" che Hans Robert Jauss, in una prolusione tenuta all'Università di Costanza il 13 aprile 1967, rivolgeva alla "scienza della letteratura": Che cosa significa e a che scopo si studia la storia della letteratura?. Dietro questo titolo schille-riano si nascondeva infatti l'abbozzo di un progetto teorico e metodologico che, nel contesto di quegli anni, doveva apparire in qualche misura rivoluzionario: non tanto (o non soltanto) resuscitare una disciplina ormai "data per morta", quanto oltrepassare i vecchi schemi storicistici e assumere la "storicità della letteratura" come nucleo fondante di ogni analisi e valutazione del fenomeno letterario. Del profondo interesse suscitato da questo discorso, atto di nascita della futura "estetica della ricezione", testimoniano in qualche modo anche le complicate vicende editoriali. Pubblicato nello stesso anno a Costanza in versione ampliata e con un nuovo titolo, Storia della letteratura come provocazione nei confronti della letteratura (e tradotto dall'editore Guida di Napoli nel 1969 con il titolo Perché la storia della letteratura?), il testo è stato poi sottoposto a ulteriore elaborazione e raccolto con altri quattro saggi in un volume del 1970, Storia della letteratura come provocazione, presentato ora per la prima volta in italiano da Bollati Boringhieri. Inserito in questo contesto, il discorso del 1967 appare quindi come la fase culminante di un più ampio percorso di ricerca nel quale il momento della definizione teorica, come sempre in Jauss, si delinea sullo sfondo di concreti problemi ermeneutici e storico-letterari. In questo senso, come sottolinea lo stesso Jauss, i primi tre saggi del volume (scritti tra il 1965 e il 1967) "devono essere considerati studi preparatori di una teoria, non esempi della sua applicazione. Da un lato illustrano un ampio nesso storico: l'origine letteraria della nostra modernità (...). Dall'altro rappresentano, dal punto di vista metodologico, varie possibilità di superare la storia letteraria convenzionale e cronologicamente unidimensionale, grazie alla descrizione e all'interpretazione di certe strutture del mutamento epocale in letteratura". In effetti, al di là dell'elaborato intreccio di testi, autori, riflessioni, dialoghi e polemiche che Jauss riesce a intessere con il consueto, impeccabile controllo dei materiali, l'interesse vero di questi tre capitoli di storia letteraria e culturale sta forse nel primo abbozzo di alcuni principi teorici e metodologici che soltanto in seguito verranno articolati in un'esposizione sistematica. Così, nel primo saggio dedicato alla storia lessicale del termine "moderno" e al "rapporto tra tradizione e modernità", si delineano nozioni fondamentali come quelle di "mutamento" e di "soglia epocale", che permettono di ripensare la dimensione storica della letteratura non attraverso categorie esterne di descrizione, ma attraverso l'analisi delle cesure nella "coscienza", nel "sentimento di sé", nell'"au-tocomprensione storica di un nuovo presente" con cui le varie generazioni dei "moderni" hanno percepito il proprio distacco dal passato. Viene già sottolineata, in questo modo, quella "storicità del classico", quel suo statuto relazionale e dialettico che verrà approfondito in scritti successivi, in particolare in un saggio del 1975, Il testo del passato nel dialogo con il presente (La classicità può tornare moderna?). Allo stesso modo, il secondo saggio - incentrato sulla Replica di Schlegel e di Schiller alla "Querelle des anciens et des moder-nes" - descrive un'altra "soglia" della modernità con un metodo che si rivelerà decisivo per i successivi studi di Jauss, e che troverà la sua prima formulazione teorica nel quinto saggio di questo volume, scritto nel 1970: la "relazione di domanda e risposta", cioè una concezione "dialogica" della tradizione letteraria in cui i testi posteriori riprendono, riattualizzano, approfondiscono le domande alle quali i testi precedenti avevano già fornito una soluzione, ma che alla luce dei mutati contesti storici richiedono nuove formulazioni, e soprattutto nuove risposte (si veda, a questo proposito, il secondo volume di Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria, 1982; il Mulino 1988). Il terzo saggio, dedicato alla fine dell'estetica classico-romantica consumatasi tra il 1830 e il 1848, propone quindi un'altra illustrazione del concetto di "mutamento epocale" e soprattutto abbozza una concezione della storia letteraria come "processo globale che trascende l'individualità di opere, autori e nazioni", la cui descrizione impone di ricostruire l'"orizzonte letterario" in cui i testi sono comparsi e hanno esercitato i loro effetti. "Non sarà possibile porre la "serie letteraria" e la "serie non letteraria" in una relazione che abbracci il rapporto tra letteratura e storia senza costringere la letteratura a una mera funzione imitativa e illustrativa e a una rinuncia al suo carattere di arte?". È con questa domanda-provoca-zione che Jauss concludeva la pars destruens del suo scritto programmatico sulla storia della letteratura, dopo avere discusso sia il riduzionismo sociologico del marxismo sia la concezione agonistica dell'"evoluzione letteraria" proposta dai formalisti russi. Per proporre una soluzione positiva al quesito era necessario però imprimere al sistema letterario una rotazione di coordinate, quel brusco mutamento di prospettiva che, negli stessi anni, incominciava ad accomunare indirizzi di ricerca tra loro molto diversi: bisognava infatti reintegrare il lettore nei suoi diritti e collocarlo al centro del fenomeno letterario, come partecipante attivo e garante della "vita storica" dell'opera; bisognava infrangere il "circolo chiuso di un'estetica della produzione e della rappresentazione" e fondare una nuova "estetica della ricezione e dell'efficacia" (Wirkung). Così, scrive Jauss, "nel triangolo formato da autore, opera e pubblico il terzo elemento non costituisce soltanto la parte passiva, ma è anch'esso un'energia formatrice di storia". Ed è grazie a questo persistente interesse per la storicità che la riabilitazione del destinatario non sfocia in un modello teorico atemporale, come il "lettore im- plicito" definito da un altro esponente di spicco della Scuola di Costanza, Wolfgang Iser. Perché il lettore di Jauss non esce dalla storia, rimane sempre un "lettore storico" inserito in un particolare "orizzonte d'attesa" come "istanza di mediazione tra il passato e il presente, tra l'opera e il suo effetto". Certo, ci si può chiedere se il progetto di fondare una nuova storia letteraria attraverso l'estetica della ricezione sia andato davvero oltre gli intenti programmatici. È forse vero, come è stato sottolineato, che alle proposte teoriche non ha fatto seguito l'elaborazione di storie della letteratura complete e organiche, ma è altrettanto vero che gli studi di Jauss hanno illuminato alcuni capitoli fondamentali della cultura europea, e che soprattutto hanno delineato una nuova, articolata concezione della letteratura e delle sue funzioni nel rapporto con i contesti storici e sociali. Già la prolusione del 1967 culmina in una riflessione sulle funzioni cognitive e sociali del-1 opera letteraria, il cui valore estetico risiede nella capacità di infrangere l'orizzonte consolidato delle attese e di condurre così a un produttivo "mutamento di orizzonte", che possa rinnovare non solo i paradigmi della tradizione letteraria, ma anche quelli della morale e dell'esperienza quotidiana. Anzi, come si evince da alcuni paragrafi aggiunti al testo del 1970 (che nel complesso è più ampio, più esauriente e meglio articolato rispetto alla stesura del 1967), il limite paradossale dell'estetica marxista consiste proprio nell'incapacità di cogliere "il carattere rivoluzionario dell'arte: poter condurre l'uomo, al di là delle rappresentazioni consolidate e dei pregiudizi legati alla situazione storica, a una nuova percezione del mondo o all'anticipazione di una nuova realtà". In seguito, Jauss deciderà di sfumare 1'" unilateralità modernista" di queste sue prime tesi, ancora in parte indebitate con la teoria dell'innovazione dei formalisti e con l'estetica della negatività di Adorno, ma non per questo rinnegherà le potenzialità cognitive e liberatorie che ci sono offerte da ogni opera veramente grande. L'ampio percorso di Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria, nelle sue varie tappe, lo condurrà così a una comprensione più matura e completa dell'esperienza estetica, con il suo equilibrio dialettico tra rottura e tradizione, trasgressione e conferma, funzione conoscitiva e principio di piacere. "Ci sono tre specie di lettori", scriveva Goethe in un aforisma, "una che gode senza giudicare, la terza che giudica senza godere, e quella di mezzo, che giudica godendo e gode giudicando: questa in verità ricrea di nuovo un'opera d'arte". ■ "Bisognava reintegrare il lettore nei suoi diritti e collocarlo al centro del fenomeno letterario"