NOVEMBRE 1999 Cr^icX N. 11, PAG. 19 < contributi alla conoscenza del tema studiato, quanto delle idee che l'au- tore ha sostenuto e del loro rappor- to con la tradizione degli studi in materia. Con il suo noto scrupolo di sagace studioso, Guerci avverte che il materiale da lui raccolto e analiz- zato non è tutto quello che si po- trebbe raccogliere con ulteriori ri- cerche sul tema. Non sottolinea, forse, abbastanza, con questa dimo- strazione di modestia, quanto sia stato ampio il suo scavo in tutta Ita- lia. Gli "ampi sondaggi" a cui di- chiara di essersi limitato, sono, in realtà, un tessuto organico di testi di vario genere, che, è vero, si può an- che ampliare, ma non poi tantissi- mo, se non m'inganno, e che, co- munque, pur ampliato quanto si vo- glia, potrà contestualizzare la mate- ria in modo ancora più ricco, ma è difficile (e non voglio dire impossi- bile) che porti a disegnare linee di fondo sostanzialmente diverse da quelle offerte nel libro di Guerci. Piuttosto, si può ritenere (io al- meno lo ritengo) che dei due temi consapevolmente lasciati fuori dal libro, l'uno - quello della libertà - non fa sentire troppo la sua assenza (ma è proprio vero che "non diede luogo a prese di posizione partico- larmente significative" e che il suo svolgimento principale fu "di esor- tare a non confondere la libertà con la licenza"?), anche perché ne trape- la molto nel tema della democrazia. L'altro, invece, ci sembra rilevante. E "il settore propriamente scolasti- co", che, dice Guerci, lo "avrebbe portato su un terreno diverso" da quello da lui scelto. Sarà pure così, ma il concetto di "istruire" (mi scu- so per la banalità dell'osservazione) implica troppo quello di scuola per accontentarsi della sua dichiarazio- ne di intenti. A essere proprio mali- ziosi, non sarà che "l'istruire nelle verità repubblicane" faccia qui troppo più conto delle "verità" che dell'"istruire" e si abbia più una sto- ria delle idee dei "patrioti" che della loro proiezione politico-pedagogi- ca, sulla quale si è qui tanto merito- riamente appuntata l'attenzione dell'autore? In ogni caso, è saggio e doveroso ribadire che il libro di Guerci è esso stesso tutto un capito- lo degli studi sul triennio, scritto da uno studioso bene esperto della te- matica europea degli anni rivoluzio- nari (lo si vede anche qui, a partire dalla precisione, opportuna, sul giu- sto modo di intendere il termine "giacobino" per l'Italia di allora); e che, sul piano dell'"istruire nelle ve- rità repubblicane" sistema in ma- niera soddisfacente e ricca di novità un tema, come quello del rapporto fra rivoluzione e "popolo", fonda- mentale anche per l'Italia giacobina. La quale - è bene sempre ricordar- lo - fu uno snodo decisivo nella sto- ria dell'Italia contemporanea. Pietas regolata MARINA CAFFIERO Mario Rosa Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore pp. 312, Lit 48.000 Marsilio, Venezia 1999 Sarebbe ingiustificato e poco utile contrapporre questo libro al monumentale Settecento riforma- tore di Franco Venturi a cui il tito- lo sembra peraltro alludere e che l'autore stesso richiama nella sua premessa. Innanzi tutto perché il Settecen- to religioso di cui tratta questa bel- la raccolta dei saggi con i quali Mario Rosa, a partire dagli inizi degli anni ottanta fino alla metà degli anni novanta, è venuto ela- borando una compiuta e unitaria riflessione storiografica, è anche e soprattutto un Settecento riforma- tore. L'attenzione dello storico è infatti volta in prevalenza a quelle tendenze interne al mondo cattoli- co e a quegli autori che nel corso del secolo si andarono collocando in linea con le proposte di una re- ligiosità razionale e "regolata" e di una "politica della Ragione" che non entrasse in conflitto aperto con le istanze della cultura moder- na dei Lumi e che sollecitasse dall'interno della Chiesa stessa una riforma dottrinale e discipli- nare. In questa direzione di ricer- ca si ritrova così, come già era av- venuto nell'opera di Venturi, la centralità del ruolo culturale svol- to da Ludovico Antonio Muratori, qui analizzato dal punto di vista dell'influsso esercitato negli am- bienti dei riformatori ecclesiastici attraverso opere come De ingenio- rum moderatione in religionis ne- gotio (1714), De superstitione vi- tanda (1740) e Della regolata divo- zione de' cristiani (1747): opere, cioè, utilizzate lungo tutto il corso del secolo per fondare la lotta con- tro gli "eccessi di devozione" e ie forme più facili ed esteriori del culto e della pratica religiosa. In secondo luogo, il rapporto politica-religione si declina in que- sto libro attraverso vie diverse e nuove: nuove anche rispetto ai precedenti lavori dell'autore stes- so. L'introduzione della dimensio- ne socio-religiosa, attenta all'anali- si della pratica religiosa e ai temi della mentalità, della cultura, del- lo scarto tra alto e basso, innerva infatti la dimensione del "piti- co" di una sostanza nuova, che non intende soltanto adeguare la ricerca e i suoi paradigmi ai muta- menti intervenuti nel quadro sto- riografico, come asserisce l'autore, ma che si rivela in realtà anche ca- pace di disegnare una linea di svi- luppo complessivo del Settecento differente da quella tradizionale e innovativa anche sul piano della scansione cronologica. Una linea di sviluppo dalla prevalente im- pronta razionale e politica che si dipana dalla battaglia antimistica tardosecentesca fino al moderato razionalismo nutrito di erudizione storico-critica e di pensiero scien- tifico di metà secolo, per dispie- garsi ancora nello scontro tra cat- tolicesimo e modernità che, deli- neatosi a partire dagli anni sessan- ta del Settecento, culmina nel dramma rivoluzionario e si pro- lunga nei primi decenni del secolo successivo. Tuttavia, tale linea è continuamente intersecata da una "religione del cuore", da una sen- sibilità religiosa popolare, affettiva e sentimentale, erede persistente della pietà barocca, che reagisce ai processi di secolarizzazione della società: una modalità religiosa che, alla fine del secolo, finirà per imporsi e per confluire nei pro- grammi antimoderni e restaurato- ri della politica di riconquista del- la Chiesa e del papato. In tale percorso complesso e ar- ticolato tra istanze diverse, e che appare riduttivo definire come la ricerca di un "altro Illuminismo" dal momento che sta tutto dentro all'Illuminismo, due sono i poli che si potrebbero definire i con- duttori di questa corrente alterna- ta che percorre l'intero secolo: la categoria di Aufklàrung cristiana e cattolica e il motivo affettivo della devozione del Cuore. Con il con- cetto di Aufklàrung sono designa- te quelle correnti che nell'Europa cristiana settecentesca elaborano, sotto la spinta dei mutamenti in atto, un autonomo progetto di riforma della Chiesa e della so- cietà che assume non pochi spun- ti della cultura moderna e illumi- nistica, ma che insiste sulla funzio- ne civilizzatrice e socializzatrice della religione e sulla possibilità di accordare ragione e fede all'inter- no di una "filosofia cristiana" ope- rante in vista della felicità e dell'utilità sociali. Un progetto culturale, questo, in cui il peso della componente giansenista e antigesuitica si rivela determinan- te e che finirà per sfociare nei ten- tativi di dimostrare la conciliabi- lità di cristianesimo e democrazia avviati nell'età rivoluzionaria da alcuni settori ecclesiastici inclini a individuare nella "Grande Rivolu- zione" politica una grande occa- sione di "rigenerazione" religiosa, vissuta spesso in termini di palin- genesi millenaristica. Su un opposto versante sta in- vece la religione come sentimento e devozionalità affettiva e colletti- va, con i suoi simboli di rassicura- zione e insieme di battaglia e di militanza, come appunto il simbo- lo del cuore. Analizzando la nasci- ta e lo sviluppo della devozione al Sacro Cuore di Gesù a partire dalle visioni della mistica visitan- dina francese Margherita Maria Alacoque, alla fine del Seicento, l'autore individua un diverso ma altrettanto forte nesso tra religio- ne e politica; esso si declina in di- rezione dell'esaltazione del potere regio, cui allude la figura del Cri- sto-re, proprio attraverso la forza suggestiva e aggregante di una de- vozione, quella del Cuore, assai contestata proprio dalle correnti riformatrici cattoliche ma forte- mente sostenuta dai gesuiti. Una devozionalità "regale" e monar- chica, dalla funzione legittimante e legittimista, che diventerà nel tempo il segno distintivo del- l'identità cattolica contro ogni mi- naccia e "nemico" e il tramite di precise scelte politiche della Chie- sa romana, dirette via via contro i processi di secolarizzazione della società, contro la cultura dei Lu- mi, contro il cattolicesimo rifor- matore e filogiansenista, infine contro la Rivoluzione francese: in- somma, contro il mondo moder- no. Proprio la temporanea scon- fitta subita dai gesuiti - con la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773 - farà della devo- zione tenera e sentimentale del Cuore il vessillo della Compagnia operante per la propria resurre- zione e il simbolo di una identità religiosa in via di riscossa e di af- fermazione, arricchita di elementi profetici e apocalittici. Paradossalmente, dunque, en- trambi i poli entro i quali si gioca il rapporto tra politica e religione nel Settecento finiranno per con- fluire, sia pure da sponde e modi diversi e con significati opposti, in quell'attesa palingenetica di una nuova era e in quell'ondata di profetismo dalle valenze utopiche ma anche profondamente politi- che che caratterizzano il declinare e la fine del secolo: di fronte a eventi storici nuovi e traumatici, che apparivano interpretabili e comprensibili - e dunque meno minacciosi - soltanto alla luce del- le Scritture e attraverso simboli- smi escatologici, sia la politica della Ragione sia la religione del cuore, pur attive e operanti con un proprio programma nella tem- perie rivoluzionaria, sembrano sprovviste di reali strumenti di comprensione. fatto che le truppe francesi scesero nella penisola solo quando la dinamica rivolu- zionaria si stava ormai progressivamente spegnendo. A partire da questa constata- zione, Vovelle ci fornisce un quadro assai equilibrato del triennio 1796-99, nel quale trovano il loro giusto rilievo sia le forze più radicali, costrette a misurarsi con l'at- teggiamento ostile del regime direttpriale, sia i gruppi moderati che ressero in larga misura le repubbliche formatesi in quel pe- riodo, sia le molteplici resistenze che sfo- ciarono più volte nel fenomeno delle in- sorgenze controrivoluzionarie. Altro motivo di interesse del volume è lo spazio dedicato alla storia delle immagini, un filone di ricerca al quale già da tempo Vo- velle e i suoi allievi hanno dato un impulso decisivo. In appendice il lettore può trovare infatti una scelta di stampe e di rappresenta- zioni la cui analisi, sviluppata nei vari saggi, dimostra come nel corso del triennio l'im- magine e la caricatura si siano imposte come un nuovo linguaggio, al quale non esitarono a ricorrere gli stessi nemici delle novità rivo- luzionarie. Vovelle non dimentica naturalmente il peso dell'occupazione militare francese, con le rapine, le requisizioni, le malversazioni dei commissari civili e dyi generali, i colpi di Stato imposti alle repubbliche sorelle, e si sofferma soprattutto sulla cessione di Ve- nezia all'Austria, "amara smentita della promessa rivoluzionaria di emancipare ipo- poli e di rispettare il loro diritto di autode- terminazione". E proprio per quest'ùltimo aspetto ci offre due contributi di grande in- teresse, nei quali analizza, rispettivamente, gli umori dell' opinione pubblica francese di fronte alla caduta di Venezia, utilizzando fra l'altro i rapporti di polizia pubblicati al- la "fine del secolo scorso da Alphonse Au- lard, e le valutazioni espresse dalla storio- grafia transalpina sulla fine della repubbli- ca veneta. Il libro dà anche grande rilievo alla figura di Bonaparte, e mostra ad esempio, analiz- zando ancora le testimonianze iconografi- che, come si è formato in Italia il mito na- poleonico attraverso "una delle più grandi manipolazioni dell'opinione pubblica del- l'età moderna". Ma soprattutto è degno di nota l'ultimo scritto, che coglie con grande acume i molteplici aspetti del rapporto fra Napoleone e l'Italia. Vovelle ritiene che l'Italia conservi nella memoria collettiva una valutazione della fi- gura di Napoleone più positiva rispetto alla Erancia, considerandola un fattore decisivo di modernizzazione della penisola. Senza dubbio lo storico francese risente qui della tradizione repubblicana che non ha mai perdonato a Napoleone il 18 brumaio. Vo- gliamo ricordare peraltro che sulla memo- ria storica italiana ha pesato a lungo in sen- so negativo la completa sottomissione della penisola da parte di Bonaparte, tant'è che sono mancati in genere nell'Italia ottocen- tesca gli slanci entusiastici che la leggenda napoleonica seppe suscitare in altri paesi europei. Trovandosi a ripercorrere le stesse strade lungo le quali scesero nella penisola due se- coli fa i suoi connazionali, Vovelle si chiede, sul filo dell'ironia, in quale veste uno stu- dioso transalpino possa presentarsi oggi agli amici italiani a rievocare la presenza france- se nella penisola: sarà visto come un "patrio- ta missionario", o piuttosto come un emulo dei commissari del Direttorio, venuto a de- predare perfino la memoria storica del paese conquistato? ■ ■ ■HHH