MAGGIO 1997 N. 5, PAG. 11 4 zata Ofélia nell'ottobre 1929: "Vorrei baciarla sulla bocca, con passione e ghiottoneria e mangiare i bacini che vi sono nascosti, e poggiarmi sulla sua spalla e arrivare alla tenerezza dei colombi, e chiederle scusa, ma per finta, e ricominciare molte volte (...) Mi piacerebbe che tu, Bebé, fossi una bambola, e io farei come un bambino, ti spoglierei...". L'errore compiuto da Simòes - e da quanti si sono attenuti alla sua interpretazione "depressionista" e "frustrazionista" - è stato da una parte di prendere per autobiografia i testi scritti in un contesto di finzione, sia ortonima che eteronima (errore doppiamente grave, poiché Pessoa stesso ci aveva avvertiti che "il poeta è un fingitore"), e dall'altra di non scontare dalla testimonianza di Ofélia - fornita in tarda età - le necessarie reticenze impostele dalla propria educazione di "ragazza bene" della Lisbona degli anni venti. La ricostruzione di Crespo è molto minuziosa e si incentra, oltre che sull'aspetto più strettamente biografico, su quello filosofico, su quello esoterico e su quello politico. Il volume è ben curato dal lusi-tanista Brunello de Cusatis; un certo numero di ispanismi nella versione del testo castigliano e qualche svista nella traduzione dei numerosi lacerti poetici citati (ad esempio veio, "venne", confuso con vejo, "vedo") non pregiudicano l'elevata fruibilità del volume, facilitata da una gradevole impostazione grafica. De Cusatis ha anche curato una raccolta di appunti e frammenti pessoani sulla politica. Anche in questo campo, lo scrittore è stato spesso frainteso o capziosamente trascinato da una parte o dall'altra. La giusta ottica sta, a mio avviso, nelle parole di un sodale di Pessoa, il pittore Guilherme de Santa Rita: "Ogni volta che ha trattato questioni politiche, lo ha fatto da un punto di vista specialmente artistico". Questo spiega perché egli potesse dichiararsi monarchico affermando che però in un'eventuale elezione avrebbe votato per la repubblica, essere allo stesso tempo partigiano del "Presidente-Re" Sidónio Pais e liberale, e così via. Cionondimeno, in più circostanze ha dimostrato una lucidità di analisi e una capacità speculativa sorprendenti: ad esempio quando, nel saggio sull'Interregno del 1928, sostiene che, data la divisione in gruppi diversi e l'elevato numero di analfabeti della popolazione, solo l'esercito potrebbe risolvere i problemi politici del Portogallo (e infatti, la rivoluzione del 25 aprile 1974, che ha abbattuto la dittatura fascista, è stata organizzata e portata a termine proprio dalle forze armate) o quando, sempre negli stessi anni, scrive: "I partiti di governo - i partiti, cioè, che spesso governano e perciò, in generale, quelli maggiori - aggregano più arrivisti e più persone interessate, per la semplice ragione che gli arrivisti e le persone interessate vanno in cerca, per natura, dei partiti che li possono impiegare e ricompensare, e questi sono, è chiaro, i partiti che governano, o che con frequenza governano, e non quelli che mai vanno al poterè. Il Partito Democratico deve a questo fatto -quello di essere un partito spesso al governo - l'enorme quantità di persone interessate di cui si compone; non lo deve ad una qualche particolarità della sua costituzione intima, o alle dottrine che professa ed intorno alle quali si è formato e si conserva". Per noi che le leggiamo "col senno di adesso", queste pagine appaiono quanto mai attuali e ci invitano a un'attenta riflessione su quanto è accaduto (e potrebbe ancora accadere). Anche per questa ragione - oltre che per la loro bellezza stilistica, ottimamente resa da De Cusatis - gli scritti politici di Pessoa meritano di essere letti e meditati. Salvati dannati di Riccardo Morello Christoph Ransmayr, Il morbo Kitahara, Feltrinelli, Milano 1997, ed. orig. 1995, trad. dal tedesco di Stefania Fanesi Ferretti, pp. 314, Lit 32.000. Raccontare una storia fino in fondo - ha dichiarato Ransmayr in un'intervista - è uno dei compiti più difficili per uno scrittore, perché la fine è sempre terribile. Uno happy end sottolinea una consonanza con la vita, vissuta come valore supremo, guardare al dopo vuol dire invece fare i conti con la morte, sanzione ultima di ogni vicenda e di ogni racconto. Le guerre ad esempio non si risolvono mai positivamente, lasciano tracce indelebili di dolore e di sangue, l'odio che seminano continua a covare sotto la cenere dell'indifferenza o dell'oblio - come dimostra il tragico conflitto dell'ex Jugoslavia. 11 romanzo di Ransmayr scopre il nervo dolente di questa violenza latente, facendone l'oggetto di una narrazione lucida, intensa, impietosa. Nato nel 1954 a Wels, Ransmayr è uno dei migliori autori austriaci contemporanei. Ha esordito nel 1984 con Gli orrori dei ghiacci (Leonardo-De Luca, 1991), suggestivo resoconto di una spedizione austriaca dell'Ottocento nelle regioni artiche, ottenendo poi un grande successo internazionale con II mondo estremo (Leonardo-De Luca, 1989, ed. orig. 1988), libro di rara perfezione stilistica che rievoca l'universo mitico e poetico delle Metamorfosi di Ovidio. Il morbo Kitahara disegna uno scenario apocalittico: l'Europa del dopoguerra precipita nel caos, regredendo a un'economia autarchica e preindustriale, come previsto dal piano Morgenthau che le potenze vincitrici non vollero realizzare davvero. La storia si svolge nel paese alpino di Moor - che in tedesco significa palude, pantano -, un tempo rinomata stazione termale sulle rive di un lago, divenuta negli anni del nazismo sede di un campo di sterminio. Ebensee sembra essere il modello più probabile di Moor, anche se la terribile scala della morte nella cava di pietra ricorda piuttosto Mauthausen; del resto il nome del battello che solca le acque del lago ("La Greca dormiente") è quello della montagna che sovrasta Gmunden e dunque il Traunsee. L'autore mescola riferimenti storico-geografici reali e invenzione, realizzando un tessuto narrativo di grande suggestione. Freddo, miseria, paura assillano una popolazione rancorosa, dolente, segnata in modo irreparabile dalla storia, senza futuro giacché "il futuro di Moor era il suo passato. Mai dimenticare". Nella musica portata dagli americani pulsa il ritmo di una vita diversa, libera e in movimento, mentre qui ogni speranza di cambiamento viene delusa sul nascere. I personaggi principali sono tutti in qualche modo vittime di un passato terribile che non passa. Bering, figlio di un reduce di guerra, ha appreso dal padre il mestiere di fabbro, diventando un genio della meccanica, capace di fabbricare con semplici rottami ogni genere di motore. Ma il morbo Kitahara, il disturbo oculare da cui è affetto, gli fa temere di perdere la vista. Le macchie scure che offuscano il campo visivo diventano la spia di un malessere più profondo, destinato a tradursi in furia omicida e autodistruttiva. Ambras, al quale Bering fa da autista e guardia del corpo, è un ex internato del lager nominato dagli alleati amministratore della cava di pietra. Vive in una vecchia villa attorniato da una muta di cani, dominati con la stessa disumana ferocia degli aguzzini verso i prigionieri nell'inferno concentra-zionario. Lily, detta la Brasiliana, è una trafficante del mercato nero, figlia di un criminale di guerra linciato a Moor perché riconosciuto durante la fuga in Sudamerica. Odiati dalla popolazione a causa della loro collaborazione con gli occupanti, i tre vengono sospinti dagli eventi verso un destino comune. Bering è attratto da Lily, durante un memorabile concerto rock organizzato dall'esercito sembra quasi scoccare tra loro un amore, poi la durezza della vita riprende il sopravvento. Quando l'esercito decide di chiudere la cava e di evacuare il paese, destinando la zona alle esercitazioni militari, tutti e tre si imbarcheranno per il Brasile. Anziché una terra di rifugio e di salvezza il Brasile si rivela un'appendice del loro mondo: le tracce di un lager del tutto simile a quello di Moor, scoperte su un'isola, ripropongono la stessa ossessionante violenza della storia. Lily, più vitale, si ritrae inorridita cercando una via di scampo, Bering e Ambras trovano invece la morte in una disperata caduta verso l'abisso. Vittime della guerra e della violenza non sono soltanto quelli che Levi chiamava i sommersi, i soccombenti, ma anche coloro che si sono salvati, uccidendo in sé speranza e pietà per le vittime. Il mondo di Ransmayr è popolato di sopravvissuti che hanno dovuto estirpare dal loro cuore ogni scintilla d'amore. Freddezza, solitudine, follia sono le cifre di un'esistenza vissuta come tormento, in cui si spalancano rari momenti di tregua, come quelli in cui Bering contempla con piacere un ingranaggio ben oliato. Un romanzo dunque non soltanto di grande presa èmotiva, ma anche con una forte tensione etica, sul quale vale la pena riflettere. Il lettore italiano potrà apprezzarne l'eleganza stilistica grazie all'eccellente traduzione di Stefania Fanesi Ferretti condotta con limpida aderenza all'originale. Adelphi Alberto Arbasino LETTERE DA LONDRA Nina Berberova DOVE NON SI PARLA D'AMORE Massimo Cacciari L'ARCIPELAGO Guido Ceronetti CARA INCERTEZZA Fabrizio Dentice PERROS DE ESPANA Alfred Dòblin TRAFFICI CON L'ALDILÀ William Faulkner UNA ROSA PER EMILY Leo Frobenius FIABE DEL KORDOFAN Jamaica Kincaid AUTOBIOGRAFIA DI MIA MADRE LA CENA SEGRETA TESTI CATARI Anonimo del XVII secolo LA FAMOSA ATTRICE Tommaso Landolfi IL MAR DELLE BLATTE E ALTRE STORIE Thomas Mann CONSIDERAZIONI DI UN IMPOLITICO Alvaro Mutis LA CASA DI ARAUCAIMA Anna Maria Ortese CORPO CELESTE Oliver Sacks L'ISOLA DEI SENZA COLORE Leonardo Sciascia LA SCOMPARSA DI MAJORANA Vladislav Vancura IL CAVALIER BANDITO E LA SPOSA DEL CIELO 57