LUGLIO 1997 Di O^lb^Cr ct^L Y/X&òe, Scavare nel passato attraverso le immagini di Giovanni Romano Francis Haskell, Le immagini della storia. L'arte e l'interpretazione del passato, Einaudi, Torino 1997, ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Eleonora Zoratti e Anna Nadotti, pp. XX + 445, hit 180.000. La prima edizione di History and Its Images è del 1993, ma già nello stesso anno apparve una ristampa "with corrections", spia di un testo in fieri, sottoposto ancora a revisione da parte di un autore di difficile contentatura. A una lettura non superficiale anche la successione dei capitoli e la divisione in due parti rivelano possibili soluzioni alternative: si avverte una cesura forte all'altezza del capitolo su Michelet, forse meno aspra se fosse preceduto immediatamente da quelli sulla Storia della cultura e sull'Arte come indicatore sociale (è la linea di ricerca segnata dall'in-combere della filosofia della storia); di contro vedrei il capitolo sul Musée des Monuments franqais ancora organicamente pertinente alla parte prima, in successione ai Problemi di interpretazione e al Dialogo tra antiquari e storici. Con questi argomenti non mi pare si esca dal lungo e affascinante romanzo dell'antiquaria che domina l'avvio del volume e ci conduce gradualmente al dibattito settecentesco sui musei. E una grande presunzione voler pasticciare nell'indice fissato dall'autore, ma vedo che anche Joseph Levine, su "The Art Bulletin" (settembre 1994), ha ceduto a una tentazione analoga: è il segno evidente di quanto la lettura di questo grande saggio coinvolga personalmente e arrivi a smuovere quesiti scottanti e assestate convenzioni disciplinari, sia per gli storici dell'arte che per un "ordinary historian", come si autodefinisce con garbato under-statement il recensore americano. Alla ricerca di una "cooperazione fruttuosa tra lo storico e lo storico dell'arte" alcuni di noi si sono impegnati, nei limiti delle proprie forze, "sul pieno riconoscimento delle necessarie differenze tra i due approcci", individuando la bonifica tecnica e filologica delle testimonianze figurate come esigenza preventiva ad ogni utilizzo in campi extradisciplinari ("prima conoscitori e poi storici" vale anche per gli "ordinary historians"). Haskell con coraggio ammirevole ha ribaltato il problema ripercorrendo la storia dell'utilizzo delle immagini da parte di quanti, non storici dell'arte, si sono impegnati a scavare in profondità nel passato: dagli umanisti tardoquattrocenteschi a uno storico molto vicino come Johan Huizinga. L'avventurarsi in ambiti non strettamente storico-artistici lo ha portato a ripercorrere "una storia discontinua e difficile, piena di tranelli" e a chiedere ragione agli "storici" di usi, abusi e fraintendimenti rivelatori. Credo di capire che Haskell speri, da questa dimostrazione per esiti negativi, di far nascere molti scrupoli sull'uso disinvolto di materiali troppo delicati. I primi due capitoli del volume (Primi numismatici e Ritratti del passato) sono dedicati alle monete antiche e più in generale ai ritratti, per come sono stati collezionati, studiati e interpretati nel Cinquecento e nel primo Seicento dai protagonisti delle ricerche antiquarie in Europa. E dichiarato 0 debito verso un superbo intervento di Arnaldo Momigliano del 1950 (Ancien t History and the Antiquarian), tradotto in italiano nella raccolta Sui fondamenti della storia antica (Einaudi, 1984), ma le pagine di Haskell aggiungono al comune sviluppo del discorso un buon numero di illustrazioni scelte accortamente: altro è evocare a parole Jacopo Strada, Guillaume du Choul, Hubert Goltz, Andrea Fulvio e Paolo Giovio, altro è trovarsi di fronte alle splendide traduzioni editoriali o alle lussuose redazioni manoscritte delle loro ricerche. L'evidente fedeltà delle riproduzioni e l'accanimento, a volte frustrato, per la completezza delle serie (tanto da lasciar spazi liberi per i ritratti non accertati), danno prova di quanta dedizione animasse a monte le indagini degli antiquari. L'errore sopravveniva al momento dell'interpretazione, vale a dire proprio nel delicato passaggio dalla descrizione all'uso storiografico. Riconoscere dal ritratto il carattere del ritrattato e quindi le modalità di comportamento sulla scena storica, in parallelo a quanto si leggeva nelle fonti sopravvissute, era un'operazione a rischio. Il ritratto aulico cancella le caratterizzazioni troppo spinte in quanto prodotto retorico di celebrazione, mentre le immagini sulle monete subiscono il condizionamento delle convenzioni tradizionali (il profilo piuttosto che il ritratto frontale o di tre quarti); era fin troppo facile proiettare su immagini depoten- ziate dai modi di produzione e dagli obiettivi ideologici quanto già si conosceva dai libri, e del resto le fonti scritte erano state la via primaria per il recupero dell'antico e restarono a lungo privilegiate a paragone delle testimonianze materiali, utili solo a conferma. Non sono problemi fuori di attualità se continuiamo a discuterne e ad accapigliarci; il panorama delle fonti figurative si è ampliato enormemente, ma non si trova un accordo su procedure e protocolli d'uso garantiti. Anche oggi è fortissima la tentazione di leggere la tappezzeria della regina Matilde a Bayeux come un reportage contemporaneo sulle conquiste normanne e certa storiografia all'arrembaggio produce letture "fisiognomiche" delle immagini antiche non molto diverse da un prestigioso esempio documentato da Haskell: Erasmo era convinto che si potessero riconoscere, in una moneta del primo secolo avanti Cristo, Noè e i familiari che escono dall'arca e, sul retro, la colomba messaggera di Dio con il ramoscello di ulivo. Nella lettura interpretativa dei "revers énigmatiques" di monete e medaglie gli antiquari cinque e seicenteschi danno purtroppo il meglio della propria inesauribile fantasia romanzesca e cedono volentieri ai misteri delle religioni antiche e alla confusione dei simboli parlanti. Haskell non evoca mai Ripa e la sua Iconologia (prima edizione del 1953), ma è evidente che la parte iniziale del suo libro costituisce una premessa indispensabile a ogni futura considerazione non mitologica di quel greve repertorio di immagini. Sul conto positivo di questa difficile stagione di maturazione meto- dologica della storia e dell'antiquaria collocheremo invece la qualità e la. ricchezza delle collezioni di monete e di sculture allora radunate, e non si può visitare oggi VAntiqua-rium di Alberto V di Baviera a Monaco senza un profondo pensiero di gratitudine per una professione (quella appunto degli antiquari cinque e seicenteschi) generalmente sottovalutata. Molto presto, col quarto capitolo, entra in scena un altro snodo cruciale del rapporto tra le testimonianze figurate e la storia, La questione della qualità: la scoperta delle catacombe aveva fornito al partito cattolico un'arma straordinaria per provare le persecuzioni dei primi cristiani, ma al contempo aveva rivelato che i fedeli pronti al martirio si accontentavano di artisti assai modesti. La conversione aveva inibito il buon gusto o la religione non aveva rapporti necessari con la produzione figurativa? Il quesito, qui ra-dicalizzato, puntava direttamente alla filosofia della storia; faceva scalpore, in una concezione provvidenziale dell'evoluzione umana, il fatto che la qualità figurativa fosse riservata ai pagani e la decadenza artistica ai cristiani più eroici. Si rimediò individuando giustificazioni quali la povertà dei primi fedeli, non in grado di permettersi artisti di grido, e i loro scrupoli nei confronti della pericolosa bellezza del mondo terreno (dispiace non aver spazio per seguire da vicino le pagine di Haskell, sottilmente ironiche); il risultato per noi ancora significativo fu che il tema della decadenza figurativa (reale o apparente) entrò ufficialmente nel dibattito storico-antiquario per pro- seguire fino a Wickhoff e a Riegl. Segue la brillante successione dei capitoli sull'antiquaria sei e settecentesca, fino alla figura cardine di Alexandre Lenoir che, nel pieno degli sconvolgimenti sociali e religiosi provocati dalla Rivoluzione, raccoglie in Francia tombe, monumenti sacri, ritratti della vecchia aristocrazia e stemmi familiari per il Musée des Monuments Francis. Possiamo sorridere della sua monomania, erede di tanto genealogi-smo e di tanta araldica d'ancien ré-girne, eppure senza la sua resistenza e i suoi sentimentali principi di tutela molta parte del patrimonio artistico medioevale, in Francia come altrove, rischiava di sparire in un colossale naufragio. La minuta attenzione alla sopravvivenza delle testimonianze figurative non si deve dunque ai grandi philosophes del XVIII secolo, bensì a quei benemeriti antiquaires dileggiati in un dipinto di Chardin sotto figura di scimmie (ma il dileggio forse non è di Chardin, bensì di chi ha messo la didascalia sull'incisione da un suo dipinto): "Dans le dèdale obscur des monuments antiques / homme docte, à grands frais pour-quoi t'embarasser? / Notre siècle a des yeux vraiment philosophiques, / offre assez de quoi s'exercer". Il caso è stato segnalato da Krzysztof Pomian in un prezioso articolo del 1985 su Maffei a Caylus, che si intravede per trasparenza percorrendo i capitoli di Haskell sui Problemi di interpretazione e sul Dialogo tra antiquari e storici (per parte sua Pomian si è affrettato a rendere omaggio al nuovo libro di Haskell con una impegnativa recensione sul "Burlington Magazine", luglio 1994). Non c'è spazio per seguire nei dettagli la successione e l'intreccio di percorsi biografici e culturali che coinvolgono Montfaucon, Ma-billon, Muratori, Giannone, Maffei, Caylus, Gibbon, Winckel-mann e molti altri fino a Séroux d'Agincourt, a Cicognara e al Musée de Cluny di Alexandre du Sommerard. Il Dialogo tra antiquari e storici è un altro dei punti alti di questo libro affascinante e coinvolge sia gli scambi tra critica dei testi antichi e antiquaria interpretativa (con sullo sfondo la nascita dei musei in quanto repertori di prove materiali), sia la promozione delle variazioni dello stile "parmi le faits historiques", con la messa in discussione dei restauri integrativi come operazioni contro le verità della storia. Sto trascinando il saggio di Haskell decisamente verso il partito degli storici dell'arte, credo contro le sue intenzioni, più volte dichiarate. Il libro affronta problemi di metodologia della ricerca, non di sola storia dell'arte, e ci invita a esplorare i rischi ideologici e le acquisizioni positive della meravigliosa avventura intellettuale che ha salvato fino ai giorni nostri la memoria per immagini. Il grandioso esito finale è stato il poter acquisire alla coscienza storica, al di qua del mondo classico, l'intero Medioevo europeo (il Medioevo delle "nazioni" barbare) e il sapersi accostare senza cecità pregiudiziali a realtà storiche non omologabili, alla diversa "tournu-re de leurs esprits".