LUGLIO 1997 li. 7, PAG. 10 Giuliano Baioni, Il giovane Goethe, Einaudi, Torino 1996, pp. 366, Lit 38.000. Questa non è soltanto una monografia che riprende in mano testi e temi di un grande scrittore nella sua fase più innovativa e più esaltante, ne fornisce una rilettura a tutto campo e fa il punto sullo stato della ricerca. Il libro di Giuliano Baioni è qualcosa di più, di diverso e di sorprendente, soprattutto perché l'autore, che agli studi su Goethe ha dato contributi di livello internazionale, si stacca sensibilmente dall'approccio storicista che aveva caratterizzato i suoi precedenti studi e si arricchisce di importanti aperture sul versante biografico e psicoanalitico. Sorprendente anche perché scavalca gli stessi limiti cronologici della giovinezza del poeta, e cerca di trovare quello che con le parole di Goethe si potrebbe chiamare il suo "punto segreto", la chiave di volta capace di cogliere la stupefacente unità della vita e dell'opera; e sorprendente, infine, perché intende dimostrare che vita e opera di quegli anni coincidono con un vero e proprio atto di fondazione della cultura estetica moderna. Dietro il titolo tradizionale c'è, dunque, l'appassionata ricostruzione d'una giovinezza vista come l'emergere di un soggetto moderno e, anzi, di un archetipo della modernità; una giovinezza che qui viene smontata in quanto fase di preparazione e base dei futuri titanismi e classicismi, sottoposta a un processo di revisione insieme storico e analitico, e infine indicata come matrice di tutte le antinomie e di tutte le ambiguità dell'autore. Le quali sono già, per Baioni, le antinomie e le ambiguità dell'artista moderno così come si andrà configurando fino alle soglie dell'età di Nietzsche. Il libro può suscitare qualche obiezione di tipo metodologico, ma il suo autore è uno studioso al quale la conoscenza davvero profonda dei testi dà la libertà di costruire uh altro "giovane Goethe", tutto centrato su un inedito corpo a corpo tra l'uomo e lo scrittore, e più ancora, tra l'uomo, lo scrittore e il femminile. Ne esce fuori non la figura del titano geniale e tanto meno dell'imperturbabile olimpico, bensì quella del "grande depresso e grande melanconico" che Goethe risulta essere stato, la sua intima fragilità e debolezza esistenziale, sempre alle prese con una nevrosi le cui radici affondano proprio negli anni della formazione. Il volume ha una vibrante premessa storica e teorica, nella quale sono indicati i principali punti di riferimento teorico e metodologico: ovvero Burke, Herder, Schiller e Nietzsche (autori sempre molto frequentati da Baioni), che qui vengono ricongiunti in un'ideale linea di sviluppo attraverso una serie di triangolazioni tanto anomale e "inattuali ", quanto suggestive ed efficaci. Il punto di partenza è la poetica del bello e del sublime come era stata delineata da Burke e come si era diffusa in Germania, allorché aveva marcato un significativo spostamento della nascente letteratura tedesca in direzione della cultura inglese. Nella ricostruzione di Baioni il sublime è nato quasi per geminazione dallo spirito del bello, ovvero da un'idea di bellezza ideale fondata su ragione e virtù, che era stata del primo Illu- I segreti del giovane Goethe di Maria Fancelli minismo e che era divenuta insufficiente a rappresentare quella domanda di piacere, di edonismo e di soggettività scaturita dalla prima industrializzazione e dalla nascente cultura borghese. Accanto al bello, il sublime, termine a sua volta carico di tante ambiguità, avrebbe costituito un apparato di difesa, un meccanismo di alternanza utile a conciliare edoni- smo e ascesi, e a regolare gli effetti della nascente estetica delle sensazioni, del piacere, della potenza del soggetto e della sua pienezza vitale. Già in questo primo capitolo troviamo molti suggestivi passaggi e anche i primi audaci spostamenti tra moralità, estetica e vita: per esempio laddove si parla del sublime come categoria della virtù, della conservazione e della presta- zione, espressione della cultura del padre e della legge; mentre il bello sarebbe piuttosto una categoria del piacere, pertinente alla sfera del materno e del femminile, della dispersione e della mutevolezza. Rispetto a quella poetica del bello e del sublime, il giovane Goethe è, secondo Baioni, lo scrittore che rompe il modello burkiano e con esso il fragile apparato di difesa La zattera della paura di Eva Banchelli Harald mueller, La zattera dei morti, in-trod. di Michaela Bùrger, Marsilio, Venezia 1997, ed. orig. 1986, trad. dal tedesco di Saverio Vertone, pp. 120, Lit 22.000. La zattera dei morti è il primo testo di Harald Mueller a essere proposto al pubblico italiano, nonostante l'autore sia fra i rappresentanti di spicco di una drammaturgia tedesca contemporanea che ci sembra incuriosire abbastanza poco i nostri registi e il nostro pubblico, eccezion fatta per alcuni nomi sempre ricorrenti. Einiziativa della Marsilio appare dunque preziosa, tanto più perché supportata dalla pregevole qualità della traduzione di Vertone, sensibile interprete dei molteplici dissonanti registri linguistici su cui si fonda la forza provocatoria e nichilista dell'originale. La scelta all'interno della produzione di Mueller era quasi obbligata, dato che è soprattutto grazie a questo dramma che lo scrittore (nato nel 1934) si è imposto sui palcoscenici tedeschi. La pièce, scritta su commissione nel 1984, è infatti assurta a clamoroso successo nella stagione teatrale 1986, quando la tragedia di Cernobyl trasformò repentinamente quella che poteva sembrare una fiaba apocalittica sul futuro del mondo, alla maniera di Orwell e di Huxley, in un'agghiacciante radiografia del nostro presente. Tre uomini e una donna, espulsi come relitti appestati dall'ultima Area Abitabile ("AAB") di un mondo ormai irreversibilmente contaminato, navigano alla deriva sul Reno alla ricerca diXanten, Itaca di una salvezza impossibile. La pièce ripropone, in una versione tragicamente terminale, il topos dell'odissea, della quète, del viaggio che si snoda qui attraverso un paesaggio renano spogliato di qualsiasi valenza mitica ed eroica, adibito com'è a sinistro ombelico del disastro. I personaggi portano con sé un esistere ormai ridotto alle mere pulsioni primarie e un linguaggio brutale ed elementare nel contempo ("tutto il body è affanculo"), fatto di disarticolati brandelli gergali in cui predomina lo slang americano del cinema e dei fumetti, di schegge di codici comunicativi dispersi, di meteore sintattiche annegate in una logorrea paranoica. Da questo incessante parlare e dirsi, ultima testimonianza della loro presenza nel deserto, si lasciano ricomporre di tanto in tanto traumatici frantumi di una memoria da cui non può scaturire alcuna redenzione. I quattro sono accomunati dalla paura del contatto fisico con qualsiasi altro essere vivente o cosa, unita a una coazione grottesca a controllare, o meglio a "checkuppare" con ogni pos- ' sibile strumento il grado di pericolosità di ciò che li circonda. Questa ossessione, che finisce per creare tra loro, paradossalmente, un legame di umana, ancorché impotente solidarietà da naufraghi, è così assoluta da svelare ben presto il suo senso di metafisico terrore del confronto, della vicinanza con la verità. È proprio la centralità del sentimento della Laura a dilatare gli orizzonti di questo testo, che da dramma di denuncia ecologica diventa lacerante apologo sulla condizione umana nell'epoca della minaccia permanente, di cui Mueller, con lucida intransigenza, rinviene Fatti in casa Angelo Morino, il cinese e Marguerite, Sellerio, Palermo 1997, pp. 133, Ut 22.000. L'opera: una biografia della scrittrice Marguerite Duras attraverso la rilettura della sua opera più popolare, L'amante (1984), sullo sfondo d'un romanzo scritto trentaquattro anni prima, Una diga sul Pacifico. Sessualità: L'amante è la storia di Marguerite adolescente, nell'atmosfera dell'Indocina, dove era nata figlia di insegnanti francesi ed era vissuta dal 1914 al 1932. Ed è la storia della sua Iniziazione sessuale con un giovane cinese, "vissuta all'insegna della libertà più completa per una giovane donna". Complicità: Una diga sul Pacifico, tradotto in Italia nel 1951, è la storia di una ragazzina, Suzanne, che con la madre vedova e il fratello Joseph vive in una piantagione invasa dalle maree. Complice l'indigenza Suzanne è spinta ad accettare il corteggiamento di un giovane cinese figlio di un possidente. Rivelazioni: partendo da tracce indicate dalla stessa Marguerite Duras, in particolare con Les parieuses, conversazioni del 1974, Morino ricostruisce, attraverso una rete di indizi, come in un racconto giallo, i legami e le sovrapposizioni fra le due storie e altri testi, com e L'amante della Cina del Nord. Conclusioni: Il cinese e Marguerite diventa la vicenda interiore di Marguerite Duras, che sfiora i temi dell'incesto, dell'omosessualità, della ricerca del padre, In un gioco di segni che ritorna sempre a quelle due bambine che furono all'inizio della storia, grande fonte di tutto il lavoro letterario della scrittrice. "Eindice" non recensisce i libri dei membri del Comitato di redazione, ma ne dà conto in questa rubrica a cura della direzione. contro l'insorgenza del principio del piacere, e che distrugge la convenzione di quella terapeutica alternanza. È Goethe il primo che separa nettamente i due principi, mostra l'uomo inesorabilmente diviso, e in Prometeo e Ganimede crea due inni che più di ogni altra opera rendono esplicita la divisione tra il momento dell'energia creatrice e quello dell'abbandono e dell'eros cosmico. Ma è soprattutto nell'Urfaust, e più precisamente con la figura di Mefistofele, che il giovane Goethe fa entrare in scena il più tipico esponente "del principio del male", del consumo e del nulla; e, con Mefistofele, quel vitalismo che è soltanto un altro volto del nichilismo prossimo venturo (p. 99). In quali forme il giovane Goethe attui questa rottura, sperimenti su di sé l'accelerazione del mutamento storico e ne individui una via di uscita nell'esercizio della poesia, è il tema svolto nelle quasi quattrocento pagine di questo libro, che ripercorre le tappe canoniche della formazióne del poeta, ma ne rovescia termini e cristallizzate consuetudini di lettura, mettendo da parte, per esempio, una categoria forte come lo Sturm und Drang e spostando tutto l'asse del discorso sul vissuto e sul rapporto con il femminile. In questa ricostruzione globale della giovinezza di Goethe, tutta incentrata sul contrasto tra desiderio e lavoro artistico, ha un posto chiave il capitolo intitolato Francoforte: il processo di Gretchen. Anche qui Baioni ha frugato dove pochi studiosi di Goethe sono andati a frugare: in un progetto abbandonato sulla storia di due amanti, in una filastrocca composta a sedici anni contro la concezione leibni-ziana del mondo, e soprattutto nell'episodio rimosso dalla critica, che concerne il primissimo incontro del poeta con una donna, seguito da un inatteso e spiacevole processo. Si tratta della cosiddetta "Gret-chen-Episode", una storia di seduzione e di intrighi, di contraffazioni e di travestimenti che avviene sullo sfondo per niente idillico di una Francoforte sospesa tra medioevo e tempi nuovi. Baioni annette grande significato a questo episodio perché fu esso a provocare nell'esordiente poeta una forte depressione e poi una totale immersione nello spazio domestico; nel quale egli visse, con la segreta complicità della giovane madre e in evidente opposizione al padre, un rapporto di tipo incestuoso con la sorella Cornelia e una condizione di felicità che lo stesso Baioni, con un audace salto in avanti, compara a quella della pianta che in sé unisce il maschile e il femminile, e che tanta parte avrà nella fondazione del classicismo. Le tappe successive seguono tutte lo stesso schema interpretativo e hanno al centro una relazione femminile e i suoi risvolti sulla coscienza e sulla vocazione artistica di un giovane educato nel cerchio dell'etica luterana. Nell'orizzonte metropolitano di una città ben più moderna di Francoforte quale è Lipsia Kàthchen Schònkopf gli appare come una perversione del femminile domestico e come una minaccia, alla quale si sottrarrà con una malattia che è una vera "astuzia vitale", non senza l'angoscia di chi constata la separazione sempre più fatale tra eros e moralità, tra identità di scrittore e passione amorosa. Il ritorno a Francoforte e il tempo della convalescenza favoriscono la meditazione e la metamorfosi: qui la cultura ermetica, che è vissuta da Goethe sostanzialmente come cultura estetica, rafforza la sua scelta in favore della letteratura e di una resistenza alla passione amorosa, sentita come dissipazione di forze vitali. Forse qui Baioni esaspera il potenziale dell'ermetismo visto come un'anticipazione della moderna semiologia e teoria della letteratura, ma certamente Goethe lo ha vissuto in funzione simbolica e poetica. L'amore di Strasburgo per la figlia del parroco di Sesenheim, con un altro episodio di travestimento e di seduzione, sanziona ormai la diversità dello scrittore, il narcisismo, la doppiezza, la necessità della rinuncia. La vera svolta è dopo Strasburgo,