GIUGNO 1997 N. 6, PAG. 10 Lutti americani e paesaggi inglesi Andrew Vachss, Nato sotto una cattiva stella, Frassinelli, Milano 1997, ed. orig. 1987, trad. dall'inglese di Maria Teresa Ma-renco, pp. 373, Lit28.500. Per Andrew Vachss scrivere racconti è come combattere su di un ring molto piccolo ed è proprio per il carattere circoscritto e fulmineo dei suoi incontri che riesce a essere corrosivo, percorrere traiettorie lineari e veloci che vanno a colpire dritte nello stomaco. Le storie di Vachss, avvocato di New York con un passato di direttore di carceri di massima vigilanza, non hanno niente a che vedere con quelle di Grisham: sono diaboliche vignette di violenza spesso raccontate dalla voce narrante dei protagonisti, personaggi che sono carnefici ma anche vittime del proprio passato, uomini e donne che dimorano nell'ombra delle loro perversioni. Vachss è il custode delle menti dei suoi personaggi e ci fa entrare proprio come fossero appartamenti, stanze buie in cui troviamo prove di atti osceni, udiamo voci incessanti di vite infernali. Una di queste voci è quella dell'autorità: un esercito di poliziotti, medici, psichiatri capaci solo di "sorvegliare e punire". Nato sotto una cattiva stella è difficile da etichettare. Come afferma l'autore stesso nell'introduzione non è esattamente noir né splatter. "Chi è interessato alle etichette, qui troverà dei buoni motivi per utilizzarle tutte, daW hardboiled all'homo/', una raccolta di racconti - alcuni meglio riusciti di altri - che non può lasciarci indifferenti. Silvia Maglioni Loredana Bolzan, La fragilità del cuore. Oblio e lutto nella "Recherche", Supernova, Venezia 1997, pp. 147, Lit 18.000. Fra i proustisti della nuova generazione, Loredana Bolzan, con questo acutissimo studio, si conquista un posto non secondario. Nello sfacelo del tempo, nella discontinuità degli esseri, nel crollo di ogni illusione d'amore, nella perdita e nella separazione, fra lutto e oblio, si consuma e si corrode l'immane cattedrale della Recherche. L'opera cui è consegnato il Narratore è quella di un'elaborazione del lutto attraverso la scrittura. Non possiamo trovare se non quel che è già stato perduto. La centralità del lutto come premessa all'arte viene analizzata in pagine di grande sensibilità critica e di estrema sintonia con il tema trattato. Giovanni Cacciavillani James Ellroy, I miei luoghi oscuri, Bompiani, Milano 1997, ed. orig. 1996, trad. dall'americano di C.S. Perroni, pp. 430, Lit 29.000. La vita e l'opera di James Ellroy sono state profondamente influenzate dalla morte violenta della madre, strangolata in una strada sperduta nella contea di Los Angeles il 22 giugno 1958. Ellroy aveva soltanto dodici anni. Il caso è rimasto insoluto. Quel 22 giugno ha cambiato la vita di Ellroy: prima un'adolescenza "maledetta", segnata dalla droga e dall'alcol; poi una rinascita che lo ha condotto a diventare uno dei più apprezzati scrittori di noir di oggi. E ciò soprattutto perché quasi tutti i suoi libri, in forma sotterranea o esplicita, sono sostanziati dall'incubo di quella morte, sono ossessioni in forma di libro. E allora è fin troppo facile affermare che I miei luoghi oscuri, ultimo suo libro, è la conclusione di questi incubi, perché ne è la loro assunzione più diretta. La morte della madre sto, la moglie diviene anche figlia, le figlie sorelle, in un continuo scambio di ruoli attraverso cui i legami di parentela appaiono i protagonisti di una trama spoglia di eventi. Se pure alla fine scopriamo che in realtà si è trattato di un tragico equivoco, e la condizione di "normalità" viene restaurata, il passato scava un'impronta che contamina il presente. Le parole, lungo le quali scorrono i dialoghi, costruiti su veloci, vivaci e ininterrotti scambi di battute, ritrovano la macchina per eccellenza, il treno, squarcia il paesaggio, e imposta sulla velocità il ritmo innaturale della vita dell'uomo. Oltre, attraverso gli ultimi capolavori dickensiani, l'obiettivo critico dell'autrice si fissa su Londra, centro di morte e desolazione in cui la voce dell'idillio sembrerà ormai spenta del tutto. Lo sguardo sulla metropoli informe, sommersa da fango, nebbia e rifiuti, rivela dunque definitivamente distrutto il legame tra uomo e natura e racconta di non è più filtrata attraverso il diaframma romanzesco. Ellroy la fronteggia direttamente, questa morte. Anni dopo il delitto ha assoldato un investigatore con l'obiettivo disperato di trovare l'assassino della madre. E così rivive, in modo ossessivo, per un intero anno, ogni aspetto della vicenda, ogni piega dei ricordi di quella storia e dei rapporti con i suoi genitori. I miei luoghi oscuri è il diario di questa esperienza, scritto con sapiente tensione giallistica. Esso racconta sia la cronaca dell'indagine dell'epoca sia la nuova indagine di Ellroy e del suo detective, a caccia dei fantasmi di quel 1958. Andrea Bosco Ivy Compton-Burnett, il buio e la luce, postfaz. di Laura Lilli, La Tartaruga , Milano 1996, ed. orig. 1951, trad. dall'inglese di Alfredo Tautino, pp. 278, Lit 28.000. Scritto in tempi moderni, Il buio e la luce appare in realtà ancorato a un mondo e a una tradizione antica che risale fino alla tragedia greca, presente nei temi e nella struttura costruita sul dialogo. Di essa, inoltre, il romanzo conserva in maniera evidente tracce dell'impianto narrativo, quando l'assetto "naturale" della vicenda e della vita dei personaggi è sconvolto e ristabilito da rivelazioni improvvise. Queste scoperte imprevedibili, artificiosi espedienti narrativi, convergono l'attenzione del lettore sulla conoscenza dell'identità dei singoli individui e sui problemi a quella collegati. Così, ad esempio, un matrimonio si trasforma in ince- dunque il loro significato originario, e i nomi il loro valore reale, ma la confusione dell'identità permane dietro l'apparenza, e nulla può tornare più come al principio. Darkness and Day, oscurità e giorno saldamente opposti, eppure uniti dall'assonanza iniziale che li lega, mostrano sulla scena i differenti volti dei singoli protagonisti, rivelando dietro la luce l'ombra, quella forma opaca e buia che proiettano i corpi nel bel mezzo di una qualunque giornata di sole. Angela Massenzio Rossana Bonadei, Paesaggio con figure. Intorno all'Inghilterra di Charles Dickens, Jaca Book, Milano 1996, pp. 194, Lit 28.000. Seguendo il percorso di Rossana Bonadei si finisce, in maniera non troppo dissimile da un personaggio di Dickens, con l'intraprendere un viaggio attraverso i luoghi dell'Inghilterra vittoriana. Una sequenza di immagini ritrae in primo piano la trasformazione violenta del paesaggio alla svolta del secolo; le figure dei romanzi dickensiani scorrono davanti al lettore-viaggiatore evidenziando, nella struttura dei testi, connessioni e rotture con un genere narrativo legato alla tradizione e destinato a scomparire dalla scena letteraria del tempo: l'idillio. Partendo dalle opere d'esordio in cui si può ancora osservare la dicotomia settecentesca città-campagna, ci addentriamo, con i grandi romanzi, nello scenario industriale del mondo urbano, dominato dalla figura regnante della fabbrica che tutto omologa a sé, e in cui un nuovo ambiente dai contorni oscuri, imprecisi, e impenetrabili dall'espressione artistica che registra così, paradossalmente, il fallimento della propria visione. Eppure Dickens potrà guardare e farci meglio osservare quelle figure nascoste tra fumo e foschia, o coperte sotto la cenere, e dar loro un significato proprio attraverso la rinnovata lente dell'idillio. (a.m.) Bill Morris, Motor City, Einaudi, Torino 1997, ed. orig. 1992, trad. dall'inglese di Annalisa e Giampiero Cara, pp. 382, Lit 32.000. Fattoidi: nella sua biografia di Marilyn Monroe Norman Mailer avverte i lettori che quello che leggeranno è uno strano ibrido tra realtà e finzione. Ancora fattoidi: in questo divertente e amaro romanzo ambientato in una Detroit degli anni cinquanta tiranneggiata dall'industria automobilistica, Bill Morris, ex disc-jockey e pony-express, crea un universo di contaminazioni tra storia e invenzione romanzesca. Anche qui si incontra Marilyn, in compagnia di Joe Di Maggio. Si incontrano Eisenhower, il senatore McCarthy - "Morey corse a casa. Voleva farsi una doccia. McCarthy, a dire il vero, lo faceva sentire sporco fisicamente" -, Jack Ke-rouac, Miles Davis, Elvis Presley, e all'università di Cornell ci si imbatte persino in "un russo pazzo che colleziona farfalle nel tempo libero e scrive astrusi romanzi". Con un movimento di macchina a spirale Motor City, ricordando l'impianto narrativo di America oggi di Robert Altman, riprende frammenti di vita di personaggi al principio scollegati tra loro e li fa avvicinare lentamente verso un centro comune occupato dalla General Motors, dalla mentalità aggressiva dei suoi uomini, da relazioni umane fatte di arrivismo e tradimenti. Solo Harvey, mentre guida la sua Buick, viene abbagliato dalla spaventosa luce di vuotezza irradiata da Detroit. "Aveva trascorso tutta la grò-pria vita adulta a passare in macchina davanti a quei luoghi senza mai farci caso, ma ora gli sembravano scenari da incubo. Erano quasi sufficienti a fargli desiderare il paesaggio di Hiroshima, resti di boschi e di lamiera sottile. Almeno quella città, a differenza di questa maledetta massa confusa e brulicante, era stata purificata dal fuoco e aveva capito la vanità del potere". Ma per gli altri personaggi, la General Motors rimane l'unico mondo possibile. (s.m.) "Americana", mensile diretto da Romano Giachetti, anno I, nn. 1 e 2, Editalia, Roma 1997, Lit 5.000. "Americana", il nuovo mensile diretto da Romano Giachetti, è una rivista sull'America dal punto di vista degli americani. Leggiamo sul primo numero: "Noi siamo convinti che gli americani daranno un'idea dell'America meglio di chiunque altro". Così "Americana" è una pubblicazione italiana stampata a Roma, ma è redatta interamente negli Stati Uniti, da studiosi americani. Dietro a una grafica di stampo classico, tipica delle riviste di cultura americana, con fotografie rigorosamente in bianco e nero, qual è lo stile della nuova pubblicazione? Innanzitutto notiamo una salda base nella letteratura americana, con rievocazioni (Francis Scott Fitzgerald, Henry James, Arthur Miller) e interviste (Alien Ginsberg, Harold Brodkey); inoltre, per tutti quelli che ne avessero bisogno, Giachetti offre una breve storia in due parti dei principali movimenti letterari americani. Ma non c'è solo la letteratura; gli articoli presènti danno un'immagine dell'America nei suoi diversi aspetti, specchio di una società complessa come quella americana: la società, la politica, l'arte, la musica, il cinema e la scienza. Se mai, la letteratura è spesso l'occasione per tuffi in altri campi. Un elemento chiave è ii confronto con il passato recente in cui trovare le ragioni dei fenomeni attuali; basta sfogliare le pagine dei primi numeri per trovare conferma: i grandi presidenti del passato e la nuova presidenza, ■ la fine dell 'American dream, il razzismo ieri e oggi, Broadway, il femminismo, Glenn Miller, ecc. Collaborano alla rivista scrittori, giornalisti, critici e studiosi apprezzati e conosciuti in America e all'estero, fra cui figurano alcuni nomi eccellenti: Noam Chomsky, Edgar L. Doctorow ed Erica Jong, per citarne solo alcuni. Fra le rubriche, segnaliamo "L'America in numeri", utilissima raccolta di dati statistici (demografici, economici, ecc.). Come scrive Giachetti "Americana" è quindi una "finestra sull'America del presente e del passato, senza tralasciare le premonizioni del futuro". Barbara Webster