GENNAIO 1997 Giuseppe Volpato, Il caso Fiat. Una strategia di riorganizzazione e di rilancio, Isedi, Torino 1996, pp. 452, Lit 50.000. Il titolo illustra bene l'impostazione del libro. Non si tratta infatti di una storia della Fiat (più precisamente si dovrebbe parlare di una storia della Fiat Auto all'interno del gruppo Fiat) quanto piuttosto di un'analisi delle strategie che la Fiat ha messo in atto nel suo secolo di storia, in rapporto all'evoluzione dell'industria automobilistica internazionale. Uno degli aspetti più interessanti del libro è proprio questo costante riferimento al quadro competitivo, in modo da mettere in evidenza i processi decisionali, le strategie effettivamente intraprese nonché quelle potenzialmente percorribili. L'ottica è quindi da economista di impresa piuttosto che da storico, ma ciò non impedisce all'autore di muoversi con grande abilità e competenza in campi diversi dall'economia, quali la storiografia e soprattutto la sociologia dell'organizzazione: un'ampiezza di orizzonti, nonché una ricchezza di dati e di fonti bibliografiche, che rendono il testo una lettura di grande interesse, oltre che un utile strumento per i corsi universitari. Concentrando qui l'attenzione sul secondo dopoguerra, le vicende Fiat sono contrassegnate da due momenti di profonda crisi, quello che segue la prima crisi petrolifera e quello dei primi anni novanta, ambedue seguiti da efficaci strategie di rilancio. Volpato pone in evidenza come, nei due casi, il rilancio si sia fondato sulla capacità di rinnovare l'organizzazione dell'impresa: per gli anni ottanta una delle chiavi del successo è consistita proprio nel "cambiare la struttura per riagganciarsi al mercato", ovvero nel passaggio da un'impresa fortemente verticalizzata e concepita come un monolito da Vittorio Valletta a un'impresa divisionalizzata, dove si operarono accorpamenti di attività omogenee, cessioni di quelle non più considerate strategiche e dove vennero ricercati accordi finanziari e joint ventures produttive. A questa riorganizzazione si associarono anche un profondo rinnovo della struttura manageriale (entrarono infatti in quegli anni De Benedetti, che uscì peraltro dopo pochi mesi, Ghidella, Romiti), una decisa ristrutturazione produttiva (che ridusse gli occupati del settore auto, tra il 1979 e il 1987, di quasi il 40 per cento), un'introduzione massiccia di automazione (come negli stabilimenti di Termoli e di Cassino) e il rinnovo della gamma produttiva (il lancio della Uno, in particolare). Da non trascurare, infine, il risanamento di una situazione finanziaria particolarmente grave alla fine degli anni settanta. Una conseguenza di questa strategia fu però la riduzione della presenza produttiva e commerciale all'estero e la concentrazione sul mercato italiano, la cui crescita tuttavia trascinò la Fiat alla posizione di leader europeo alla fine degli anni ottanta. Alcuni aspetti del successo degli anni ottanta si tradussero però in altrettanti elementi di aggravamento della successiva crisi di inizio anni novanta. La concentrazione delle risorse sul mercato italia- £ C'O-tVO-W^CCi' Fiat Auto vita snella di Aldo Enrietti no si rivelò una strategia debole nel medio periodo: quando, a partire dal 1992, il mercato domestico fece registrare un drastico calo di immatricolazioni, a cui si aggiunse una notevole perdita di quote di mercato della Fiat a seguito di aggressive politiche dei prezzi dei concorrenti, la ridotta presenza all'estero non consentì di recuperare le perdite sul mercato inter- forma prima della politica della Qualità Totale e poi della diffusione della Fabbrica Integrata. L'autore parte da questa constatazione per sviluppare un'interessante discussione sulla produzione snella in generale (il toyotismo) e il suo rapporto con il fordismo. La tesi di Volpato è che, mentre il taylorismo è un modello rigido orientato al determinato e al controllabile a priori, il toyotismo rappresenta "il passaggio ad una metodologia scientifica dei problemi dell'indeterminato, del non programmabile, dell'imprevedibile", con i soggetti che intervengono per superare le rigidità del processo. In sintesi, la produzione snella costituisce per Volpato un tentativo di ibridazione di una "scienza degli oggetti" (taylorismo) con una "scienza no. Un altro elemento di aggravamento della crisi fu conseguenza della precedente politica di allargamento della rete distributiva in Italia, che condusse a una concorrenza tra concessionari della stessa marca, con riduzioni dei margini di profitto e della qualità del servizio offerto e relativa perdita di clienti. Inoltre, il successo della Uno fornì la convinzione della non urgente necessità di un rinnovo della gamma. L'analisi delle modalità con cui la Fiat ha affrontato ed è uscita dalla crisi degli anni novanta costituisce, per il suo carattere di maggiore attualità e per la valenza teorica che in essa è contenuta, la parte più stimolante del libro. Per la Fiat Auto questo inizio di decennio si caratterizza per un processo riorganizzativo che "non ha precedenti per ampiezza e profondità" e che vede l'introduzione dei principi della produzione snella sotto RICONOSCENDO LE ORME DI CHI CI HA PRECEDOTO SI VA AVANTI. FINCHE SI SCORGE IN NANZI A NOI ONA Per questo ti chiede di abbonanti. Pe Linea d'ombra si occupa da dieci anni di letteratura, storia, filosofia, scienze e spettacolo. Di società e di politica. D'Italia e del mondo. Non sono stati anni facili, come dimostra il presente che tutti stiamo vivendo. LINEA D'OMBRA.»»., Ma sono stati anche anni di libertà. 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Il successo di un'impresa è funzione quindi della capacità di combinare questi due aspetti dando una propria impronta al nuovo modello organizzativo. Come si è mossa la Fiat Auto nell'introduzione della produzione snella? La consapevolezza della necessità di una profonda riorganizzazione si è tradotta nel Piano della Qualità Totale lanciato da Romiti alla fine del 1989, la cui attuazione ha richiesto un profondo e generalizzato mutamento del modo di gestire l'impresa, nei confronti tanto dei lavoratori, quanto dei fornitori, dei clienti e dei concessionari. Volpato analizza, con dovizia di particolari, i vari aspetti della riorganizzazione che ha permesso un secondo rilancio della Fiat Auto: un nuovo gruppo dirigente con Cantarella amministratore delegato, la centralità del cliente esterno e interno, il rinnovo della gamma dei modelli, la co- • struzione del rapporto di partnership con i fornitori, l'internazionalizzazione produttiva, la diffusione della Fabbrica Integrata e i nuovi stabilimenti di Melfi e Pra-tola Serra. Ci si può chiedere, rispetto all'esempio toyotista, come abbia funzionato in Fiat il modello "partecipativo": la riduzione dei livelli gerarchici, l'organizzazione per processo piuttosto che per funzione, l'istituzione delle "piattaforme", la costituzione delle Ute (Unità Tecnologiche Elementari) e le nuove figure professionali dei Cpi/Opi (Conduttore/Operatore di processi integrati) stanno a significare come il coinvolgimento, ia partecipazione siano, per lo meno come modello, arrivate relativamente in basso nella scala gerarchica. Meno innovativo appare invece il ruolo degli operai generici di linea e proprio sulla capacità di superare questo limite Volpato individua la possibilità che il modello della produzione snella possa ancora fare passi avanti. Sul tema della partecipazione e del consenso sarebbe però stato certamente utile un confronto con la strategia fortemente innovativa, sul piano degli esuberi di manodopera, messa in atto dalla Volkswagen negli ultimi tre anni per fronteggiare la crisi: la proposta dell'orario di lavoro di ventotto ore e del credito di tempo da spendere verso gli anni di fine lavoro indicano, certamente in un contesto politico e sociale profondamente diverso, una capacità innovativa sul piano delle relazioni industriali che non si è avuta in Italia. Un libro completo, ricco di informazioni e di stimoli, in cui Volpato, da lungo tempo studioso dell'auto e della Fiat, fornisce un quadro interpretativo unitario delle vicende Fiat ponendo in evidenza come, in due momenti cruciali del secondo dopoguerra, il fattore di successo nel rilancio sia stata la capacità di ripensare profondamente la struttura dell'impresa.