OTTOBRE 1997 ù e Ò~tcrVÒc\- N. 9, PAG. 26 lo borghese pesante era il condizionamento della paura di fare passi falsi; in altri e più numerosi casi per mera opportunità. Per mera opportunità, non per opportunismo ché (...) parlare tout court di opportunismo ci pare nella maggioranza dei casi eccessivo e soprattutto troppo semplicistico". Insomma: i sostenitori del fascismo repubblicano erano pochi, i simpatizzanti per la resistenza erano più numerosi, anche se molto meno di quanto non affermi "la retorica resistenziale". Ma ciò che conta è la "grande zona grigia composta da coloro che si sforzavano di sopravvivere tra gli uni e gli altri, per dirla con Mussolini con 'rassegnato fatalismo' e che è impossibile qualificare socialmente perché era espressa da tutti indistintamente i ceti, compresi, checché sia stato spesso sostenuto, quelli operai". Siamo dunque alla questione dei consenso all'antifascismo resistenziale che - come è noto - è motivo di vivace controversia tra gli storici. Ritengo che la questione non si risolva con conteggi materiali più o meno plausibili, ma approfondendo l'analisi sulla capacità di attrazione e di repulsione delle grandi opzioni ideali e politiche che si confrontavano allora in una comunicazione pubblica molto ristretta e deformata. I limiti della comunicazione sono un dettaglio che non va trascurato quando si parla di consenso e di dissenso nell'Italia del 1943-45. All'interno di questa problematica De Felice si concentra su due elementi particolari: sul ruolo dominante dei comunisti nella gestione politica e ideologica della resistenza e, sull'altro fronte, sulla componente nazional-patriottica (al limite afascista) di alcuni settori della Rsi. Questo secondo aspetto riveste molta importanza nella ricostruzione di De Felice, perché si inquadra nella tesi generale della guerra civile come crisi della e nella nazione italiana. Molti militari che si schierano con la Rsi non lo fanno per filofascismo, ma per patriottismo, entrando spesso in conflitto con la linea "politica" del neofascismo. In quest'ottica, viene presentato un personaggio molto popolare nella Rsi: Junio Valerio Borghese, il capo della X Mas, una formazione militare che viceversa in molta memorialistica partigiana appare come l'espressione più intransigente del neofascismo re- * pubblicano. De Felice, mettendo in luce gli atteggiamenti "apolitici" e "nazionalisti" di Borghese, non indulge ad alcuna "riabilitazione" nazional-patriottica di quel tipo di militari di cui evidenzia cecità e contraddizioni. Ma il quadro che esce da questa analisi è un importante passo in avanti nella conoscenza del mondo della Rsi - o meglio delle motivazioni soggettive dei suoi sostenitori. Compresa la famosa/famigerata X Mas, di cui vengono ricordati "tre stadi: 1) la X combatte per l'onore della patria; la sua guerra è contro il nemico invasore dell'Italia e non ideologica e di partito, che divide gli italiani invece di unirli nel nome della patria, e dunque la X non combatte i partigiani; 2) se però i partigiani si accaniscono contro di essa, vendichi i suoi morti; 3) ogni forma di clemenza verso i partigiani dettata al governo o al partito fascista da considerazioni di ordine politico non può essere accettata e non riguarda la X: i nemici attivi della patria, coloro che uccidono chi ne difende l'onore e il territorio non possono trovare clemenza". Basta questa citazione per intrawedere le esplosive contraddizioni di quel corpo scelto militare, emblematico per l'intera Rsi. Veniamo al ruolo egemonico dei comunisti nella resistenza. De Felice distingue nettamente il riconoscimento dell'efficienza e dedizione alla lotta antifascista dei comu- nali, abbiano contribuito a metter in moto una democrazia, sia pure imperfettissima, dopo un ventennio di dittatura - sono dati di fatto che richiedono una spiegazione. Non mi sembra sufficiente continuare a ribadire le cattive intenzioni dei comunisti che avrebbero pregiudicato quel poco di buono che c'era nella resistenza democratica. Da uno storico come De Felice, che contrappone la sua storia "oggettiva" a quella "ideologica", ci saremmo aspettati che dopo aver fermamente criticato la "vulgata" di sinistra ci spiegasse perché dalle cattive intenzioni comuniste La vita e i libri Jtgiudizi del26 maggio '96 "Revisionismo negativo è quello che corregge la storia passata negando o occultando fatti accertati, revisionismo positivo è invece quello che corregge la storia scoprendo e accertando nuovi fatti che servono a modificare interpretazioni precedenti. Il revisionismo di De Felice è di questo secondo tipo. Se mai, se un'obiezione può essergli mossa, non riguarda tanto il suo contributo a rivedere la nostra storia recente, 1929 Renzo De Felice nasce a Rieti l'8 aprile. 1956 Iscritto al Pei, ne esce in seguito ai fatti di Ungheria. È uno dei firmatari del "manifesto dei 101 intellettuali" contro la repressione sovietica. 1960 Pubblica per le Edizioni di Storia e Letteratura il primo studio di storia moderna, La vendita dei beni nazionali nella Repubblica Romana del 1798/99, cui seguiranno Italia giacobina (1965) e Aspettative e momenti della vita economica di Roma e del Lazio nei secoli XVIII e XIX (1965). 1961 Pubblica il primo libro di Storia contemporanea: Storia degli ebrei sotto il fascismo (Einaudi). 1965 Inizia la pubblicazione della monumentale biografia su Mussolini con il primo volume: Mussolini il rivoluzionario (1883-1920). 1966Seconda sezione della biografia Mussolini il fascista, con il primo volume La conquista del potere, 1921-1925. Il secondo volume, L'organizzazione dello stato fascista, 1925-1929, uscirà nel 1968. 1968 Ottiene la cattedra di storia delle dottrine politiche all'Università di Salerno, per passare poi in seguito alla Sapienza di Roma, dove insegnerà storia dei partiti politici. 1974 Terza sezione della biografia: Mussolini il Duce. De Felice analizza con il primo volume Gli anni del consenso, 1929-1936. 1975 Esce da Laterza Intervista sul fascismo, a cura di Michael Leeden, libro destinato a suscitare molte polemiche. 1978 Pubblica il volume Ebrei in un paese arabo. Gli ebrei nella Libia contemporanea tra colonialismo, nazionalismo arabo e sionismo (1835-1970). 1981 Secondo volume di Mussolini il Duce, Lo stato totalitario (1936-1940). 1987In un'intervista rilasciata a Giuliano Ferrara sul "Corriere della Sera" all'indomani di un incontro fra Craxi e Fini, definisce "grottesche" le norme costituzionali che limitano la ricostruzione del partito fascista. Nuove polemiche. 1990 Esce il primo volume di Mussolini l'alleato, ultima edizione della biografia. Riceve il premio Giovanni Volpe. 1992 Durante un'ondata di attentati da parte di gruppi naziskin in Germania e in Italia, all'Università La Sapienza di Roma viene impedita da gruppi di studenti una sua prolusione. 1995 Esce il pampleth Rosso e nero (Baldini & Castoldi), scritto con Pasquale Ches-sa, ancora al centro di roventi polemiche. 1995-96 La malattia che lo colpisce da più di vent'anni si fa grave. E di questo periodo l'incontro a Torino con Norberto Bobbio, per uno scambio di opinioni dopo l'uscita di Rosso e nero, promosso da "Reset" e "Panorama", e la polemica a distanza sul compito degli storici e della storiografia con lo stesso Bobbio sulle pagine de "La Stampa". 19961125 maggio muore a Roma. 1997 Esce postumo l'ultimo volume di Mussolini l'alleato, La guerra civile 1943-1945, ultimo capitolo di una monumentale biografia di quasi seimila pagine. nisti dalla denuncia del loro intento politico antidemocratico. A questo proposito De Felice non cerca attenuanti, non fa grandi distinzioni e sfumature. A sostegno della ripresa delle tradizionali posizioni critiche della letteratura e memorialistica anticomunista (anche di tradizione liberaldemocratica) lo storico porta oggi le recenti scoperte negli archivi dell'ex Urss. "La disponibilità degli archivi mssi non lascia ormai più dubbi sul fatto che la politica del Pei fu concepita e diretta da Mosca in funzione della realizzazione dei propri obiettivi di espansione diretta e indiretta e che i dirigenti comunisti italiani aderirono totalmente ad essa". Anche qui - ammesso che la spiegazione sia così semplice - rimangono interrogativi decisivi che lo storico non affronta. Che la storia politica italiana abbia preso un'altra strada, che i comunisti, a dispetto dei loro intenti rivoluzio- è uscita (magari preterintenzionalmente) un'altra cosa. La domanda è legittima perché giustamente De Felice, a differenza di altri storici, non imputa alla incombente "guerra fredda" la spiegazione dei tratti caratterizzanti la democrazia italiana, ma fa risalire esplicitamente agli eventi del 1943-45 la formazione degli orientamenti di fondo che determineranno la politica del primo dopoguerra. Questi miei rilievi critici non tolgono nulla al riconoscimento che il volume di De Felice sia uno di quei lavori scientifici da cui si esce più ricchi non solo di conoscenze, ma di dubbi e interrogativi che spingono avanti la ricerca. Dopo questo lavoro la storiografia sulla guerra civile 1943-45 non potrà più essere la stessa. Anche se aspettiamo ancora chi "sulle spalle" di De Felice - e di altri storici - risponda ai quesiti che ci siamo posti. quanto l'avere, con questa revisione, indubbiamente favorito una diminuzione del contrasto tra fascismo e antifascismo, da un lato cercando attenuanti al primo, dall'altro aggravanti per il secondo, con il risultato di metterli sullo stesso piano". Norberto Bobbio, "La Stampa". "Renzo De Felice è stato uno dei più importanti storici europei. Come nessun altro ha saputo riunire, nel suo lavoro di studioso, il gusto del dettaglio con la grande visione di insieme e soprattutto 0 coraggio di tesi impopolari". Ernst Nolte "La Stampa". "Aveva un eccezionale fiuto nello scovare i documenti più rari ed occulti. Ma non era tanto un dono di natura, quanto il frutto di un metodo rigoroso". Alessandro Galante Garrone, "La Stampa". "Si è detto, io pure lo dissi, che l'opera di De Felice, tesa a cercare la realtà dei fatti, lontana, da ogni sospetto agiografico, avrebbe favorito una presa di coscienza che contribuì a portare quella parte di italiani che si riconosce nel partito di Fini a legittimarsi democraticamente. L'ho pensato e lo penso tuttora. Questo, e non ultimo, è il merito di Renzo De Felice, che ora gli italiani tutti possono e debbono onorare con gratitudine". Giulio Einaudi, "La Stampa". "Uno storico di prim'ordine, che ha contribuito positivamente a chiarire la drammatica storia italiana del ventesimo secolo (...) Va riconosciuto a lui il grande merito di aver fatto storia in un modo diverso, senza la partigianeria che per lungo tempo c'è stata quando si scrivevano libri sul fascismo". Denis Mack Smith, "l'Unità". "De Felice ha scelto di dedicarsi esclusivamente al fascismo percorrendo la via della documentazione ricca e impeccabile, sul piano, come si dice in storiografia, dell'euristica, senza però distacco e leggerezza e, a mio parere, facendo sfiorire lungo la strada quel tormento filosofico per la libertà che è 0 respiro morale di ogni ricerca storica. Così, l'accumulazione archivistica sulla storia del fascismo, avviata e sviluppata da De Felice, è dilagata in questi anni anche nei vezzi fascistologici e ossessivi di molti suoi allievi". Lucio Villari, "La Repubblica". "Sono persuaso che egli sia l'esponente più alto del revisionismo storiografico italiano, l'equivalente di Nolte in Germania. E nonostante i suoi proclami di neutralità scientifica, ritengo che si sia fatto portatore di un progetto politico e ideologico molto preciso: far riconciliare l'Italia con tutta la propria storia, compresi i periodi più bassi". Marco Revelli, "La Repubblica". Renzo De Felice è, secondo me, il più grande storico del fascismo italiano, come dimostra l'opera della sua vita, la monumentale biografia di Mussolini. Egli ha avuto non solamente la pazienza e la cultura ma anche il coraggio intellettuale necessario per far uscire la storia del fascismo dalla semplice dimensione della condanna morale in cui era stata (ed è ancora in larga misura) rinchiusa". Francois Furet, "Le Debat", 1996, n. 89. "Sull'immane opera di De Felice si possono, intendiamoci, avanzare delle riserve. Anche chi scrive avanza la sua. Più che una storia del fascismo, considero i suoi volumi, compreso l'ultimo su Salò e sulla resistenza, come il più esauriente contenitore di una scrupolosa documentazione, cui dovrà attingere chiunque da ora in poi vorrà scrivere di fascismo". Indro Montanelli, "Il Corriere della Sera". (a cura di Roberto Gritella)