□ OTTOBRE 1997 N. 9, PAG. 33 Gramsci da un secolo all'altro di Giorgio Baratta Edoardo Sanguineti sarà uno dei protagonisti del prossimo congresso della International Gramsci Society (Napoli, Palazzo Serra di Cassano, 16-18 ottobre), che Valentino Gerratana ha suggerito di intitolare "Gramsci da un secolo all'altro". Sanguineti, che ha accettato di codirigere "Per Gramsci" - la nuova collana di Gamberetti -, condivide l'idea che l'odierna situazione politica e culturale da più parti spinga a riproporre la questione del "nazionale-popolare" in una tendenza complessiva che, con Balibar, potremmo definire "postnazionale". Non è una contraddizione: è semmai un indice dello stato delicatissimo che ha assunto la tensione, già fortissima in Gramsci, tra "storie particolari", "questione nazionale" e dimensione "universale" dell'umana società. Caro Sanguineti, quale rilevanza hanno nella tua ricerca sul problema della lingua di e in Gramsci, l'eredità marxiana e la questione del comunismo? "Gramsci si pone con insistenza il problema delle lingue e si chiede se sia possibile raggiungere una lingua universale. Due cose mi sembrano chiarissime. Per Gramsci contenuto fondamentale della filosofia della prassi e del materialismo storico è certamente la fine delle lotte di classe, il superamento dei conflitti di classe, l'avvento del comunismo. Oggi non è di moda crederci, ma Gramsci ci credeva. Il punto, però, veramente fondante ed essenziale per lui era, in questa prospettiva, l'unità del genere umano, un'unità culturale: il giorno che non ci saranno più prospettive di classe e non ci saranno più molteplicità culturali conflittuali, gli uomini collaboreranno entro un quadro unitario in quella cosa - quella cosa che è oggetto di un sogno - di cui parlava Marx e sulla quale non si può dir nulla, perché anche Marx cautamente, in sostanza, non ne diceva nulla, sapeva cosa non fosse, ma era abbastanza avveduto da non pretendere di sapere che cosa fosse. Gramsci cerca, anche qui con molta cautela e 'in un certo senso', di prospettare 'quella cosa' come unificazione del genere umano e alla fin fine, 'in un certo senso', come omologazione del genere umano. Gramsci osserva che esiste un caso di lingua artificiale universale: la matematica. Le scienze hanno il vantaggio di essere la prefigurazione, in qualche modo, dell'unità linguistica futura del genere umano. Nella matematica tutti gli uomini comunicano ed essa è la sola lingua universale. E a partire da questo primato dell'universalizzazione come obiettivo reale, alla domanda 'Per cosa si fa la rivoluzione?', Gramsci, io credo, avrebbe risposto: 'Per universalizzare il genere umano'". Ma Gramsci non faceva un uso molto particolare e pragmatico, in certo senso socratico, della lingua? "La lingua è uno strumento di interscambio, di comunicazione e, nello stesso tempo, di identità. Ha quindi un uso interno, coesivo e uno comunicativo e di grande apertura. Indubbiamente alla domanda se i due aspetti siano equivalenti o in Gramsci esista una diversa valutazione di questi due ruoli della lingua, risponderei che egli propone una visione squilibrata, nettamente a favore del momento comunicativo. Si potrebbe fare un paragone - una cauta analogia - tra Zibaldone e Quaderni, e suggerire l'idea che in fondo tutto lo Zibaldone è scritto, in qualche modo, nella stessa maniera in cui Gramsci opera nei Quaderni per un punto che mi pare rilevantissimo e che nei Quaderni è di un'evidenza quasi catastrofica, una sorta di tic e di monomania. Alla domanda cosa è che Gramsci replica di più nei Quaderni-non nel senso di concetti, di idee sulle quali ritor -ni, ma proprio come modalità linguistica tanto da poter essere considerato, ripeto, un tic, quasi un lapsus - si deve rispondere che replica espressioni quali 'per così dire', 'in un certo senso', 'per qualche riguardo', 'se così vogliamo dire', 'per qualche aspetto'. Gramsci non dice mai una cosa riposandosi e dicendo: 'E così! ', mai. Egli aveva un'idea veramente ossessiva di ogni feticismo o di ogni ideologia nel senso di falsa coscienza della parola. E veramente il linguaggio è esposto perpetuamente a rovesciarsi in falsa coscienza, perché manca spesso quella cautela che per Gramsci, invece, è ossessiva, dei vari 'in un certo senso', 'si può dire così'. Guai a irrigidire le parole, a prenderle per cose. Le parole non sono cose, sono oggetto di una transazione perpetua per cui la comunicazione è sempre, in qualche modo, precaria, esposta all'equivoco, e gravidissima di conseguenze, perché il dire è veramente un fare". Quale ruolo svolge la questione della lingua nel pensiero di Gramsci? "Non oggetto specifico, ma emblema, simbolo della questione linguistica in Gramsci è diventata, dopo il libro di Lo Piparo, l'origine della parola 'egemonia'. Da dove arriva 'egemonia'? Da Ascoli o da Lenin? E diventato un vessillo in battaglia. Non è detto che Lo Piparo abbia torto se si dimostra che 'egemonia' arriva da Lenin e che i leninisti abbiano ragione. Qui dovrei prendere posizione quasi per ragioni familiari. Io sono il padre di un Lede-rico, che scrisse e pubblicò una sua tesi di laurea, Gramsci e Machiavelli, dove c'è tutta una parte intesa a dimostrare, non in polemica con Lo Piparo, che il concetto di egemonia è di origine leniniana e, specificamente, documentando con 'L'Ordine Nuovo' articoli di Lenin fatti pubblicare proprio da Gramsci. Ma, a un certo momento, ci si potrebbe domandare, proprio puntando giustamente su questa idea del tradurre, se la questione, seppur di grande rilevanza e interesse documentario, filologico, non finisca per essere oziosa. Si tratta invece di sottolineare come concetti che arrivano da mondi diversi, da sistemi mentali eterogenei, 'in un certo senso' vengono a convergere, proprio perché Gramsci non ha alcuna superstizione nei confronti della parola e perché la parola è depurata, come si addice a un onesto linguista del secolo nostro, da ogni residuo magico, incantatorio. Una coincidenza verbale non deve suscitare immediatamente associazioni per analogia, ma può suggerire, come avrebbe detto il vecchio Gold-mann, dei principi di omologia, che è altra cosa: non una somiglianza immaginativa e suggestiva, ma una simmetria, 'in qualche modo', di strutture. Esiste una simmetria e può essere feconda di sviluppi, ma non permette di sovrapporre tout court due cose. Sono elementi che si rinforzano a vicenda. Gramsci linguista sì, ma con una consapevolezza molto precisa di ciò che il problema linguistico significa, poiché esso, come dice una sua celebre proposizione, rinvia immediatamente ad altre questioni. Quali? In parte le spiega lui stesso. Ma, forse, si po-• trebbe dire che il problema linguistico rinvia, in qualche modo, a tutte le altre questioni. Allora, se rinvia a tutte le altre, vuol dire che è proprio giusto partire da lì". E dove si arriva? "A una delle principali teorie della cultura, nel senso forte della parola, quale globale tentativo di afferrare l'esistenza concreta storico-sociale degli uomini come appare alla luce del materialismo storico. La riforma intellettuale e morale è il punto che interessa a Gramsci. Questa riforma culturale vuol dire riforma del modo di esistere concreto degli uomini. A essa vuole arrivare Gramsci quando sostiene che dentro, non dietro ogni questione linguistica ci sia altro; si passa insomma all'idea del nodo di problemi. Ciò che Gramsci sottolinea immediatamente, e che crea la stessa struttura dei Quaderni, apparentemente così destrutturata, se vogliamo, rispetto a certi ideali di costruzione, è che non si può che passare continuamente da una cosa all'altra. E il giorno che si riesca davvero a ricostruire la stesura dei Quaderni, con tutte le registrazioni di scambi, quaderni che vanno e vengono, con le riprese, le circolarità, le stratificazioni - un po' come si è cominciato a fare, giust'appunto, con lo Zibaldone -, a vedere come si sia stratificata la cosa, avremo sul metodo gramsciano delle conferme anche di tipo filologico, proprio nel senso più stretto e rigoroso del termine".