u HNDICE ■■dei libri del meseBH Etero-autobiografie Una questione privata Giuseppe Antonelli Carlo D'Amos, Ho visto un re. Luciano Re Cecconi, l'eroe biancoaz- zurro che giocava alla morte ed è morto per gioco, pp. 146. Lit 25.000, Limina, Arezzo 1999 giordano Mkacci, Improvviso il Novecento. Pasolini professore, con appendici di Massimiliano Malavasi e Francesca Serafini, pp. 408. Lit 20.000, minimum fax, Roma 1999 Chi scrive (qualunque cosa scriva) finisce sempre per comu- nicare, direttamente o indiretta- mente, qualcosa di sé al lettore, e ogni biografo è - almeno in par- te - vittima di un processo di transfert, che lo porta a solida- rizzare col soggetto della sua ri- cerca. Ma in questi due libri suc- cede qualcosa di più: la ricostru- zione della vita di un personag- gio pubblico diventa lo spunto per rievocare la propria vicenda personale, l'altro diventa uno schermo del sé. Il già ricco pa- norama dei generi mescidati si arricchisce così di un nuovo cocktail, in cui trovano posto - secondo proporzioni diverse - una parte di autofiction alla Ma- ri, una parte di reportage narra- tivo alla Veronesi, una parte di racconto-verità alla Cerami dei Fattacci, una parte di biografia romanzata (ma Citati non ci ha a che fare). Lo battezzeremo ete- ro-autobiografia. Nell'etero-autobiografia l'ine- vitabile elemento soggettivo sot- teso a ogni saggistica si espande fino a conquistare gran parte dello spazio a disposizione; l'io di chi scrive passa dallo sfondo al primo piano. Meacci parte da uno scrittore (il Pasolini degli anni in cui insegnava a Ciampi- no, 1951-1954, oscuro professo- re di una scuola media privata), D'Amicis da un calciatore (il Re Cecconi "motorino" della Lazio campione d'Italia nel 1974); tut- ti e due raccontano (bene, con un tocco delicato che sa diverti- re ed emozionare) gli anni della propria formazione, il modo in cui sono diventati adulti. Ma in realtà il movimento non è dall'esterno verso l'interno: il centro della narrazione è fin dall'inizio (fin dai titoli - N'im- provviso" della citazione pasoli- niana va letto anche come verbo - e dagli incipit in prima persona) l'io. Meacci dice subito che si trat- ta di una scelta programmatica: "quando ho cominciato a pensa- re a questo libro, al tentativo di ricostruire un breve periodo della vita di Pasolini e di Ciam- pino, mi sono accorto che l'uni- ca strada da percorrere era quel- la privata, salvare le mie memo- rie insieme con quelle delle per- sone che incontravo". Le sue interviste agli allievi di Pasolini (tra cui appunto Cerami) e ai nomi della cultura italiana in qualche modo legati a Pasolini (tra cui appunto Veronesi) sono incorniciate da divagazioni nar- rative e a volte liriche ("un dia- rio di viaggio che va dal feb- braio al novem- bre del 1997") e inframmezzate da una sorta di "a parte" teatra- li che, assecon- dando istintivi cortocircuiti mentali, saldano i ricordi dei testimoni oculari alla voce di Pasolini (poesie, roman- zi, lettere, articoli). Il discorso procede così per accostamenti analogici, sovrap- ponendo testimonianze orali e testimonianze scritte, umanità e letteratura, aneddoto e docu- mentazione (fanno fede le venti- cinque pagine in corpo minore fittissime di riferimenti biblio- grafici), per dar vita al "Nove- cento privato" di Meacci. In questo mondo - quello in cui Meacci si è formato -, accanto a Pasolini (e a Hemingway, Felli- ni, Totò e molti altri) occupano un posto importante anche Gol- drake, Capitan Harlock, Rickie Cunningham di Happy days. No- mi cari a "noi che abbiamo in- torno a trent'anni" (come canta- va Mimmo Locasciulli), che qui si trasformano in correlati ogget- tivi di una memoria generazio- nale, proprio come il Subbùteo o Subbutèo (il gioco da tavolo che riproduce in miniatura il cal- cio), l'Uhu ("La colla Uhu vorrei che Dio la benedicesse") o gli aggettivi "fico" e "sgbicio" ("che non si sapeva bene cosa volesse dire, ma che ave- va un suono fico pure lui") citati da Carlo D'Ami- cis. E tanto per Meacci quanto per D'Amicis in questa costella- zione cult cam- peggia Valter ego cui è dedicata la biografia. Nel primo la proiezione è mediata dai libri ("erano gli anni delle in- fatuazioni narrative, i libri erano un'eterna ricerca di risposte") e dalle persone che hanno cono- sciuto Pasolini; scorre sotto trac- cia e si risolve soprattutto nei fla- shback, nei déjà vu provocati dal viaggio a Casarsa e dal pellegri- naggio alla tomba (la morte vio- lenta di Pasolini cade il 2 no- vembre 1975, quando Meacci aveva appena quattro anni). Nel secondo, invece, l'imme- desimazione col personaggio- mito ("posso ben dire che in Lu- ciano Re Cecconi io vedo un'im- magine di Dio") è esplicitamen- te tematizzata, tanto da diventa- re lo snodo centrale di tutto il li- bro (un "convulso traffico di identità", con "una proliferazio- ne dei punti di vista, e dei piani temporali, che solo l'io agile ed elastico di un bambino poteva coordinare"). L'alter-egocentri- smo è provocatoriamente spinto fino alla trasfigurazione: le inter- viste e tutta l'inchiesta giornali- stica vengono riassorbite in un dettato narrativo in prima perso- na, in cui la voce virtuale dello stesso Re Cecconi racconta la propria vita. Ogni capitolo è equamente diviso tra una prima parte in cui parla l'io-Carlo e una seconda parte in cui parla l'io- Luciano; in mezzo i documenti (ogni volta una fotografia e un articolo di giornale) a fare da spartiacque. L'asimmetria delle vite paral- lele è in questo caso meno ac- centuata (D'Amicis ha visto giocare Re Cecconi, ha raccolto dalle sue mani un prezioso au- tografo) e le due linee conver- gono in un punto preciso, il 19 gennaio del 1977 (D'Amicis aveva tredici anni), giorno in cui il calciatore viene ucciso per sbaglio da un gioielliere: "quan- do è morto Re Cecconi, non po- tendo essere più lui, mi sono presentato all'oratorio con l'idea di diventare io. Con il fie- ro proposito di far emergere la mia personalità. Di farmi gran- de". Com'è proprio di una vi- sione mitica, la morte di una parte di sé segna la fine dell'in- fanzia: è il rito di passaggio all'età adulta, il delicato trapas- so verso la faticosa costruzione di una propria identità. "Accanto a Pasolini occupano un posto importante anche Goldrake e Capitan Harlock" Generazioni Lidia De Federicis Ci imbattiamo di continuo, fra gli scrittori, in una generazione che nei movimenti del Ses- santotto e nel neofemminismo ha vissuto i feno- meni più incisivi del proprio tempo. Ecco ora la storica Luisa Passerini, nata nel 1941, che, vent'anni dopo il bilancio politico in Autoritratto di gruppo, torna alla prova narrativa con La fon- tana della giovinezza. Un libro imperfetto, ma di notevoli virtù. La principale è che ci sollecita alla riflessione su almeno tre argomenti: come scrive- re un'autobiografia; come scrivere, da vecchi, un'autobiografia della generazione che aveva idoleggiato il potere dei giovani; come scrivere, di quella generazione, un'autobiografia da don- ne. Nel passaggio dal primo al secondo libro qualcosa, o molto, è cambiato. Tematicamente: il cuore deWAutoritratto stava infatti nel rapporto fra individuale e collettivo, fra il diario privato e il contesto storico che ne legittimava l'impudici- zia; nella Fontana, invece, l'individuale è preval- so e il cuore tematico è nel rapporto di ciascuno con la propria ultima destinazione. Formalmen- te: nellAutoritratto, il racconto privato, capitoli dispari, aveva una specifica voce in prima perso- na, mentre a parte, capitoli pari, scorrevano, con la dovuta precisione documentaria, le testimo- nianze e microstorie altrui; nella Fontana, una narratrice in terza persona nell'unica sua voce anonima ne assorbe altre, con programmatica ge- nericità, senza nomi né date, e neppure luoghi o incontri che non facciano parte di una tipologia comune. Di tale cambiamento Passerini rende conto con buone ragioni: un consiglio di Grazia Cherchi subito dopo VAutoritratto (meglio l'im- personalità, in queste cose!) e gli apporti venuti dai racconti di alcune donne. Del consiglio mi li- mito a dire che vi riconosco Grazia Cherchi, la sua maschera di reticenza ironica. Più arduo, tec- nicamente, e arruffato il problema posto dall'in- treccio dei racconti. Implica infatti le teorie fem- ministe che valorizzano il discorso narrativo di un "sé esposto e relazionale" (Adriana Cavare- ro): non solo dunque il proprio racconto di vita, non solo il proprio racconto fatto a un'altra, ma il mio racconto fatto da un'altra. Varie donne si sono lasciate raccontare dalla scrittrice. E lei stes- sa, quanto si è lasciata, da loro, raccontare? Cos'è dunque diventata la narrazione femminile in questa Fontana? Mescolando se stessa alle fonti, Passerini si è concessa un ulteriore scarto dallo statuto storiografico verso 0 racconto finto, mo- dellato sui contenuti soggettivi. Non ha tuttavia scritto un romanzo, che s'affidi ai giochi autono- mi dell'invenzione e della scrittura. Bensì quasi un apologo, che nella narratrice esemplare rac- coglie più figure della vecchiaia. Un filo condut- tore riguarda l'umana vecchiaia di maschi e fem- mine, il pensiero della morte, del tempo che stringe. Ma s'intreccia con un diverso percorso che riguarda specialmente la vecchiaia e la cultu- ra delle donne, la loro contraddizione o sconfit- ta, laddove in questi anni si siano convinte che non conta chi non ha vita sessuale. I lettori appassionati dell'autobiografia schietta, continueranno a preferire 0 semplice e circostanziato diario dell'Autoritratto. Meglio invece la Fontana, se si ha interesse per le sva- riate arti che la pervasiva autobiografia speri- menta pur di uscire da se stessa. Sulla memoria del Sessantotto propongo la ri- lettura dell'unico romanzo di Grazia Cherchi, Fatiche d'amore perdute (Longanesi, 1993), con l'autrice e nove personaggi a confronto, il suo li- bro meno amato soprattutto dagli amici che lì (non) si ritrovarono. Annuncio, su donne che si raccontano, l'appena uscito romanzo-diario di Fabrizia Ramondino, Passaggio a Trieste (Ei- naudi, 2000). Tre tempi in due forme Luisa Passerini, La fontana della giovinezza, pp. 127, Lit 20.000, Giunti, Firenze 1999 Libro di struttura calcolata e in- tellettuale. Presenta al lettore due linguaggi, quello dell'arte e quello della scrittura; e la scrittura stessa la divarica in due forme, quella del saggio e quella del racconto. È suddiviso in quattro parti, relative a quattro miti raffigurati pittori- camente. Ogni parte ha inizio in- fatti con un dipinto e un com- mento. Il primo è La fontana del- la giovinezza, 1546, di Lucas Cra- nach: sulla leggenda, ramificata nel mondo antico e medievale, dell'acqua che rinnova. H secon- do è La difesa del Sampo, 1896, del finlandese Akseli Gallen-Kal- lela: sulla sconfitta di Louhi, una dea madre del nord, in un episo- dio del Kalevala. Il terzo è La vec- chia narratrice, 1934, di Ernest Blumenschein: cultura amerindia simboleggiata in una bella vecchia che favoleggia con una ragazzina. Il quarto è un dipinto di Rubens su Fauci e Filemone: versione se- centesca di un mito classico fra i più diffusi nella storia europea. Ogni parte ha un titolo, quattro titoli modellati sulle stagioni: s'in- comincia da Autunno, a cui se- guono Inverno, Primavera e Esta- te che conclude (e fa però imma- ginare il ricominciamento). In ogni parte il dipinto, il breve sag- gio, il titolo introducono allo svi- luppo narrativo. Ne è protagoni- sta una donna. Di lei veniamo a sapere che ha cinquantacinque anni e un buon lavoro, nessun fi- glio, un marito da cui sta separan- dosi e che si gode una tardiva pa- ternità; sappiamo che ha vissuto con passione la politica e il fem- minismo, che ha praticato i viaggi, gli amori, i gruppi d'autocoscien- za, le culture alternative; ora al sa- bato mattina fa la spesa, una lava- trice, uno spuntino, una passeg- giata; è tentata dal lifting, nostalgi- ca del "narcisismo come base per l'erotismo". La fontana della gio- vinezza rende esplicito, in apertu- ra, il tema del libro. La narratrice senza nome, confondendosi con Fautrice-saggista, si domanda in- fatti se l'invecchiamento debba sempre essere "constatazione di disastro"; o se sia possibile, accet- tarlo "con animo leggero". Alla domanda risponde la narrazione, che accenna a un itinerario. In Autunno la donna diventa consa- pevole di una sensazione di "dete- rioramento del corpo"; in Inverno entra nella solitudine e attraversa la malattia fino a una lenta conva- lescenza; in Primavera decide di avere ancora "una fioritura" e parte per un viaggio nei luoghi del suo passato: Parigi, New York, San Francisco, e infine la piccola città da cui s'è mossa in giovinez- za; in Estate riprende la solita vita, con il solito ritmo "di impegni, di cose e persone". La struttura del libro è incardinata sul variare del- le temporalità. Uno è il tempo sto- rico e antropologico dei dipinti, che rimanda alle origini di mondi e culture. Un altro è il tempo na- turale e circolare delle stagioni, tempo ripetitivo e simbolico. Un altro infine è il tempo dell'indivi- duo, il fatale decorso biologico, al quale tuttavia la mente oppone re- sistenza facendo germogliare compresenze di memorie, morti, rinascite. (L.D.F.)