garla, deformarla, pervertirla o addirittura profanarla. Un cenno a parte merita il saggio dedicato al "tramonto della scrittura", dove Caronia sostiene che la multidimensionalità sia la precorritrice di una nuova modalità di comunicazione e di organizzazione della cultura che si allontana in modo radicale dalle forme imperniate sulla scrittura. La scrittura non avrà più il posto centrale e dominante che ha avuto per tanti secoli, e di ciò, dietro la facciata di un fatalismo disincantato e pragmatico, Caronia sembra essere tutto sommato contento. Costatato che è fallito il grande sogno della scienza e della filosofia occidentali di restituirci il mondo sub specie di scrittura, fornendocene una descrizione linguistica più o meno formalizzata, fino alle sottigliezze astratte della logica simbolica, l'autore c'invita a non cullarci nei rimpianti. La nostalgia per il buon tempo andato non approda a nulla: conviene invece attrezzarci per comprendere e sfruttare appieno le smisurate possibilità che ci sono offerte dalla nuova incipiente cultura. Che le cose stiano cambiando radicalmente è sotto gli occhi di tutti: si tratta, per Caronia, di agevolare il mutamento, di accogliere la grande onda-ta "barbarica" e trasformatrice, dalla cui spuma potrà (dovrà) nascere, come una Venere abbagliante, una cultura nuova, più ricca e condivisa. ■ longo@univ.trieste.it Dalla Cultura alla cultura Dante non ci salva più di Luigi Cazzato Terry Eagleton L'IDEA DI CULTURA ed. orig. 2000, trad. dall'inglese di Dora Bertucci, pp. 155, €9,29, Editori Riuniti, Roma 2001 Eagleton DI CULTURA L'idea di cultura è in crisi? "Quando mai non lo è stata? Cultura e crisi vanno insieme come Stan Laurei e Oliver Hardy", dichiara Terry Eagleton, con lo stile corrosivo che lo contraddistingue. Nella vita quotidiana del cittadino medio l'uso che si fa del termine "cultura" è generalmente ironico: l'espressione "uomo di cultura" viene di solito accompagnata da un sorrisetto che dice tanto sulla sua supposta inutilità presente quanto sulla sua magnificata importanza passata. Ironicamente, però, sembra che mai l'idea di cultura, o meglio la sua sostanza, abbia avuto tanta centralità come nel mondo in cui viviamo. Dopo averne evidenziato strategicamente la derivazione etimologica da "natura", ovvero "agricoltura", e esaminato con Raymond Williams le varie moderne accezioni del termine, Eagleton passa all'analisi politica della sua ipotetica crisi e delle guerre scatenatesi fra le varie idee e realtà di cultura. Ampio spazio è anche dedicato all'analisi filosofica del rapporto fra cultura e natura e dell'attuale sbilanciamento a favore del primo concetto, a causa del dilagare del "culturalismo" negli studi umanistici. Secondo lo studioso inglese il concetto di "cultura" ha subito un lento ma inesorabile mutamento: si è passati dall'idea di Cultura a quella di cultura. Se la Cultura, ovvero la cultura tradizionalmente intesa, è "un modo di calare i nostri piccoli particolarismi in un ambiente più ampio", un modo per entrare in una soggettività universale tramite la quale siamo capaci di condividere valori in virtù della nostra umana condizione, la cultura, ovvero l'idea che dagli anni sessanta in poi ha preso piede, "indica l'affermazione di un'identità specifica nazionale, sessuale, etnica, regionale - piuttosto che la trascendenza da essa". Dunque ciò che è in crisi non è la cultura ma la Cultura. Quella Cultura che ha reso possibile la nascita degli stati-nazione, che ha dato una forma alla soggettività sociale della borghesia europea al suo apice, che era così dominante da non aver bisogno di "identificarsi" perché erano gli altri i diversi, essa la norma. Adesso, secondo Eagleton, sotto la minaccia del multiculturalismo postmoderno, la Cultura non può più permettersi di rimanere invisibile. Se Matthew Arnold propose come modello sostitutivo alla religione in crisi la Cultura", adesso che troviamo ab- bastanza risibile salvare l'umanità con la lettura di Dante e Shakespeare, la strada che l'Occidente sembra dover imboccare è proprio quella religiosa. Con 0 rischio, più che reale, una volta abbandonata la piattaforma liberale umanistica, "di opporre al fondamentalismo religioso altrui uno di propria produzione". Da qui si capisce come, nella fase del capitalismo avanzato (transnazionale, globale), il conflitto fra Cultura e cultura sia una "questione di politica reale, non una semplice questione accademica" che "fa parte della forma della politica mondiale del prossimo millennio". Per così dire, questo scontro non è culturale, ma materiale: uno scontro sui problemi primari del millennio appena cominciato (guerra, carestia, inquinamento ambientale, spostamento dei popoli); non uno scontro su "questioni di valore, simbolismo, lingua, tradizione, appartenenza o identità, meno che meno d'arte (...) I teorici culturali possono fare ben poco per contribuire alla loro soluzione". Molto potrebbe fare invece una cultura della politica che, secondo i dettami socialisti evocati da Eagleton, facesse partecipare pienamente le varie realtà culturali alla regolazione della produzione materiale. Solo dando effettiva espressione alla diversità culturale, suggerisce Eagleton, l'Occidente potrebbe cancellare quella scia di risentimento represso che si lascia alle spalle: l'unico modo possibile di dare vita a una Cultura, ovvero cultura comune. ■ luigi.64@libero.it On Line Karenina.it (si trova su www. geocities, coni/ Paris/Lights/7323/ kareninarivista) è una rivista elettronica nata nel 1998 da un progetto di Caterina Davinio come spazio aperto alla sperimentazione letteraria e artistica. Si presenta così: "Katerina.it è l'ora del riscatto: la dichiarazione di indipendenza dell'opera dall'autore". Tra i collaboratori abituali compaiono Marco Maria Cazzano, Francesco Muzzioli, Julien Blaine, Mirella Bentivoglio, Massimo Mori, Gio Ferri, Nando Vitale, Tommaso Trini e Antonio Caronia - l'autore di Archeologie del virtuale, recensito qui a fianco - , che vi tiene una rubrica di recensioni e informazioni su "Fantascienza e horror". Il sito si segnala per l'attenzione riservata alla contaminazione tra scrittura e arti visive e tra elettronica e tradizione letteraria: da Tolstoj al cyber-punk. La fantasia nel corpo di Giuseppe O. Longo Idei libri del mese! Comunicazione Antonio Caronia ARCHEOLOGIE DEL VIRTUALE pp. 156, €12,39, ombre corte, Verona 2001 Le trasformazioni del modo di produrre e consumare l'immaginario sono state così rapide che le testimonianze anche recenti diventano oggetto di una vera e propria "archeologia" di cui l'autore ricostruisce le linee in una serie di saggi penetranti e un tantino provocatori. La tesi di fondo è che il "regno del nato" e il "regno del prodotto", a lungo separati, tendano a diventare una cosa sola. Infatti il biologico si va "macchinizzando" e le macchine si stanno "biologiz-zando" per formare un mondo ibrido e in particolare un homo technologicus che costituirà il delicato e sensibile punto d'incontro tra naturale e artificiale. La vera novità delle tecnologie digitali e degli universi virtuali che esse spalancano, sostiene Caronia, non è affatto la centralità dell'immateriale (cioè l'alleggerimento legato al passaggio dagli atomi ai bit, di cui si è fatto cori- feo Negroponte): al contrario, è una più ampia possibilità di rendere materiali e concreti tanti progetti che finora erano destinati a restare nel mondo dei sogni e della fantasia. Assistiamo insomma oggi a un'improvvisa moltiplicazione dei mondi possibili che, uscendo dai libri di logica o dai film e libri di fantascienza, diventano "reali" (nell'accezione estesa del concetto di realtà imposta dalla scoperta o invenzione della virtualità) e ci guidano nell'esplorazione di un futuro che viene di continuo e istantaneamente assorbito in un presente dilatato. Ecco spiegato 0 grande interesse, addirittura la fascinazione, che Caronia prova per certi scrittori (Dick, Gibson, Burroughs e soprattutto Ballard, cui dedica uno dei saggi più suggestivi del libro) o per certi registi (Stone, Cronenberg, Bigelow, Spielberg, Kubrick). Quasi paradossale, ma ben argomentata e certo condivisibile, la ripetuta affermazione che l'era del virtuale non può fare a meno del corpo: gli effetti più importanti delle tecnologie digitali si hanno non quando tendono ad annullare la dimensione fisica e simbolica del corpo (come vorrebbero certi profeti del postu-mano che aspirano a codificare tutto il nostro essere mente-corporeo in uno sciame di bit, facendolo così svanire nel mondo immateriale dell'informazione), bensì quando operano su questa dimensione corporea per aliar-