N. 2 Editori/1 Croce, Buddha e l'elettrotecnica nel latifondo di casa Laterza di Dario Moretti Nel latifondo di casa Laterza (...) c'è posto per la sinagoga e per i templi di tutte le religioni", scriveva Giovanni Laterza a Benedetto Croce nel 1938, a proposito delle leggi razziali in base alle quali gli era stato richiesto di comunicare quali dei suoi dipendenti e collaboratori avessero ascendenze ebraiche. Certo una frase significativa della posizione coraggiosa di un imprenditore di cultura in uno dei momenti più difficili della storia d'Italia, proprio perché non solo espressa a parole ma praticata nei fatti: la risposta alle autorità nel caso specifico fu quanto mai evasiva (l'unica razza che Laterza conoscesse, in fatto di collaboratori, era quella "tipica dei popoli pugliesi: forte, tenace e laboriosa"); ma, a prescindere dalla scelta dei titoli pubblicati in quegli anni, Laterza, con Formiggini ed Einaudi, non ebbe mai parte negli organi della Federazione fascista degli editori. Detto ciò, in una prospettiva più distante la metafora spontaneamente adoperata da Giovanni Laterza si presta anche a una lettura generale, a proposito della cultura aziendale della casa editrice che ha recentemente festeggiato — e in ottima salute — il suo centenario. Una cultura aziendale che, come spesso accade nelle imprese italiane moderne del centro e del sud, si evolve gradatamente dalla cultura della società agricola, mutuandone non certo le forme organizzative o le tecniche ma traendone ispirazione per stabilire le regole di fondo dei rapporti tra proprietari, dipendenti e collaboratori. Così ad esempio, nel forte sistema industriale "a rete" costituitosi nelle Marche nel secondo dopoguerra, la cui energia e capacità di espansione sono paragonabili solo al più famoso sistema industriale del Nord Est, gli economisti considerano fondamentale l'eredità della cultura della mezzadria: gruppi familiari estesi ma fortemente controllati dal capofamiglia-mezzadro, flessibilità in funzione dell'impiego di ogni forza lavoro disponibile in ogni momento disponibile, con la massima informalità quanto a orari e mansioni, tendenza al risparmio e all'accumulo lento ma sicuro dei profitti, da reinvestire puntualmente nell'attività con etica da far invidia a un calvinista; e successo esemplare anche per un lombardo o un piemontese. Anche alla base dell'impresa Laterza c'è un nucleo familiare forte: il gruppo originario dei cinque figli di Giuseppe Laterza: Vito, l'amministratore che apri una cartoleria a Putignano nel 1885 e acquistò una tipografia a Bari nel 1896; Pasquale, che della cartoleria continuò a occuparsi; Luigi, che sviluppò la tipografia; Francesco, che gestiva il commercio all'ingrosso della carta; e Giovanni, che aveva vissuto a Milano e, di ritorno a Bari, convinse i fratelli al grande salto: l'acquisto prima di una libreria e la fondazione poi, nel 1901, di una casa editrice. A questa data i fratelli Laterza avevano il minore (Francesco) ven-tun anni, il maggiore (Vito) trentadue. Il progetto culturale di Giovanni generalmente tende a far considerare scontata, se non a mettere in ombra, la solidità economica dell'impresa familiare. E a ragione: la lungimiranza con cui Giovanni voleva fare di Bari una capitale della cultura e soprattutto lo slancio di modernizzazione intellettuale che lo animavano, l'intuito con cui dopo i primissimi passi si scelse un maestro-consulente come Benedetto Croce e gli restò fedele pur riuscendo a ritagliarsi spazi di libertà imprenditoriale nella scelta dei titoli, sono qualità caratteristiche dell'impresa Laterza fin dagli inizi. E tuttavia è proprio nell'immagine del latifondo, una volta tanto leggibile con un taglio modernamente positivo, che sta forse il segreto dell'affermazione e dell'equilibrio mantenuto in un secolo di vita: un territorio di lavoro immenso (la cultura della modernità) da mettere a frutto, in cui certo devono valere delle linee guida ma occorre adattarsi alla vastità e alla diversità del paesaggio con spirito quotidianamente concreto. E così, accanto alla spina dorsale editoriale crociana della "Biblioteca di Cultura Moderna", si pubblica una ricca gamma di manuali, controcanto pratico alle idee nella stessa logica di modernizzazione; e nel 1909, oltre la Logica come scienza del concetto puro di Croce e la Critica della ragion pratica di Kant escono anche un Manuale del montatore elettricista per impianti di illuminazione di Sigmund von Gaisberg e un Lino a che punto si può con la distillazione venire in aiuto della viticultura di Paolo Cassano. Accanto al livello alto della cultura, Laterza sviluppa fin dall'inizio una linea editoriale anch'essa guidata dall'obiettivo della modernizzazione, ma adeguata con grande pragmatismo alle esigenze concrete del territorio in cui si diffondono i suoi libri: un paese che ha bisogno di tecnici, per la diffusione e l'applicazione dei sistemi industriali che garantiscono il miglioramento delle condizioni di vita quotidiana come per la modernizzazione delle filiere produttive locali tradizionalmente forti: viticultura ed enologia. Di tale varietà, indispensabile a un editore che si voglia affermare ma anche indizio di salutare intelligenza realistica nell'applicazione di un progetto culturale, resta traccia evidente e copiosa nelle pagine del poderoso Le edizioni Laterza. Catalogo storico 1901-2000, edito a cura di Roberto Mauro, Massimo Menna e Michele Sampaolo. E del resto occorre anche apprezzare la signorile e partenopea condiscendenza del nume tutelare di Giovanni Laterza, Benedetto Croce, nel tollerare che la casa editrice che aveva eletto a strumento della sua battaglia intellettuale si dedicasse, per nulla di nascosto, a promuovere insieme con i libri suoi e da lui indicati anche altri filoni editoriali di ben più popolare mercato. Prima tra tutte quella collana di "Studi religiosi ed esoterici" (divenuta all'inizio degli anni 1940 "Studi religiosi iniziatici ed esoterici") che debuttò già nel 1907 con I discorsi di Majjhimanikayo di Buddho Gotamo (sic) e negli anni venti pubblicò, oltre che una Vita di San Francesco d'Assisi in quattro tomi di Luigi Salvatorelli e parecchi titoli di Edouard Schuré, e fu alla base della diffusione in Italia della teosofia grazie alla traduzione delle opere di Rudolf Steiner. Questa collana, cui Croce sembra alludere sornione in una lettera a Laterza includendola tra quelle cui non diede (coscientemente) mai attenzione, ma riconoscendole la qualità di essere "editorialmente di molto spaccio", presenta, al di là delle ovvie qualità dell'editoria di Laterza, parecchi motivi di interesse proprio per i titoli che vi si incontrano spalla a spalla: Sigmund Freud con Totem e tabù (1930) e Lao Tse con il Tao te king (1941), tra quelli che nella saggistica popolare non hanno perso terreno nemmeno ai giorni nostri, a un secolo di distanza; e nomi ormai dimenticati ma di grande successo popolare tra le due guerre, come Dmitrij Merezkovskij, presente con un Tolstoj e Dostojevskij. Vita. Creazione. Religione (1938); e anche, con parecchi titoli e fino al 1948, Julius Evola, che Croce aveva a suo tempo rifiutato e trovò invece udienza presso Ernesto Buonaiuti, curatore della collana dal 1919. Questo numero Apriamo il giornale con un'intervista a Gianni Vattimo, che nelle sue riflessioni lega il dibattito sulla trasformazione della nostra società a quanto sta avvenendo nel mondo, da Foucault a Gore Vidal (e un filo di continuità potrà essere ritrovato subito dal lettore che salterà fino alla sezione "Segnali", dove viene riesaminata l'agenda po-litico-mediatica del "dopo-Genova"). In evidenza poniamo poi due pubblicazioni molto significative: il carteggio tra Arendt e Heidegger, e il saggio di Isaiah Berlin sulle radici "provinciali" del Romanticismo. I "Narratori italiani" offrono un ampio panorama, che va dai classici come Meneghello, Quasimodo, Gadda, Debenedetti, e un Salgari finalmente approdato nei "Millenni" di Einaudi, ad autori come Orengo, Ramondi-no, Canu, e a un'interessante raccolta di fantascienza all'italiana. Uno scrittore e pittore di grande fascino, Bruno Schulz, apre la sezione "Letterature", dove i lettori troveranno anche un autore-cult come Ke-rouac, cui dedichiamo il bel ritratto di Pericoli in copertina in occasione della pubblicazione del "Meridiano" dei romanzi. E an cora: Salinger, Isherwood, Kafka, l'Inventa- rio poetico di Mario Benedetti, gli amorosi sensi di Pasternak ed Evgenija Lur'è, e il Mignolo di Buddha del giovane scrittore russo Pevelin. Nella "Storia" tre interessanti studi sul crollo dell'Urss, da Lenin a Gorbacèv, e il lavoro su Sereni che Alessandro Natta consegnò tre giorni prima di morire, sono accompagnati da un riesame dell'industrializzazione italiana, e da alcuni saggi preziosi: sul totalitarismo (di Furet), sulla nostra Repubblica, sulla Nato, sulla memoria della Resistenza (di Murialdi), sulla massoneria. "Scienze", "Teatro", "Comunicazione", "Effetto film" e "Musica" (un bel Dy-lan inedito) chiudono le sezioni monografiche della prima parte. Nella seconda, come sempre, accanto alla ricca documentazione delle "Schede", i "Segnali" affrontano criticamente i temi di fondo della nostra società, a cominciare dalla riforma della scuola, a cui a partire da questo numero intendiamo rivolgere un'attenzione costante. In chiusura L'Agenda" del mese di febbraio. Ricordiamo a chi avesse mancato il numero di gennaio che vi era accluso "L'indice de L'Indice", con tutti i libri e gli autori segnalati nell'anno 2001. Una collana dalla varietà in qualche modo "impura", che accoglie cioè nella sua linea culturale aspetti di incoerenza a vantaggio della diffusione tra il pubblico, priva di quella lucidità intellettuale che connota di primo acchito il marchio Laterza grazie all'associazione con i nomi di Croce e di Gentile; ma proprio per questo editorialmente e storicamente interessante per il ritratto che dà dei gusti di un pubblico. Come certi storici dell'arte prediligono (nel segreto dei loro studi) i quadri brutti, perché da essi più che dai capolavori si intendono lo spirito di un'epoca e la sostanza di un linguaggio e delle sue innovazioni, così questa collana, certo non tra i principali vanti dell'editore barese, ci dà il tono del lavoro di ricerca del pubblico da parte di un editore, vitale nei suoi abbagli oltre che nelle sue intuizioni. Che nella secolare vita della Laterza questa ricerca sia una delle costanti più positive lo conferma anche un altro importante episodio, anch'esso fondamentalmente riuscito ma ricco di ripensamenti: l'ingresso del marchio barese (ormai romano-barese, dal 1960) nel settore delle "grandi opere", sotto la guida del protagonista della seconda metà della secolare storia della casa editrice: Vito Laterza. Terribile settore, quello delle grandi opere, per un editore di saggistica, perché riguarda essenzialmente la cultura figurativa (l'architettura, l'urbanistica, le arti visive). Soggetti che richiedono, banalmente, un ricco corredo di illustrazioni accanto al testo, con lo sforzo imprenditoriale di mobilitare risorse e affrontare costi maggiori. Ma forse un salto arduo anche per motivi culturali, per l'editore di Croce e di Gentile, massimi responsabili della scissione tra la cultura della scrittura (filosofico-letteraria, delle idee e quindi "alta") e quella dell'immagine (pratico-operativa, della manualità e quindi "bassa") nella gerarchia intellettuale e addirittura nell'ordinamento scolastico del nostro paese. Vito Laterza apre la collana proprio nel 1960, nell'anno della riorganizzazione della casa editrice con l'apertura della direzione romana, con la Storia dell'architettura moderna di Leonardo Benevolo, ed è un'apertura alta, nella tradizione della casa. Un'operazione però che mette anche l'editore su un percorso di modernizzazione più di altre - pur fondamentali -, come la creazione del settore dei tascabili, conseguenza quasi ovvia del possesso di un ricco catalogo di opere di lunga durata. Si tratta infatti di aprire le porte a un'attenzione nuova agli aspetti della comunicazione visiva non solo come contenuto ma come strumento della costruzione del prodotto (Laterza pubblica, alla fine degli anni sessanta, i libri di Bruno Munari, ma lo incarica anche di progettare le sue copertine) e che, insieme con le numerose iniziative organizzative, si affianca all'altro grande episodio che dà la misura dell'evoluzione affrontata dall'editore: la pubblicazione della Storia d'Italia dal 1861 al 1958 di Denis Mack Smith (1959), non solo un best seller della saggistica storica popolare (l'autore passò presto a Rizzoli) ma addirittura l'iniziatore in Italia di un genere - la divulgazione storica di buon livello - tra i protagonisti della seconda metà del secolo editoriale appena passato. L'aver pubblicato Mack Smith e Giorgio Bocca (Storia dell'Italia partigiana, 1966), ma anche Duby, Furet, Le Goff nella collana "Storia e società", affiancata alla classica "Collezione storica" che ospita Mazzarino e Romeo, corrisponde in qualche modo alla fisionomia storica di Laterza (quella dei manuali di elettrotecnica accanto alle opere di Croce): l'equilibrio delle proposte tra i poli della qualità e della diffusione, l'attenzione alla qualità culturale senza il rifiuto degli aspetti pragmatici della modernità. ■ Le edizioni Laterza. Catalogo storico 1901-2000, a cura di Roberto Mauro, Massimo Menna e Michele Sampaolo, pp. 1128, € 25,82, Laterza, Roma-Bari 2001 d.morettiSessai.it