N. 6 Tutta colpa di san Paolo di Francesco Cassata Francesco Germinario LA DESTRA DEGLI DEI Alain de Benoist e la cultura politica della nouvelle droite pp. 153, € 18, Bollati Boringhieri, Torino 2002 a figura di Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle Droite hanno alimentato, a partire dalla fine degli anni ottanta, una serie di analisi politologiche approfondite ed equilibrate (An-ne-Marie Duranton-Cabrol, Visages de la Nouvelle Droite, Presses de la Fondation nationale des Sciences politiques, 1988; Pierre-André Taguieff, La forza del pregiudizio, il Mulino, 1994; Lorenzo Papini, Radici del pensiero della Nuova destra, Giardini, 1995), ben lontane dalla letteratura liquidatoria che le aveva precedute. Il nuovo saggio di Francesco Germinario, per mole documentaria e correttezza metodologica, s'inserisce pienamente in questa corrente di studi, costruendo un profilo articolato del pensiero benoistiano, che ne restituisce la complessa oscillazione fra apporti originali e radicamenti nella cultura di destra (Lapou-ge, Maurras, Evola, Spengler, konservative Revolution). Significativamente, nella stessa formula che identifica il progetto politico benoistiano - il "gramscismo di destra" -, Germinario individua una riproposizione delXapolitìa evoliana. Mentre sposta il campo d'azione dalla politica alla cultura, la Nouvelle Droite riconosce quella sublimazione nella meta-politica teorizzata dall'Evola di Cavalcare la tigre. Nell'ambito di questa strategia gramsciana di lotta per l'egemonia culturale, Alain de Benoist propone un "aggiornamento" ideologico, volto a rendere presentabile una cultura di destra travolta da un discredito generale per essere identificata con gli orrori del nazismo e del fascismo. I caratteri maggiormente innovativi e ricchi di conseguenze politiche di tale operazione di "cosmesi culturale" risultano essere sostanzialmente due: da un lato, una visione "ontologica" del totalitarismo, dall'altro la teorizzazione del differenzialismo. er quanto riguarda il primo aspetto, la "terribile semplificazione" debenoistiana prende le mosse da una precisa dicotomia: da un lato, il monoteismo paolino, che porta con sé la desacralizzazione del mondo, l'omologazione delle differenze in nome della violenza egualitaria, il messianismo e la visione teleologica della storia; dall'altro il politeismo pagano, con la sua interpretazione magica del rapporto uomo-mondo, il rispetto della differenza, la concezione ciclica della storia. Traducendo nel linguaggio politico, san Paolo, espandendo in Occidente il monoteismo di Abramo, avrebbe creato Lenin e il rock'n'roll, Voltaire e Hider, Robespierre e Mussolini. Universalismo, egualitarismo, totalitarismo, modernità, americanismo e liberalismo sono tutte conseguenze del monoteismo giudaico-cristiano. De Benoist approda, dunque, a una visione destoricizzata e depoliticizzata del totalitarismo: non riconducibili alle conseguenze della prima guerra mondiale (De Felice, Nolte, Mosse), né derivanti dal giacobinismo (Talmon), le origini del totalitarismo sono, per de Benoist, metapolitiche e religiose, poiché risalgono alla diffusione in Europa della predicazione paolina. Nazismo, fascismo, comunismo e liberalismo sono accomunati dalla medesima reductio ad unum delle diversità che è propria del monoteismo paolino: il liberalismo è così soltanto un "totalitarismo dal volto umano", una "climatizzazione dell'inferno totalitario". Allo stesso modo, l'americanismo è la coerente realizzazione del progetto universalistico e mondialistico del monoteismo e la modernità è distruzione delle tradizioni culturali, obnubilamento del passato, appiattimento delle scansioni temporali. Proprio su tale "ontologizza-zione" del concetto di totalitarismo si fonda la rilegittimazione politica della destra: se alla sinistra, in quanto figlia dell'egualitarismo monoteistico, sono da ricondurre tutte le declinazioni del totalitarismo (fascismo e nazismo compresi), la destra, che per definizione coltiva la differenza e il pluralismo, non può che avere radici pagane. Gli orrori della storia vengono, dunque, imputati alla sinistra, figlia legittima del monoteismo, e alla destra che si è fatta sinistra, scegliendo la via del totalitarismo. 1 secondo aspetto rilevante del pensiero debenoistiano va visto nell'attualizzazione differen-zialista del concetto di razzismo. Centrale nell'analisi di Germinario è qui il riferimento agli studi del sociologo francese Pierre-André Taguieff. Il neorazzismo, simbolico o velato, formulato in chiave differenzialista dalla Nouvelle Droite, è caratterizzato, quindi, innanzitutto dal rovesciamento dei valori propri al relativismo culturale (passaggio dalla "razza" alla "cultura" e affermazione della radicale incommensurabilità delle culture); in secondo luogo, dall'abbandono del tema non egualitario e dal fatto di assumere come elemento assoluto la differenza culturale, da cui deriva la condanna della mescolanza e l'affermazione della reciproca non assimilabilità tra le "culture"; infine, dal suo carattere simbolico, in quanto rispetta le regole dell'accettabilità ideologica, anche attraverso una certa complessità retorica; si rifiutano i diversi pur celebrandone la differenza. Nella logica be-noistiana, dunque, è l'antirazzi-smo universalista e illuminista il peggiore dei razzismi, in quanto distrugge le differenze culturali e assimila l'Altro. francescocassata@hotmail.it Un pensatore rimosso di Marco Tarchi 1 di là dei limiti e dei pregi specifici, il libro di Germinario ha il merito di risarcire Alain de Benoist della disattenzione dimostrata nei suoi confronti dall'editoria italiana. Disattenzione, non solo preclusione. Perché se per decenni è stato impossibile per un autore considerato di destra pubblicare nel nostro paese per sigle regolarmente distribuite nelle librerie, anche da quando la situazione è cambiata, per de Benoist le porte sono rimaste chiuse. Solo Marco Vigevani, editor della saggistica Mondadori, all'indomani del terremoto elettorale del 1994 pensò di recuperare un titolo di sicuro richiamo come Visto da destra, vincitore di un premio dell'Académie Frangaise, che in Italia aveva esaurito le tremila copie stampate da Akropolis nel 1981 in pochi anni, malgrado la diffusione confidenziale. Ma l'indisponibilità del teorico della Nouvelle Droite ad aggiornare i capitoli invecchiati di un tomo di oltre 700 pagine mandò in fumo il progetto. Nel 1996 Ponte alle Grazie pubblicò uno dei suoi saggi più impegnativi, L'Impero interiore, ma le vendite non esaltanti frustrarono l'ipotesi di inserire in catalogo altri suoi titoli. Così, a tutt'oggi, malgrado le frequenti citazioni in articoli, convegni e libri, il pensiero di Alain de Benoist è ignoto al pubblico italiano. O conosciuto di seconda mano. Il che, come noto, può es- sere ancor peggio ai fini della sua recezione. Questa relegazione nel limbo ha fruttato al pensatore transalpino un'ininterrotta serie di incomprensioni e strumentalizzazioni. Benché Italo Mancini lo avesse definito nei primi anni ottanta, pur criticandolo, un "lucido e forte maitre à penser" dalla linea "sicura e coerente" (Ilpensiero negativo e la Nuova Destra, Mondadori), la sinistra ha visto in lui solo un pericoloso seminatore di idee innovatrici nel campo asfittico e maledetto della destra radicale. Tutti i numerosi strappi da lui apportati al quadro ideologico dell'area di origine sono stata ridotti, sbagliando, a operazioni mimetiche di infiltrazione nella cittadella della cultura democratica, finalizzate a sovvertirla dall'interno. ome ha rilevato Giovanni Tassani in merito agli studi di Franco Ferraresi e Mario Revelli, da parte antifascista si è preferito "evidenziare uniformità e permanenze rispetto alla matrice" usando un metodo "tanto più facile e comodo quanto più povero di risultati", facendone il profeta di un "razzismo differenzialista", da lui sempre respinto, o addirittura l'ispiratore del populismo di Haider, Bossi e Le Pen. Sino a scadere nella demonizzazione di chi, sulle pagine di "MondOperaio", non ha esitato a scrivere che "in fondo al pensiero di De Benoist si intravedono le sagome agghiaccianti delle camere a gas". Nel frattempo, la destra, che pure avrebbe avuto un gran bisogno di confrontarsi con chi ne metteva a nudo l'incapacità di confronto con la modernità, oscillava fra goffi tentativi di inglobamento e scomuniche. Quando scoppiò sulla stampa di tutta Europa il caso della Nouvelle Droite, indicata con stupore e fastidio come la prima destra pensante ricomparsa sulla scena dopo decenni, Almirante cercò invano di avere de Benoist fra i relatori del congresso del Msi del 1979, mentre i suoi sodali si ingegnavano ad arginare la penetrazione delle sue idee fra i giovani del partito estenuati dal nostalgismo e dalle tentazioni autoritarie. Intanto, l'area del tradizionalismo più estremo, estesa da Alleanza cattolica ai seguaci di Evola, riempiva le pagine delle sue riviste e quelle del quotidiano missino di anatemi contro il filosofo pagano d'Oltralpe e la sua "classe dirigente di riserva" del fronte sovversivo guidato da comunisti e socialisti. Sinora le idee di Alain de Benoist hanno quindi potuto circolare soltanto in un microcosmo che non si riconosceva più in nessuna destra, ma non amava la sinistra, venendo perciò osteggiato da entrambe. Ciò spiega perché, con l'eccezione del Nemico principale, una dichiarazione di guerra al liberalismo e all'americanismo che suscitò gli allarmati moniti di Giorgio Bocca e Domenico Settembrini, i suoi libri tradotti in italiano - Oltre l'Occidente La roccia di Erec, 1989; Razzismo e antirazzismo, La roccia di Erec, 1992; Il male americano LEdE, 1979; Le idee a posto, Akropolis, 1983; Democrazia: il problema, Arnaud, 1985; Come si può essere pagani?, Ba-saia, 1986; sino ai recentissimi Comunismo e nazismo e La nuova evangelizzazione dell'Europa, pubblicati da Arianna rispettivamente nel 2000 e 2002 - siano stati trattati con sufficienza dai recensori. Chissà se è venuto il momento di dichiarare chiusa questa ben poco democratica quarantena intellettuale. Forza Italia : la televisione e il partito di Giovanni Borgognone impegno politico di Silvio Berlusconi è un tema quotidiano della polemica giornalistica e televisiva. Assai meno, invece, è stato oggetto di analisi rigorose e distaccate, come intendono essere l'indagine del gruppo Itanes (Italian National Elections Studies) Perché ha vinto il centro-destra (pp. 176, € 10,33, il Mulino, Bologna 2001) e lo studio di Emanuela Poli Forza Italia. Strutture, leadership e radicamento territoriale (pp. 298, € 18,59, il Mulino, Bologna 2001). Quest'ultimo rischia, in tal senso, di apparire persino un po' "abbottonato". Ricostruisce lo sviluppo organizzativo del partito dal 1994 a oggi, esaminandone le articolazioni inteme, le strutture nazionali, i coordinamenti territoriali, le risorse finanziarie, e riportando alcuni dati, quali i notevoli finanziamenti da parte di imprese del settore alimentare, e la forte crescita del disavanzo, da dodici miliardi nel 1999 a quasi trentasei nel 2000. Si sofferma, come è d'obbligo, sul trasferimento di un gruppo dirigente dall'azienda alla politica, sulla progressiva "istituzionalizzazione" del partito e sulla permanenza, nel contempo, del ruolo fondamentale del leader. Di impianto puramente demoscopico è, poi, la ricerca condotta da Itanes, un programma promosso, tra gli altri, da Renato Mannheimer, Ilvo Diamanti, Gianfranco Pasquino, Paolo Bellucci, Marco Maraffi e Paolo Segatti. I ri- sultati dei sondaggi finiscono per confermare alcune impressioni molto diffuse tra gli osservatori. Ad esempio, che le casalinghe cinquan-tacinquenni, con scarsa informazione politica e molto esposte alla televisione, rappresentano un anello forte del consenso a Forza Italia. Oppure che gli elettori del centrodestra seguono più assiduamente i programmi delle reti Me-diaset rispetto agli elettori del centrosinistra. 1 libro di Stefano Passigli e Renzo Cassigoli Democrazia e conflitto di interessi. Il caso italiano (pp. 208, € 12,91, Ponte alle Grazie, Milano 2001), invece, è interamente proiettato nel campo di battaglia, ma offre spunti rilevanti per l'analisi politica. Senatore indipendente di sinistra, Passigli fu il primo, nel 1994, a presentare un progetto di legge, che prevedeva il blind trust, se efficace, altrimenti la dismissione del bene in questione. Solo successivamente giunse la proposta di Berlusconi, che contemplava il mero ricorso al blind trust. Anche questo strumento, però, nel progetto Fratóni, è stato giudicato inapplicabile, non potendosi ottenere, nel caso specifico, un "accecamento" del bene, neppure con la forma più ferrea di commissariamento. Di dismissione, però, non se ne parla, preferendo ricorrere a un'Autorità di garanzia, senza poteri di sospensione o di sanzione.