Storia Fascismo e fascismi di Alessio Gagliardi LO STATO FASCISTA a cura di Marco Palla pp. 435, €25,82, La Nuova Italia, Milano 2001 Hans Woller ROMA, 28 OTTOBRE 1922 L'europa e la sfida dei fascismi ed. orig. 1999, trad. dal tedesco di Enzo Morandi, pp. 294, € 18,08, il Mulino, Bologna 2001 Continuamente evocato dai sensazionalismi di molta stampa e dalla intramontabile disputa tra "revisionisti" e "antirevisionisti", il fascismo continua a essere uno dei privilegiati oggetti di studio della storiografia contemporaneisti-ca europea. La quale, pur se non frequentemente illuminata dai riflettori dell'uso pubblico della storia, ba continuato in questi anni a ricostruire fatti, a studiare documenti, ad affinare chiavi di lettura e strumenti interpretativi. Muovendosi, soprattutto nell'ultimo decennio, in direzione di una crescente problematizzazione e "complicazione" delle analisi. Per stare al caso italiano, se una tale direzione di marcia in alcuni casi ha prodotto quasi una scomposizione dell'oggetto-fascismo, e quindi l'enfatizzazione sovente eccessiva e immotivata dell'originalità e individualità di singoli personaggi, correnti e momenti, in molti altri si è rivolta a cogliere i meccanismi di funzionamento del potere mussolinia-no, i caratteri della classe dirigente, le articolazioni e le differenziazioni al suo interno, la complessità dei nessi tra società e potere pubblico. Ne è un esempio il volume curato da Marco Palla, una raccolta di ricerche certo non pienamente omogenee per ampiezza e originalità, ma che nel complesso tratteggiano aspetti importanti delle istituzioni del fascismo italiano. Il saggio iniziale di Palla, prendendo le mosse dalla considerazione che l'essenza dello stato fascista dovrebbe essere rintracciata nella costruzione di un tipo nuovo di stato non definibile solo sulla base del profilo istituzionale e dell'ordinamento formale, ma anche dall'avvento di uomini nuovi al comando della cosa pubblica, rivisita la tradizionale tesi interpretativa che vuole la supremazia dello stato sul partito. Il partito fascista, luogo di formazione-affermazione di una nuova classe dirigente e al tempo stesso strumento di controllo sociale, fu parte integrante dello stato italiano in quel periodo. Lo stato fascista fu dunque uno "Stato-partito", che iniziò a prendere forma a parti- re dal 1922, cioè dalla rottura posta in essere proprio dal ricambio della leadership politico-amministrativa. Il profilo politico, anagrafico e sociologico di questa classe dirigente, che risulta di conseguenza enormemente significativo se si vogliono definire i caratteri storici dello stato in quell'epoca, è ampiamente indagato da Palla mediante un'analisi di tipo quantitativo e lo studio di alcuni casi locali. Il secondo saggio, di Enzo Fi-miani, prende invece in esame l'ordinamento istituzionale dello stato fascista, affrontando l'analisi della concreta storia delle istituzioni e della legislazione fascista, cioè di quell'insieme di norme, consuetudini e meccanismi di organizzazione statuale che i giuristi definiscono "costituzione materiale", e il cui esame è stato troppo spesso sacrificato al formalismo giuridico. Muovendo da questa visuale, Fimiani individua una costante nel procedere del fascismo in rapporto alla sua costituzione materiale, cioè il sistematico ricorso a una prassi che riduceva la norma, il diritto, a sanzione ex post di forzature, violazioni e mutamenti avvenuti precedentemente. Fu mediante tale prassi, frutto in parte di scelte consapevoli e rivendicate e in parte della necessità di osservare prudenze istituzionali, che il fascismo tentò di fondare, un proprio paradigma costituzionale. Un paradigma che prese forma in modo certo frammentario, lento e contraddittorio, e che si articolò intorno a tre nuclei principali: la soppressione del sistema parlamentare pluralistico sia nelle pratiche istituzionali che nelle relative forme politiche, l'annullamento della divisione dei poteri e la supremazia assoluta dell'esecutivo, la limitazione degli spazi di autorità formale e politica della monarchia e della Chiesa. Il successivo saggio di Fabio Bertini ricostruisce l'opera legislativa del fascismo sulla sicurezza sociale, individuando come filo conduttore il procedere dall'iniziale tentativo di garantire un compromesso tra liberismo e centralismo, cioè tra imprenditoria privata ed enti pubblici (su tutti l'Ina), verso una progressiva centralizzazione che giunse, passando attraverso l'alveo della contrattazione corporativa, a edificare alla metà degli anni trenta un originale sistema di enti (Infps, Infail). La questione delle autonomie locali è indagata da Luigi Pon-ziani, secondo cui l'azione del fascismo in questo campo da un lato cercò di salvaguardare gli interessi del fascismo locale, e dall'altro si mosse verso una centralizzazione del potere che ebbe non pochi elementi di continuità con la tradizione accentratrice dello stato italiano. Giovanni Verni, infine, ripercorre le diverse tappe di perfezionamento delle strutture dello stato di polizia, dalle significative continuità con lo stato liberale all'abominio della legislazione razziale. Nel complesso, il volume riflette il rinnovato interesse per la storia degli apparati istituzionali del fascismo. Da un lato mantiene un costante confronto con i migliori studi degli anni sessanta e settanta, il periodo forse più fecondo per questo campo di interesse; studi divenuti veri e propri classici in materia e che costituiscono ancora riferimenti obbligati e ineludibili (si pensi, per non fare che un nome, a L'organizzazione dello Stato totalitario di Alberto Aquarone, che dopo quasi qua-rant'anni continua a essere un lavoro insuperato). Dall'altro lato, soprattutto con i primi due saggi, i più originali e dalle rica-■ dute più ampie e significative, ripercorre e riprende giudizi interpretativi alla luce di sensibilità e interrogativi in linea con le migliori tendenze della recente storiografia. E sufficiente far riferimento al rilievo accordato alle diverse forme assunte dai fascismi locali e al rapporto da queste tenuto con il potere centrale, e all'intreccio tra strumenti di controllo e strumenti di consenso e inquadramento, tra istituzioni repressive da una parte e organismi di massa e legislazione sociale dall'altra. Ben diverso è il libro di Woller, un'opera di sintesi apprezzabile, oltre che per l'aper- tura internazionale, per l'indubbia chiarezza espositiva, sebbene a tratti questa caratteristica vada a discapito della problematizzazione e della ricchezza dei riferimenti critici e bibliografici. In implicito dissenso con le posizioni di chi, come Renzo De Felice e Karl Dietrich Bracher, ha avanzato dubbi sull'esistenza di un fenomeno fascista internazionale, Woller propone una sorta di mappatura dei movimenti e dei regimi fascisti, collocandosi nel vasto filone degli studi comparati. Costante è l'attenzione di Woller ai diversi contesti nazionali e alle particolari condizioni politiche, sociali ed economiche con cui ciascun movimento ebbe a misurarsi, così come ampio spazio è assegnato ai rapporti, decisivi in larga parte dell'Europa meridionale e orientale, tra la sfida fascista e le dittature reazionarie, regie e militari. In diversi paesi proprio la presenza di regimi autoritari conservatori, che pure del fascismo ripresero più di un aspetto programmatico e non sempre con finalità meramente strumentali, costituì il principale impedimento alla conquista del potere da parte dei movimenti fascisti. Questione, quest'ultima, rispetto alla quale sarebbe stata utile, pur in un lavoro di sintesi, una maggiore problematizzazione del rapporto tra sviluppo e mo- dernizzazione, da un lato, e dialettica fra dittature reazionarie e fascisti dall'altro. Al tempo stesso Woller ripercorre i rapporti che legarono i diversi fascismi. Rapporti a volte reciprocamente proficui, spesso conflittuali, sempre complessi, perché dietro le affinità ideologiche e la vicinanza progettuale spesso vi erano forti divergenze e seri motivi di scontro derivanti dalla diversa natura degli interessi nazionali in gioco. A questo proposito Woller individua tre distinte fasi. La prima, apertasi nel 1933, con l'assunzione del potere da parte di Elider e quindi con l'acquisizione da parte del fascismo di una dimensione propriamente europea, fu segnata dai numerosi contrasti tra Italia e Germania. Nella seconda, che ebbe inizio nel 1936 con la rottura del fronte di Stresa e la formazione delibasse" in seguito alla guerra d'Etiopia e all'intervento in Spagna, si venne definendo una sorta di alleanza fascista, nella quale orbitarono anche regimi autoritari e dittature regie. Con l'inizio della guerra, infine, l'alleanza mostrò la propria precarietà, dal momento che la Germania elaborò la propria strategia e condusse l'impresa bellica in totale autonomia, non affidandosi alle forze che al movimento hitleriano esplicitamente si ispiravano neanche per il controllo dei paesi occupati. ■ alessio.gagliardi®libero.it La capitale tra passato e presente di Maddalena Carli Vittorio Vidotto ROMA CONTEMPORANEA pp. 510, €25,82, Laterza, Roma-Bari 2001 Come elemento di connessione fra presente e passato della politica, fra quotidianità e idealità, fra luoghi definiti e nessun luogo, il discorso su Roma è intervenuto nella storia d'Italia - più che in altri paesi, s'intende - in modo eccezionale. Esso perciò autorizza, anzi suggerisce, che continuamente vi si ritorni, in sede storica, con ulteriori rilievi e messe a punto", asseriva Alberto Caracciolo nei Luoghi della memoria (Laterza, 1996). Ultimo atto della serie di rivisitazioni cui sono state ininterrottamente oggetto la storia e il mito di Roma, lo studio di Vittorio Vidotto si distingue non solo per la capacità di far dialogare vicende locali e contesto nazionale, ma anche per la competenza con cui l'autore si misura - ripercorrendo gli oltre cento e quarantanni postunitari "attraverso le emergenze che caratterizzano ogni singola fase e ne definiscono il senso" - con approcci metodologici e analitici differenziati. Accanto agli eventi politici e istituzionali, le pagine di Roma contemporanea ne raccontano infatti la composita popolazione, le economie e i costumi; l'evoluzione delle politiche urbanistiche e delle opzioni artistiche e architettoniche; i rituali a esse ispirati; le rappresentazioni, e le autorappresentazioni, di una città investita delle funzioni di capitale laica ed ecclesiastica; la sua complessa e sofferta trasformazione in metropoli moderna. La moltiplicazione dei punti di vista sullo spazio urbano è, del resto, assunta a base pro- Roma tvntenjjoranpa Kpt'tiift iì&M grammatica del volume, in polemica con le "letture della città contemporanea, di tutta la sua storia dal 1870 in poi, nella chiave negativa della speculazione" - bersagli dichiarati: Antonio Cederna e Italo Insolera. Sostituendo alle spiegazioni monocausali l'esame della effettiva "capacità della classe dirigente locale e nazionale - e della cittadinanza nel suo insieme - (...) di creare una capitale che assolvesse in pieno il suo ruolo politico e simbolico di elemento unificante del nuovo Stato", è possibile recuperare - sostiene l'autore - la vivacità e l'articolazione dei progetti per Roma degli anni immediatamente successivi all'unificazione, e l'intreccio tra discorso politico e simbologie monumentali che qualificò i programmi di national building delle élites liberali; nonché la dimensione progettuale, moderna e razionalista, degli interventi fascisti, occultata dai critici dell'inciviltà del "piccone demolitore" e dai partigiani di una memoria che guarda "al passato non come a una storia comune, ma come alle vicende di un'altra Italia". Il superamento degli atteggiamenti deprecatori consente infine di accostarsi al lungo secondo dopoguerra come al periodo in cui, se giunse al termine la grande stagione dell'architettura pubblica avviata negli anni trenta, le trasformazioni urbanistiche iniziarono a seguire, nella città eterna, altri canali e modalità di affermazione, volgendo la sostanziale assenza di piano regolatore e l'aggressività speculativa dell'edilizia privata in risorse e strumenti di sviluppo alternativi alla carenza di progettazione e operatività dei poteri costituiti.