J Antologia di Geno Pampaloni, critico morale Tendere con tutte le forze verso la verità Geno Pampaloni IL CRITICO GIORNALIERO Scritti militanti di letteratura 1948-1993 a cura di Giuseppe Leonelli, pp. XLVII-500, Ut 45.000, Bollati Boringhieri, Torino 2001 Il mio modo di far critica è molto diverso da quello che era di Pampaloni, e ho seguito con comprensibile perplessità la curva discendente etico-politica che lo ha portato dalle pagine di "Comunità" e del "Mondo" a quelle dei giornali di Berlusconi e Montanelli. Ma può darsi che questa distanza garantisca la spregiudicatezza che non è concessa ai suoi vicini. E per ora mi consente solo di dire che Pampaloni era veramente un critico di prim'ordine. Discorrendo di questa benemerita e larga antologia (larga, s'intende, piuttosto in sé che in rapporto all'enorme lascito di scritti "giornalieri" del critico), io mi pongo soprattutto due tipi di quesiti: che specie di critico era Pampaloni; e: che visione aveva dei protagonisti del nostro Novecento letterario, o di alcuni suoi attori notevoli. Per il primo punto, non posso che enunciare un'ovvietà: Pampaloni è stato un'incarnazione perfetta e quasi paradigmatica di ciò che era un tempo la figura del critico "militante" nel senso stretto del termine (figura oggi quasi inesistente, e difficilmente possibile, per ragioni che sarebbe lungo spiegare). Cosa vuol dire? Alla base, intanto, una conoscenza sterminata e probabilmente senza lacune della letteratura italiana contemporanea, fino alle sue manifestazioni ultime e minori: ricordo il suo amico, e mio maestro, Gianfranco Folena esterrefatto di fronte a questa onniscienza ("legge tutto, proprio tutto!"). Ma molto di più importa il metodo. Parlando di Montale critico Pampaloni scrive che egli "evita, con anglosassone senso della misura, le stroncature". Che è verissimo, ma è anche esattamente quanto fa Pampaloni, nel cui libro non riesco a trovare una vera e propria stroncatura (e neppure del resto esaltazioni senza riserve, se non per pochi grandi). A differenza di altri militanti, Pampaloni depone volutamente ogni radicalismo, il che gli riesce anche per la natura sostanzialmente simpatetica e, almeno in apparenza, non-ideologica delle sue cronache. Importa mettere in luce alcuni corollari di questo atteggiamento. Il primo è che Pampaloni si studia sempre di sceverare il buono dal meno buono a partire però dalle "costanti" di uno scrittore (si vedano ad esempio le pagine dedicate a Soldati), o da quello che si diceva un tempo il suo "sentimento dominante", che in genere egli espone o meglio racconta in partenza, quasi fisiognomicamente. In questo è possibile dirlo ancora crociano - se si vuole, un Croce passato attraverso la non concettualità di Pancrazi. Ma non crociano è l'altro corollario: distinzione di riuscito e meno o non riuscito vorrà anche dire forcella poesia/non poesia o addirittura poesia/ struttura (come ad esempio, nel caso di Metello di Pratolini), ma quel meno e quella struttura non sono buttati al macero, bensì a loro volta analizzati e compresi nel "ritratto" complessivo dell'autore; di più: una mossa tipica del discorso critico di Pampaloni è quella per cui un dato aspetto di uno scrittore è visto come qualcosa da cui può scaturire nello stesso tempo un esito positivo e uno negativo, ciò che s'incarna e ciò che non s'incarna (e così "anche", "nello stesso tem- di Pier Vincenzo Mengaldo po", o simili sono sue tipiche formule di legatura e transizione). Del resto più o meno questo era stato il grimaldello con cui avevano forzato l'estetica (più che la prassi critica) crociana i migliori, e cito per tutti un critico molto poco ricordato da Pampaloni, Gianfranco Contini, fin dal suo saggio giovanilissimo sugli Ossi di seppia. E Pampaloni, coi suoi scrittori cattolici francesi come Bernanos e Péguy (che si trova ad accostare molto acutamente a Silone), ne sapeva qualcosa dell'ambiguità o ambivalenza. A un critico militante "giornaliero" è quasi impossibile evitare di mettere in primo piano l'"io", e perciò si ammira la parchezza con cui ciò avviene in Pampaloni, al quale quel pronome doveva essere piuttosto odioso, e non solo per pascalismo, ma perché certo egli si sentiva, più che un soggetto idiosin-cratico, una voce della comunità letteraria: il che è un altro bel tratto del critico militante "vecchio stile" ("Ho letto per la prjma volta...", "e me lo chiedo...", "La mia opinione è appunto la seguente", "anch'io vorrei fare qualche osservazione", "non posso nascondere...", ecc.). Ma è notevole come questa posizione si rifletta specularmente sull'oggetto del discorso. Grande pericolo della critica giornalistica è, si sa, quello di concentrarsi esclusivamente sull'oggetto in questione, autore o libro, cioè di essere puramente monografica. Grande merito di Pampaloni è invece di sfuggire da questa strettoia, storicizzando e comparando. Basta leggere il primo saggio su Vittorini, visto come esemplare di un periodo col suo Garofano rosso, e avvolto in una rete di comparandi, che qui - come altrove - possono essere non soltanto italiani (con particolare gioia vedo, nel caso, il nome di Arthur Koestler). Il fatto è che a Pampaloni, critico umanista (anche se non storicista: il termine anzi è usato da lui in modo un po' curioso) al servizio dell'informazione culturale, importa sì l'individuo-libro e l'individuo-autore (e, di fatto, il primo è sempre incluso nel secondo), ma altrettanto la situazione culturale del momento. Ancora: per evidenti ragioni il critico militante, specie se operi su quotidiani, non ha la possibilità di argomentare con tutta l'ampiezza che vorrebbe. Deve allora possedere l'attitudine a quello che io uso chiamare 1'"aforisma critico", alla definizione secca. Pampaloni possedeva questo dono in grado eminente (ed è qui che brillano in modo più lampante le sue qualità di scrittore); direi anzi che in lui questi aforismi spiccano tanto più in quanto emergono dallo sfondo di una prosa misurata e serena, e senza parere la bucano. Devo proprio mettere assieme una piccola antologia. Sulla critica: "Il compito dei critici è di sbagliare, di sbagliare per dar luogo ad una approssimazione migliore", eccellente; "Alberto Moravia è probabilmente il primo scrittore della sua generazione che non sia passato per Firenze", altrettanto buono; lo stesso "è tutto sommato scrittore d'ordine"; sempre su Moravia: "Per fare il doppio giuoco con la vita ci vuole ben altra stoffa"; "Si direbbe che lo scrittore [Pratolini] sia il primo a commuoversi per il bel romanzo che poteva scrivere"; "La grande tentazione dei critici giornalieri è di farsi postumi dei loro contemporanei"; il dopoguerra come "festa d'addio"; su Debenedetti: "La cultura di cui era nutrito era tutta, per lui, nell'ordine della liturgia"; quella di Bassani "era una prosa intimamente dedicatoria"; la "sottigliezza psicologica" è adoperata dalla Morante "come un raffinato espediente fiabesco"; "chi tentasse di imitare i moduli di Garboli potrebbe dire che Fortini è un Torquato Tasso che non è riuscito a impazzire", sentenza al quadrato. Eccetera. Bastano questi affondi a dichiarare il rango critico di Pampaloni, anche quando, anzi proprio quando, sono stilettate che raggiungono o sfiorano il paradosso. Ancora ancora. Le pagine dei critici militanti sono spesso delle colate da cui è il lettore a dover estrarre punti forti, gerarchie del ragionamento eccetera. In Pam- paloni no, e basterebbe a rendercene certi la sua inveterata abitudine a scandire le descrizioni o valutazioni in punti esplicitamente numerati. La chiarezza è la prima cosa che egli sente di dovere, oltre che alla propria razionalità, a suoi lettori, e non si può non ammirarlo per questo. Grande critico militante dunque: ma di che sottospecie? Lui stesso ha parlato di "critica di contenuti"; si potrebbe anche, sempre in prima approssimazione, usare la notoria etichetta di "critica di gusto". Io però sono pervicace nel trattare come ombra poco salda questa categoria: dietro il cosiddetto gusto c'è sempre un'ideologia, o qualcosa del genere (molto spesso una contro-ideologia). Ma è Pampaloni stesso a venirci incontro nel ritratto del suo amatissimo (fin troppo) Pancrazi: "La critica di gusto oscilla (o li comprende) fra gusto estetico e gusto morale", con la chiosa che in Pancrazi tendeva a prevalere il secondo. Dunque ci siamo: Pampaloni era in tutto e per tutto un critico morale: "si esercitò nel ritratto morale" si dice dello stesso Pancrazi, e magari sostituendo al troppo ottocentesco "ritratto" un termine diverso, la definizione si attaglia ottimamente a lui Pampa-Ioni: "morale" (e famiglia), col sinonimo "etico" (e famiglia) sono veramente le parole-chiave del suo linguaggio critico, e il temperamento del critico traspare anche, alla rovescia, quando ad esempio dichiara che Soldati è un non-moralista. Questo non vuol dire, per toccare solo di questo aspetto, che all'occasione Pampaloni non usi in modo efficace gli strumenti d'analisi della lingua e dello stile. Ma è anche vero che nell'elenco più che esaustivo di tipi di critica che egli stila a pagina 110, sempre a proposito di Pancrazi, tutte le fisionomie critiche sono nominate, ma non quella del critico-fi-lologo. E d'altra parte è indicativo che la palma di maggior critico italiano sia assegnata senz'altro da lui a Montale. Critico morale, dunque, e sia lodato: mai come oggi si sente il bisogno, tramontate le ideologie tecnicistiche (perché ideologie erano) e in un momento molto grave dell'Italia (e del mondo), mai come oggi si sente il bisogno che la critica - specie quella "giornaliera" - sia critica morale. In positivo, parla l'evoluzione di uno studioso del rango di Cesare Segre; ma troppo più frequenti sono i segni negativi, voglio dire il baloccarsi di tanti giovani, forse nipotini di Citati, in una critica di mero gusto che si nega l'argomentazione e dunque ci nega il contraddittorio: un libro come questo di Pampaloni può essere un buon contravveleno a questa ► direttore Carlo Bernardini nel fascicolo in libreria DOSSIER / DALLA PARTE DEGLI ANIMALI L'ambiguo atteggiamento dell'uomo verso i non umani, tra petmania e lager zootecnici. Interventi di Annamaria Ri vera, Elisabetta Visalberghi, Paola Cavalieri, Giovanni Ballardini FOTONICA Più luce dal silicio Luca Dal Negro e Giorgia Franzo Computer economici, minuscoli e superveloci: ecco una delle meraviglie che promette la sorprendente capacità di amplificare la luce del silicio ridotto in micro-briciole CURE PALLIATIVE Con dignità sino alla fine Letizia Gabaglio Abbonamento 2001: lire 80.000. 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