, LINDICF dei libri del uesebi La lettura dell'ultimo libro di Gaetano Afeltra, Milano amore mio, mi induce a fare alcune riflessioni su questa città nella quale sono approdato anche io come lui e come tantissimi. Mi domando: si può ancora parlare di Milano come città-mito? Afeltra non ha dubbi. Il suo è un amore antico e inalterato per Milano e per l'azienda-istituzione che, per lui, ne è il cuore: il "Corriere della Sera". D'altra parte la parola "amore" l'aveva già scelta per il primo libro di ricordi, Corriere primo amore, uscito nel 1984. Le città-mito sono tali, o vissute come tali, per due motivi. Il primo è quello che nasce dalla bellezza: natura, storia, opere d'arte. Il secondo motivo discende da un complesso di fattori: modernità, dinamismo, potenza, ricchezza, accoglienza (e arte, naturalmente). Questo è il caso di Milano. Per rispondere alla domanda che mi sono posto rievoco due momenti della mia Milano. Il primo risale alla giovinezza, alle visite compiute prima della guerra; per l'altro momento scelgo il 1960, quando vivevo a Milano da oltre dieci anni e potevo considerarmi un "inserito". Le mie visite giovanili partivano da Genova, dove sono nato e cresciuto. Città ricca, sobria e di mugugno. Come tutti i liguri provavo per Milano alcune riserve. Di costume, di stili di vita si direbbe oggi. I viaggi a Milano, quasi tutti con mio padre, erano occasionali e brevi. Ma li ricordo attraenti, ricchi di impressioni per tante cose che mi colpivano. Teatri, cinema, mostre, incontri calcistici, la Fiera, giornali, bar, pasticcerie, ristoranti. Ma soprattutto luci, colori, un via vai intenso e la città grande. Più o meno erano le stesse cose che avevano colpito Afeltra, cose "mai viste e mai immaginate", scrive. La differenza era l'età: lui era un giovanotto arrivato a Milano per fare il giornalista, io un ragazzo in gita. Tutto era di più di quello che potevano mostrare le piazze e le vie di Genova. Ricordo le cento e cento curiosità della Fiera e l'impressione "americana" che mi fecero le récla-mes luminose che coprivano le facciate dei palazzi di fronte al Duomo. (Per questo, ora, ne lamento la scomparsa). Grandi e numerose erano le differenze con la vita nella mia città. Tutto, a Milano, concorreva a percepirla come una metropoli moderna. "Capitale morale" era una definizione corrente. Per il secondo momento esemplare, intorno al 1960, il ricordo è la passeggiata di un viaggiatore immaginario che, arrivato alla stazione centrale, cammina verso il centro per poi arrivare al Castello Sforzesco. E l'itinerario che mostrava la potenza di quella Milano. Il primo colpo d'occhio lo imponeva il grattacielo Pirelli, il più alto, slanciato nel cielo. Poi, supe- Da stranieri a cittadini per salvare l'Inps di Francesco Ciafaloni Il numero degli stranieri presenti in Italia è in aumento. È in aumento la domanda di lavoro, non solo nei servizi alla persona e nel commercio ma anche nell'industria, tanto che nel nord-est e nelle altre aree a piena occupazione del paese le organizzazioni degli industriali chiedono l'aumento del numero dei permessi di soggiorno per lavoro per stranieri previsti nell'anno. Dall'altro lato l'Inps è in crisi (e lo sarà sempre di più nei prossimi anni) perché cresce il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi che versano i contributi. Un demografo di vaglia, Livi Bacci, sostiene da anni in libri e articoli una tesi: i paesi mediterranei dell'Africa non riescono a occupare il numero crescente dei propri giovani; data la caduta demografica, l'Italia e, in misura minore, altri paesi europei non riescono a coprire, in numerosi segmenti del mercato, la domanda di lavoro; data la forte differenza di reddito (che è di dieci a uno), un paio di centinaia di migliaia di immigrati l'anno rata piazza della Repubblica e i suoi palazzi, il mio viaggiatore vedeva la mole in vetro-cemento della sede Montecatini dove signoreggiava il conte Faina. Poco più avanti, ecco il Palazzo dei giornali fatto costruire da Mussolini per il suo "Popolo d'Italia" ma ora spartito da diversi affitti. Basta un'occhiata e poi andare avanti. In piazza della Scala, accanto al Teatro d'opera più famoso del mondo e al municipio, ecco il Palazzo che pesava molto, sede della Banca Commerciale del celebre Mattioli: la banca più importante di tutte quelle che vedeva arrivando al Cordusio. Spingendosi fino al Castello, il mio viaggiatore vedeva un altro palazzo del potere: quello della Edison dove signoreggiava il dottor Valerio. Infine, se eravamo in aprile, il mio viaggiatore prendeva un taxi o un tram e andava alla Fiera. Gli mancava, però, il palazzo del "Corriere della Sera". Ma quel giornale lo aveva letto prendendo il caffè. Era il solito tradizionale foglio della borghesia Il mito di Milano e l'incanto del Corriere di Paolo Murialdi "Gli industriali chiedono l'aumento del numero dei permessi di soggiorno" lombarda, come si diceva da tanti anni: ricco di firme, ponderoso, governativo come la Confindustria. Comincerà a svegliarsi dopo poco. Il neonato "Giorno", che cercava di rappresentare la modernità, gli faceva una magra concorrenza in città. Sono passati quarant'anni. Quante cose di allora non ci sono più, oppure contano di meno, oppure sono cambiate. Il nipote del mio visitatore del 1960 trova la Regione installata nel gratta- in più per paese potrebbero dare un serio contributo alla stabilizzazione demografica ed economica del Mediterraneo. Infatti mezzo salario italiano rimandato in Marocco vale cinque salari marocchini. E i contributi versati all'Inps e all'Inail ripianano il loro deficit. Gli italiani però, in particolare gli italiani che scrivono sui giornali e parlano alla televisione, non ne sono convinti. Si aggiungano i, sempre seri, avvertimenti di Sartori (che ha insegnato per decenni nel paese più mescolato del mondo, gli Stati Uniti) sul pericolo per la coesione nazionale. Si aggiungano i, serissimi, inviti a chiudere la porta agli islamici del cardinale Biffi, sostenuto dal cardinale Sodano. Si aggiunga l'allarme crescente per la microcriminalità (degli stranieri, naturalmente). Vedo anch'io le tensioni e gli attriti che ci sono; e penso che cresceranno. Mi ricordo anche però che ce n'erano di maggiori durante la grande migrazione interna degli anni '50, '60 e '70 cui dobbiamo la nostra prosperità (o senza la quale la nostra prosperità sarebbe stata impossibile). Vedo l'importazione di criminalità da paesi implosi; mi ricordo anche però che avrebbero potuto non implodere se l'Europa avesse avuto una politica estera degna di questo nome e non puramente conservatrice. cielo Pirelli. La Montecatini non esiste più. Nel palazzone di vetrocemento affittano uffici. La Banca Commerciale è decaduta e non è più ambita, come una volta, da risparmiatori e da coloro che cercano un impiego. E nella zona del Castello nessuno ti indica più il palazzo della Edison, poi Montedison. Le grandi fabbriche sono diventate aree dismesse che in alcuni casi stanno rifiorendo per soddisfare altri interessi. La Fiera non c'è più; ce ne sono decine, ma il senso del popolare è scomparso. C'è sempre la Borsa, è vero, che attira più attenzioni di un tempo, ma gli affari si possono trattare on line. C'è Silvio Berlusconi, ma sta a Roma. C'è la moda che è diventata l'impresa più visibile della città. Ci sono tante, tantissime automobili e vecchi e giovani, ricchi e poveri che parlano nei telefonini. Milano, comunque, è sempre la metropoli dell'Italia, il centro della finanza e degli affari. Ma le differenze nella vita quotidiana, nei consumi soprattutto, rispetto ad altre città sono molto diminuite. Effetto della televisione, della motorizzazione di massa, della diffusione dei computer, del benessere diffuso. Quel complesso di fattori pur disparati che davano il senso al mito di Milano non esiste più; o, meglio, non è più un insieme. Vecchi e nuovi fattori reggono la metropoli, ma si offrono disuniti al visitatore di oggi. C'è sempre il "Corriere della Sera" e il suo palazzo emblematico di via Solferino. È ancora il quotidiano più diffuso d'Italia. Il suo aspetto è cambiato attraverso un lavoro di modernizzazione basato sulla vivacità e sulla varietà dei contenuti. Ma non ha più il dominio giornalistico di un tempo: ha un concorrente diretto; e, poi, i lettori di quotidiani sono rimasti pochi in Italia, e quella che un tempo veniva chiamata "la borghesia lombarda" come categoria concettuale non esiste più da tempo. Nelle edicole milanesi, accanto alla pila del "Corriere" ci sono altre pile. Piccole ma ci sono, e hanno lettori in quel vasto ceto medio che ha preso il posto delle classi sociali di una volta. Nel 2001 il quotidiano di via Solferino festeggia i suoi 125 anni. Lo fa creando una Fondazione, che potrebbe avere un ruolo culturale importante, e pubblicando alcuni supplementi storici. Afeltra dedica un capitolo dei suoi ricordi milanesi al "Corriere" ma si limita a quello in cui entrò prima della guerra. Sono le pagine intitolate Cisoia incantata. Un amore così grande da far relegare in terzo piano il fatto che, negli anni trenta e poi fino al ritorno della libertà, il "Corriere" è stato un giornale fascista. Era il migliore per qualità, ma obbediva ai voleri di Mussolini. ' lO e e So GQ Il percorso per trasformare i contadini in cittadini non è stato né facile né senza costi. Un mondo è morto e un altro ne è nato. Ma quando il mondo si destruttura e si ristruttura, le regole e il controllo sociale sulle regole si distruggono e si ricostruiscono. Ognuno tiene qualcosa e conserva qualcosa del mondo antico, quello che per lui ne era la sostanza. Ma nella transizione si possono combinare disastri; e ne abbiamo anche combinati. Anche l'arrivo degli stranieri, da aree con usi e costumi talora abbastanza diversi, talora così simili da farci paura perché a molti di noi ricordano il mondo da cui siamo usciti e che abbiamo rimosso, è una destrutturazione e una ristrutturazione del mondo. E potremo combinare disastri. Ma l'apertura e il confronto, non solo economico ma anche di costumi, è un bene. E una premessa dell'universalismo, non una negazione. Non tutto sta al centro. Kant era nato in capo al mondo ma ragionava piuttosto bene lo stesso. Se ci parleremo forse riusciremo a non sterminarci a vicenda, come abbiamo fatto robustamente in passato e continuiamo a fare occasionalmente anche oggi. Non ci sarà certo risparmiato il conflitto, in cui ciascuno di noi avrà il diritto e il dovere di essere se stesso, ma speriamo ci venga risparmiata l'ideologizzazione del conflitto, la sostan-zializzazione della nostra, così mutevole e plurima, identità.