N. 5 Narratori italiani Siamo ciò che non vorremmo di Sergio Pent Sebastiano Mondadori GLI ANNI INCOMPIUTI pp. 470, Ut 34.000, Marsilio, Venezia 2001 Non pensavamo ci fosse ancora, in queste stagioni letterarie più ammiccanti che seducenti, qualcuno in grado di arrampicarsi sulle vette di un romanzo aspro, contorto e concettoso, assai poco cordiale nei confronti del lettore medio-basso che dà voce alle nostre esili classifiche. Non pensavamo, soprattutto, che un esordiente trentenne riuscisse nell'intento di asservirsi con dignitoso rispetto alle egemonie di molti uomini senza qualità della grande narrativa del Novecento. Sebastiano Mondadori traccia rotte impensabili per la nostra frettolosa inconcludenza, ci costringe a leggere senza la rincorsa al soprassalto finale e a riflettere sulle inadempienze della vita, sulle stonature che bruciano gli anni lasciando credere che qualcosa, in qualche imprecisato bivio del passato, avrebbe potuto dirottarci verso un altro destino. Gli anni incompiuti è un romanzo difficile e tortuoso, ma di una tortuosità che si giustifica nelle spirali avviluppanti della vita stessa. Non c'è linearità perché niente è lineare nel percorso dei destini: ci sono attese e speranze, rimpianti e conclusioni dettate dalla mancanza di un vero epilogo giustificabile, credibile. La vita dell'attore Leone Ruperti è un tracciato a ritroso attraverso tutte le storie sentimentali perse senza mai aver trovato un vero sviluppo. Ciò che non è stato possibile realizzare con l'esperienza viene ricreato dalla fantasia di un uomo malato e in declino, che vuole regalare una fondata compiutezza ai destini delle donne che per qualche tempo incrociarono la sua vita. Così non ci stupiamo più di tanto se il vero protagonista compare in campo solo a pagina 187, dopo che abbiamo seguito Giulia civettare col chirurgo Sestieri, Alice disperarsi per l'omicidio del padre, Caterina scimmiottare una tele-novela di tradimenti provinciali sull'onda delle grandi dive di Hollywood. Con ciascuna di queste donne, in anni smarriti e sussurrati che coprono idealmente trent'anni di marginalità epocali, Leone è stato una comparsa incapace di diventare protagonista: le storie sono ferme nel passato, ma della sua inquietudine il nostro eroe di cartapesta ha fatto un punto di forza in cui ricrearsi. Donne incontrate e perse, alle quali egli ha lasciato in eredità un destino su misura, mentre la sua odissea di attore di se stesso viene a infrangersi sugli scogli di un'ultima storia - con la matura Claire - dove la figura quasi magica della piccola Kimiko, figlia della donna, riassume in sé tutte le infanzie rubate al loro angolo di quiete. Leone Ruperti gioca con la vita altrui per cercare, in fondo, il copione giusto per vivere se stesso. "Gli anni incompiuti sono il solo tempo che abbiamo da vivere", sostiene il metaforico prefatore del libro: ed è la ragione stessa per cui avviene tutto il resto, tra figure femminili mai troppo carismatiche, mondi ricreati per giocare al gioco della vita, sfondi idealmente cosmopoliti ma riassunti nella remota muffa di infanzie solitarie. Siamo spesso ciò che non vorremmo essere, e l'antieroe del romanzo di Mondadori dimostra di avere ovviato alle proprie inconcludenze con un potente soffio rivolto al passato, dove ogni figura sfiorata ha trovato una trama in cui anche il ricordo riesce a decretare i passi del futuro. Le ambizioni erano molte ed evidenti, il risultato è un libro possente, a tratti ricco di "antica" saggezza, forse solo ingombrato da un eccesso di distaccata frammentazione da parte di un autore che vorrebbe esserci senza farsi sentire. Ma l'autore c'è, e sorprende - con le dovute riserve - per questo coraggioso passo all'indie-tro nella narrativa "da meditare", dove il rischio è di essere grandi profeti o dignitosi amanuensi di idee altrui. Vorremmo collocare il romanzo in una ipotetica via di mezzo, tra episodi appena impacciati e pagine di una maturità umana tutta da rimuginare, che restituiscono il giusto spazio alla doverosa lentezza dei pensieri. finisce in manicomio; il vecchio, tornato a Parigi, vi muore dopo pochi mesi. Romanzo costruito su tre tempi: il 1901, quando Gide arriva a Taormina per la prima volta; il 1950, quando vi ritorna e incontra l'ultimo amore; il 1995, quando, torbidamente, la vicenda torna in luce e si scopre la parte che vi hanno avuto Truman Capote e Jean Cocteau. L'autore, Vanni Ronsisvalle, nato a Messina, ha una lunga carriera da romanziere e giornalista (già sul "Mondo" di Pannunzio). Di Taormina rievoca il mito estetizzante. S'affida all'eco dei nomi assai evocativi per il lettore che li riconosca. Adriana Brown, Un ventaglio di seta blu Savoia, pp. 176, Lit 20.000, Filema, Napoli 2001. Una tragedia passionale nella Roma del 1911 (dove la contessa Giulia Tasca viene trovata uccisa assieme al giovane ufficiale Vincenzo Paterno) e altre due morti misteriose nel 1938 (di una domestica e di un losco cameriere) hanno infine un'imprevedibile spiegazione nel quadro della politica estera. Intrighi della corte sabauda, erotismo e gioielli di dame, alberghi equivoci, lettere rubate. Sull'onda del successo dei due generi, storico e investigativo, Filema pubblica un romanzo che s'indovina scritto anni fa, forse negli anni sessanta. Primo romanzo in lingua italiana di una scrittrice cosmopolita, che ha avuto buona fortuna in Spagna. Giuseppe Lupo, L'americano di Celenne, pp. 198, Lit 26.000, Marsilio, Venezia 2000. Una data governa le storie di questo romanzo. E il 14 giugno 1934, quando Camera viene sconfitto al Madison Square Garden e per misterioso contraccolpo psicologico Danny (ex Donato) Leone, un qualsiasi italiano scappato dalla prima guerra mondiale, abbandona l'America e se ne torna a Celenne, Basilicata. Sono in tre a raccontare la vita di Danny: il suonatore di jazz, amico di gioventù; il medico dell'ospizio, che lo cura a Celenne; l'av vocato newyorkese, figlio d'un compaesano, che viene a gestirne i funerali. Giuseppe Lupo, nato nel 1963 ad Atella (Potenza), disegna una storia minore, intrecciando le vite spicciole ai grandi eventi, come emigrazione fascismo guerre. Ne è venuto un romanzo av- venturoso e fitto, ispirato al cinema. Giampaolo Pansa, Romanzo di un ingenuo, pp. 352, Lit 29.900, Sperling & Kupfer, Milano 2000 Dei romanzi di materia novecentesca usciti nei mesi scorsi questo è l'unico davvero storico. Giampaolo Pansa racconta la storia e la politica italiana durante un secolo, tra la fine dell'Ottocento e gli anni di Craxi. La racconta, nei primi capitoli, dall'osservatorio di Casale Monferrato già noto ai suoi lettori, in un familiare colloquio con le ombre dei genitori; e via via alla memoria tramandata fa subentrare l'esperienza diretta, nella Torino della Fiat e della "Stampa" e poi a Milano e a Roma. Nel passato e nel presente usa i metodi dell'inchiesta giornalistica: carte, documenti, archivi, nomi e date. E, avvicinandosi al nostro tempo, ne trae straordinari ritratti di vittime e di potenti, dai quali scrosta lo stereotipo in cui la politica li ha fissati. "Le storie che ho narrato qui sono tutte vere", dice Pansa. Ma il libro "lo chiamerò ugualmente romanzo". Per la sua qualità emotiva, per il valore soggettivo della memoria. (L.D.F.) Irrazionali, ip erte enologici Gigante buono per meretrice filosofa di Pietro Spirito Mauro Covacich L'AMORE CONTRO pp. 247, Ut 24.000, Mondadori, Milano 2001 Non dev'essere un caso se nel titolo delle ultime opere di tre scrittori come Tiziano Scarpa (Amore®, Einaudi, 1998; cfr. "L'Indice", 1998, n. 10), Aldo Nove (Amore mio infinito, Einaudi, 2000; cfr. "L'Indice", 2001, n. 2) e Mauro Covacich ricorre la parola "amore". E non dev'essere un caso se Covacich struttura i capitoli di L'amore contro in una scansione a rovescio simile a quella utilizzata da Nove per il suo ultimo romanzo. Sono piccoli segnali indicatori di come tre autori diversi fra loro si orientino lungo coordinate simili nel momento in cui si apprestano a indagare, a rappresentare, il fracasso - per dirla con Scarpa - di una società che riduce a merce inscatolata anche l'amore. La storia di Sergio, gigante buono destinato a soccombere stritolato da un meccanismo affettivo e perverso impossibile da fermare, si svolge in quel Nord-Est che - nelle geografie narrative -ormai da tempo è assurto a simbolo di un mondo decerebrato e svalorizzato, terra di idolatrie consumistiche disumanizzanti e potenzialmente distruttive - a differenza di un Sud decadente e umorale, ancora preda di arcaici mali metafisici: il baby killer dell'ultimo De Silva (Certi bambini, Einaudi, 2001; cfr. "L'Indice", 2001, n. 4), tanto per fare un esempio recente. Sergio è impiegato in una ditta di espurghi, dopo aver lavorato come necroforo e dopo aver rinunciato per sempre al sogno di suo padre, quello di diventare un presentatore televisivo. In seguito a un banale incidente meccanico a causa del I documenti raccontano Cos'è un romanzo storico? Se ne è discusso a Milano, il 16 marzo, in un mercato promosso dalla Mondadori. L'occasione è venuta dall'uscita del volume a cura di Laura Lepri I documenti raccontano, frutto di ricerca negli archivi lombardi, e l'obbiettivo è stato così formulato: "E possibile mettere a punto una sorta di codice narrativo in cui trovino equilibrio fonti documentarie e invenzione?". Interveniva fra gli altri, come storico e scrittore, anche Alessandro Barbero. E anche Laura Pariani, insegnante e scrittrice, va in libreria a marzo con un romanzo su Nietzsche: La foto di Orta, pp. 215, Lit 28.000, Rizzoli, Milano 2001. quale si ritrova coperto di escrementi, Sergio conosce Ester, una prostituta d'animo istruito, meretrice da strada per scelta e filosofia. Poco alla volta entrano nel romanzo gli altri personaggi: Bemet, capo di Sergio e pornografo, Angela, sorella di Ester, Adriano, compagno di Angela ed ex amante pedofilo della Ester bambina. Fra loro c'è un intreccio di legami e coincidenze dei quali ognuno è all'oscuro, e i cui meccanismi - P"intelligenza delle cose", come la chiama con bella espressione Covacich -condurrà alla tragica agnizione finale. Le vicende dei principali protagonisti si muovono sullo sfondo di realtà effettuali e simboliche: gli allevamenti di struzzi - metafora dell'arricchimento facile e stolto -, e soprattutto i maghi televisivi, gli imbonitori da tubo catodico, stemma di un'umanità ipertecnologica ma irrazionale, sazia ma sola, ottusa ma bisognosa di astrologiche sicurezze. In questa terra l'amore tra Sergio, "pachiderma con le ali", ed Ester non potrà che crescere male, come crescono male le arance fertilizzate che si comprano nei supermercati: "C'è l'affanno di cambiar forma (...) la fretta di mettere materia su materia per prendere spazio, il disordine generoso del mutamento". Per questo, come dirà Ester, l'amore di Sergio, così affamato di purezza dopo tanti escrementi e cadaveri, "porta naturalmente con sé morte, cenere, siccità". Se oggi introverse adolescenti finiscono per massacrare la propria famiglia, se imberbi ragazzini accoltellano le loro fidanzatine per fragili gelosie, se bravi giovani non esitano a rapinare banche per il puro sfizio di farlo, tutto ciò, sembra dirci Covacich, accade anche perché non c'è più posto "per le cose fatte dalla natura". Ed ecco, in uno dei passi migliori del romanzo, il rogo criminale che - quale avvertimento mafioso - brucia dall'interno del tronco un ulivo secolare. Nella lenta agonia della pianta simbolo della pace ("Si era tenuta dentro tutto il fuoco, fungendo da canna fumaria della sua stessa morte") c'è il destino delle esistenze impossibilitate a esprimersi, impedite e soffocate dal nulla quotidiano. Nel costruire quello che può essere considerato il suo miglior romanzo dopo la buona prova dei racconti di Anomalie (Mondadori, 1998; cfr. "L'Indice", 1998, n. 7), Covacich ricorre a una struttura e a un montaggio articolati e ben congegnati, affidandosi a un scrittura controllata e matura. E se a volte rischia cadute di tensione e una certa prevedibilità di intenti, il racconto mantiene fino in fondo coerenza e coesione. Doti indispensabili per rappresentare con efficacia un mondo il cui principale credo, ci ricorda l'autore, ruota intorno "alla merda e ai soldi". ■