Premio Italo Calvino Dal romanzo premiato Piccola serenata notturna di Errico Bonanno Pubblichiamo due brani tratti dal romanzo di Errico Bonanno Piccola serenata notturna, che ha vinto il Premio Italo Calvino 2000-2001 (XIV edizione). Quando il secolo iniziò, un uomo uccise il nostro re. Non tutti se ne accorsero però, c'erano alcuni che non sapevano neppure fosse nato, il re, e l'eco di quel colpo di pistola non poteva toccarli: il mio paese era un paese d'Abruzzo, la gente era impegnata a vivere, anzi a campare. La gente lavorava e non sapeva neppure quale fosse stato il nome del re morto, quando il secolo iniziò. Mio padre però era una di quelle persone con il mal di testa di frequente, a cui scoppia l'emicrania alla prima scossa lieve. Me lo immagino steso a letto, con la camicia da notte e gli occhiali inforcati, che legge tutto torvo la gazzetta: è morto il re. Papà si massaggia la fronte davanti alla notizia e dà l'annuncio: "Ho mal di testa". "Tu non pensare a cose brutte!" gli dice mamma levandogli tenerissima il giornale dalle mani, e lo bacia sulla bocca. Io come posso raccontare? Bi- sogna cominciare dal principio, eppure giuro: del giorno fatale ed essenziale in cui sono nato, io non mi ricordo niente! Qualcuno potrebbe considerarlo normale, perché capita a tutti, perché i neonati non ricordano ma poi col tempo crescono e allora... E già, non è un problema per chi ha interi anni di memoria in sé e dunque quei tre o quattro d'infanzia si possono anche buttar via. Ma io, io che quel comune difetto di bambino me lo sono portato avanti a vita, io che non ho memoria, come posso raccontare? Naturalmente ho come tutti un'immaginazione, con l'immaginazione si può trovare anche un inizio. Quando ero piccolo, d'altronde, ero convinto che concepire un bambino significasse letteralmente inventarlo: si può concepire con qualcos'altro che non sia la mente? Il re era morto e voglio credere che andò cosi che m'inventarono: volevano scacciare un mal di testa, volevano pensare a qualche cosa di leggero. E fu per questo, io penso, che in vita mia non cambiai mai: per sempre fui una fantasia con cui distrarsi dai pensieri brutti. Mi cresimai, ad esempio, verso i quindici anni: dell'enorme fila di bambini che andavano dal vescovo, lì sull'altare, ero il più grande. Ognuno, a turno, poteva dire a quel vecchietto tutto dorato quale fosse il suo più alto desiderio e lui diceva: "Pregherò per questo!" Poi ti dava uno schiaffetto, ti metteva l'olio in fronte e andavi in pace. "E hai una preghiera, tu?" chiedeva lui. E tutti: il babbo, che tornasse vittorioso dalla guerra! Che potesse sconfiggere il nemico! Il babbo, il babbo, che fosse vivo e stesse bene! "E hai una preghiera, tu?" chiese anche a me, sempre dorato. Lucente così, pareva san Franco che passava in processione. Io un fratello in guerra ce l'avevo, però, non so, mi uscì soltanto: "Eminenza, mi fa promuovere alla scuola?". Degli schiaffetti santi il mio fu il più sonoro. Tanto meglio: fu il più santo. (...) Due natali prima dello scoppio della guerra lo scultore Ernst Mùller riuscì ad organizzare a Monaco la sua prima esposizione e, benché la sua arte fosse all'epoca totalmente sconosciuta, l'aspettativa che si creò intorno all'evento fu d'una intensità mai vista. Nativo di Praga, aveva viaggiato per l'Europa già da giovanissimo entrando in contatto con i circoli d'avanguardia più stimolanti. Francia, Germania, i salotti, le cantine e le soffitte erano presto riusciti a trasmettergli passione e buon gusto a sufficienza da trasformare il suo sguardo di tozzo boemo in quello aperto e luminoso dell'artista di mondo. Per non parlare poi della lucidità dei suoi articoli su Der Sturm, dei suoi interventi spiazzanti nelle riunioni del Blaue Reiter, della fama di critico schietto e netto che i suoi discorsi brillanti gli erano riusciti a dare in tutti gli ambienti più impegnati e creativi. Si poteva dire senza timore che l'unica cosa che mancasse all'artista raffinato e supremo fosse una prima, almeno una, opera d'arte. Così, quando si sparse la voce che a Mùller stava vagando in testa l'idea di organizzare un'esposizione inaugurale, la macchina si mise subito in moto rombando: da banche ed aziende arrivarono mille offerte di finanziamento e lo stesso Paul Klee si offrì di far da padrino per la mostra con un bel discorso iniziale. La folla all'ingresso era scalmanata ed ansiosa. Klee, giunto in ritardo sebbene tra i più trepidanti, montò su di un piano rialzato accolto da applausi. "La ricerca della verità profonda della vita e dell'umano, l'urlo che strazia e contorce il moderno in un'aspirazione all'alto, all'altro si è in questi anni talvolta concretizzato in una parola nuova, ruggente ed ancora per molti oscura: Expressioni-smus! Per quelli di voi a cui l'apparenza delle cose non basti, per quanti non temono la forma sconvolgente del reale, questo artista ha lavorato e ha creato. Assistiamo insieme ad un'alba rosso fuoco!". Mùller, silenzioso in un angolo, attendeva con un ghigno inesplicabile l'apertura delle porte. Quando i visitatori fecero il loro ingresso non trovarono che un salone ampio e bianco con due tavoli semplici in mezzo e, su questi, le opere d'arte: una mela in gesso, una bottiglia in gesso, la scultura di un cappello a cilindro, di un vaso di fiori, di una chiesetta piccina e stilizzata tutte bianche, di gesso. L'espressione sorridente del pubblico si tramutò presto in un broncio perplesso, talvolta arrabbiato. Ma intanto Ernst Mùller ghignava in un angolo. "Non capisco. - diceva qualcuno - Non capisco davvero...". "Neanche io, a dirla tutta. Mi sfugge qualcosa?". "Ma che sfugge e sfugge! - s'aggiungeva uno al coro - Qui ci prendono in giro". Paul Klee si diresse con passo sicuro e furioso verso la seggiola sulla quale sedeva l'artista. Gli disse: "Mio caro signore, è a dir poco urtante vederla sorridere così dopo lo scherzo che ci ha tirato! Lei è libero di far ciò che vuole, ma se il suo piano era quello di esporre... - afferrò la mela - ...questa cosa di gesso, avrebbe dovuto chiacchierare di meno in certi circoli ed evitare d'invitarmi a parlare di espressionismo!". Mùller era un tipo taciturno. Non disse niente. "Ha idea del clamore che tutte le riviste hanno alzato su questa esposizione? Perché non ha avvertito nessuno che voleva creare... così?". "Ci ha fatto fare una bella figura! Provi a guardare il suo pubblico, la faccia che fa!". « » Paul Klee si fece rosso da capo a piedi. "E si degni almeno di rispondermi, Sacro Dio! " e gettò la mela a terra con tutta la forza della sua collera. Il miracolo si compì, tutti gli occhi della sala si puntarono sulla scultura in cocci. Klee rimase attonito, poi sfoderò un sorriso e strinse la mano all'artista senza aggiungere niente. Tutti i visitatori proruppero quindi in un applauso ed iniziarono a mandare in frantumi il resto delle opere. La corrente che il mondo avrebbe cresciuto come Interni-smo aveva avuto il suo inizio: dall'interno della mela di gesso, in pezzi sul pavimento, era uscito un verme, vero, piccino, di cui nessuno si sarebbe altrimenti mai accorto. E dal cappello a cilindro scaturì un paio di mutande, e dalla chiesa minuta un pezzo di carne rancida, e dal vaso di fiori la foto di una vecchia... Il praghese Ernst Mùller era l'idolo nuovo dei salotti tedeschi e, mi ricordo, per mesi interi non si parlò di altro. È per questo che a volte mi domando come sia stato mai possibile che, dalla memoria di tutti, egli sia scomparso con una rapidità più unica che rara: questo ha davvero dell'incredibile. Sarà stata forse colpa della sua faccia burbera, la barba lunga, le sopracciglia sempre aggrottate che mettevano paura. Era grande, era tozzo, aveva le mani nere e capienti, vigorose e potenti, come fosse sempre pronto a sganciare un cazzotto alla prima critica: più di uno ne rimaneva profondamente intimorito. Eppure assicura chi vi ebbe a che fare davvero che egli fosse nel profondo uno degli uomini più gentili, più schietti e simpatici al mondo. Oltre a un artista eccelso, soprattutto; ma questo era sotto gli occhi di ognuno. Un artista. ■ Il comunicato della giuria 2000-2001 Quattordicesima edizione del Premio Italo Calvino La giuria decide a maggioranza di assegnare il premio a Errico Bonanno per Piccola serenata notturna, brillante indagine narrativa sui miti fondatori della modernità e sulla genesi della personalità e della psicologia dell'artista. Uomo irrimediabilmente felice, il protagonista del romanzo finisce paradossalmente per comprendere che è proprio questa sua eccessiva sintonia con il mondo a impedirgli di essere artista. La giuria segnala inoltre le seguenti opere: Unter den Linden di Enrico Giacovelli che, con un abile gioco di segmentazioni narrative e dislocazioni temporali, intreccia i fili di diversi destini sullo sfondo della storia di cento anni di vita tra Berlino e l'Egitto Ipogeo di Marina Magnino, romanzo catastrofista e visionario. Un terremoto è raccontato dall'interno di un condominio crollato. I protagonisti cercano una via d'uscita dalle loro stesse abitazioni che si sono trasformate in trappole. La giuria: Mario Barenghi, Laura Pariani, Tiziano Scarpa, Emanuele Trevi, Dario Voltolini. Il comitato di lettura del premio ha segnalato alla giuria i seguenti testi fra quelli che gli sono pervenuti: Racconti di Alessio Armiento; Pater di Maria Laura Bufano; Maria come la mamma di Gesù di Paola Cereda; Una montagna di polvere di Giovanna Esposito; Alumix di Francesco Festa; Erinni venture di Paolo Giuranna; L'Aione di Nicolò La Rocca; Hanno sparato a John Lennon di Massimomiro Pusceddu; Paperopoli di Gianbattista Schieppati; La vocazione delle donne di Claudia Vio. Il comitato di lettura è composto da Maria Abbrescia, Anna Baggiani, Sandro Bizzi, Chiara Bongiovanni, Alberto Cavaglion, Emanuela Dorigotti, Cristina Filippini, Gabriella Leone, Mario Marchetti, Laura Mollea, Franco Orsini e Paola Trivisano. Il bando dell'edizione 2001-2002 del Premio Italo Calvino è pubblicato a pagina 18 di questo numero.