s N G I i 4 7 ► Si immagini che i grandi paesi europei, con Italia al seguito, abbiano davvero il destino di inseguire e di raggiungere finalmente la american way oflife - e che quindi anche da noi accada, come in America secondo l'"Economist", che due terzi dei votanti possiedano azioni di società, siano cioè a qualsiasi titolo, diretto o indiretto, degli azionisti. Cosa accadrebbe alla democrazia se essa divenisse pertanto sostanzialmente fondata su di una cittadinanza degli azionisti e dunque dei giocatori di borsa? Il "nazionalismo del marco", che Jiirgen Habermas temeva per la Germania, e che significa la riduzione degli ideali di cittadinanza all'orgoglio del successo economico nazionale, sarebbe certamente almeno più comunitario della nuova, per fortuna ancora un po' immaginaria, democrazia iperindividualista dei giocatori di borsa. Come qualcuno ha già detto, e come già forse accade qua e là, potrebbero darsi casi di grave conflitto fra interessi contrastanti: per esempio, il lavoratore che possiede un pacchetto di azioni sarebbe tentato di votare per partiti conservatori che promettono alle aziende la totale flessibilità del mercato del lavoro; con questo voto egli favorirebbe l'incremento di valore dei suoi risparmi, tuttavia metterebbe a rischio nello stesso tempo il suo posto di lavoro. Ma da una "cittadinanza degli azionisti" potrebbe anche emergere, secondo l'opinione di altri, un positivo movimento collettivo orientato a esigere dai governi nazionali e da altre autorità internazionali una nuova politica di controllo dei mercati azionari, e nuove misure per incrementare la trasparenza di questi mercati. Chi coltiva questa speranza attribuisce alla schiera degli azionisti un desiderio di razionalità economica che è invece da dimostrare. Gli indizi di cui si dispone, per esempio gli enormi guadagni di borsa di alcuni "grandi" giocatori o speculatori a scapito di una miriade di piccoli giocatori, e così la convergenza cieca di tanti piccoli risparmiatori nell'acquisto di titoli gonfiati della neiv eco-nomy, fanno pensare che molti accedano al risparmio azionario con una mentalità più vicina a quella del giocatore d'azzardo (salvo qualche filistea parziale assicurazione contro il rischio) che a quella dell'investitore razionale. Già più di sessant'anni fa John Maynard Keynes aveva trattato con molta diffidenza l'ipotesi di una razionalità del mercato di borsa, e le sue considerazioni, fondate sulla confutazione dell'idea che i risparmi si tramutino automaticamente in investimenti, non sono state smentite. Proprio la difficoltà di affidarsi a mercati azionari soggetti a irragionevoli ondate di ottimismo e di pessimismo, imprigionati in una logica di scommesse a breve termine, e d'altra parte necessariamente sforniti di una solida base cognitiva per calcoli razionali di largo respiro, spingeva Keynes a valutare positivamente il ruolo di un soggetto politico - lo Stato, evidentemente - che potesse decidere di favorire gli investimenti a lungo termine, e produrre il corrispondente clima di fiducia. Oggi, di fronte all'incremento del mercato azionario, alla sua penetrazione diffusa e alla sua mondializzazione, gli eco- MINIMA CIVILIA Incompetenze globali di Franco Rositi "A mercati opachi e vertiginosi corrisponderebbe una vita politica opaca e vertiginosa" nomisti dovrebbero riprendere le preoccupazioni di Keynes, in un contesto che presenta qualche ulteriore difficoltà. L'importante lavoro di Maria Rosaria Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione (il Mulino, 2000), raccoglie, organizza e valuta una ricca letteratura internazionale che ha messo in luce la progressiva erosione della sovranità degli Stati e degli ordinamenti giuridici nazionali di fronte alla crescita del mercato internazionale. Nelle pieghe della fitta rete mondiale di scambi si assiste alla formazione di convenzioni, accordi, pattuizioni a carattere eminentemente privato, gestiti da soggetti diversi da quelli istituzionali che hanno tradizionalmente caratterizzato la scena della regolazione giuridica. Si produce per questa via un "diritto globale" il quale, anziché essere la statuizione pubblica di regole ex ante, è un insieme di adattamenti con cui soggetti privati, talora anche mediante oscuri accordi ad hoc con governi nazionali, razionalizzano la convergenza dei vari interessi privati. Una pletora di nuovi "mercanti del diritto", in particolare grandi studi legali, affolla questo mercato ubiquitario. Potrebbe sembrare che stia rinascendo la medievale lex mercatoria, ed è invece cosa tutta diversa: "se infatti [la lex mercatoria di oggi] mantiene il carattere della autocostituzione, poiché è oggi, così come era ieri, un diritto creato dagli stessi gruppi sociali che ne fanno uso, essa è invece profondamente diversa poiché non è più radicata in una tradizione". Si tratta di un diritto volubile, assimilabile a una radicalizzazione estrema della common law americana, ma perfino privo di qualsiasi pur vaga cornice costituzionale. Che un piccolo o grande "risparmiatore" possa partecipare con competenze di lungo termine a un tale mercato è certamente impossibile. Gli unici competenti sembrano poter essere coloro che, manipolandone gli scambi, ne manipolano anche le regole. La situazione è dunque diversa, peggiore, rispetto a quella del mercato di cui parlava Keynes, dotato di serie regole istituzionali. E, d'altra parte, è dubbia la natura di un soggetto politico che immetta politiche economiche su tale mercato: poiché si tratterebbe comunque di un soggetto che interviene in un mondo a scarsa regolazione giuridica, egli dovrebbe necessariamente interpretare la logica della potenza imperiale, legibus soluta. Che sorgano resistenze istintive e paure irriflesse dinanzi ai nuovi mercati mondiali è dunque ben comprensibile. Anche il più disinformato dei cittadini ha potuto in questi anni intuire che la deregulation invocata da tanti non è altro che l'immissione delle nuove forme di scambio internazionale entro i recinti della propria nazione. Forse la conseguenza che dobbiamo più temere da questa spontanea diffusa percezione è che non solo incrementi la sensazione di non essere informati (una sensazione che potrebbe perfino incentivare la partecipazione politica), ma che si diffonda l'idea che non si possa in nessun caso essere informati. L'impossibilità di essere informati potrebbe far crescere l'apatia politica, ma anche, cosa senza dubbio peggiore, potrebbe far sì che nella cultura comune la stessa partecipazione politica si assimilasse a un gioco in cui si gioca d'azzardo. A mercati opachi e vertiginosi corrisponderebbe una vita politica opaca e vertiginosa, nella quale si fanno scendere in campo le proprie indiscutibili e imponderabili opzioni (come negli spoti). Il volume di Maria Rosaria Ferrarese, che si astiene dal trarre queste conseguenze, dedica anche alcuni paragrafi ai tentativi che sono in atto per riorganizzare un diritto internazionale che permetta una global governance dei mercati e abbia poteri di costrizione. Il lettore ne riceverà lo stimolo per comprendere come la perpetuazione delle nostre democrazie dipenda, tutt'altro che dall'effervescente folla degli azionisti, da una ripresa della severa speranza di Kant in un diritto cosmopolitico. Giuseppe M. Costanzo DIMENTICANZE E-mail: aiuseppecostanzo@libero.it Internet: http://diqilander.iol.it/9costanzo («Sii?".'. M.<.iDIANZI) d ■E") m e n t i c a n z e Un giovane ricercatore universitario scopre per caso nell'hard-disk di un computer di secondamano tutti gli scritti di un oscuro poeta, morto nel più totale anonimato. Suggestivo come un giallo, questo romanzo coinvolge subito il lettore e lo proietta in un mondo accademico-editoriale' corrotto in cui arbitrio, arroganza e superficialità possono determinare la vita 0 la morte di un intellettuale. Editrice Nuovi Autori, pp. 94 - L. 18.000