N. 12 L'INDICE ^SCHEDF ^^ DEI LIBRI DEL MESE 52 Bollati Boringhieri Claude Pichois e Alain Brunet Colette Le Vite pp. 527, con 59 illustrazioni fuori testo ril., lire 100.000 Albert Londres L'Ebreo errante è arrivato Varianti pp. 212, lire 30.000 Jean Gimpel Contro l'arte e gli artisti Nascita di una religione Saggi. Arte e letteratura pp. 174, lire 38.000 Massimiliano Griner La «Banda Koch» Il Reparto speciale di polizia 1943-44 Nuova Cultura 80 pp. xx-433, con 21 illustrazioni fuori testo, lire 58.000 Mimmo Franzinelli I tentacoli dell'Ovra Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista Gli Archi pp. xx-745, con 32 illustrazioni fuori testo, lire 50.000 Augusto Graziani Lo sviluppo dell'economia italiana Dalla ricostruzione alla moneta europea Nuova edizione aggiornata Saggi. Storia, filosofia e scienze sociali pp. 296. lire 40.000 Serge Latouche L'altra Africa Tra dono e mercato Nuova edizione riveduta . Storia, filosofia e scienze sociali pp. 232, lire 45.000 A cura di Mario Vianelli I fiumi della notte Alla scoperta delle acque carsiche italiane Nuova Cultura 81 pp. 327, con 191 illustrazioni a colori ril., lire 100.000 Cristina Bono Con il cuore in sospeso Diario di un trapianto L'esperienza psicologica e medica pp. in, lire 30.000 Bruno G. Bara II metodo della scienza cognitiva Un approccio evolutivo allo studio della mente Manuali di Psicologia Psichiatria Psicoterapia. Scienza cognitiva pp. 379, lire 58.000 Pier Luigi Righetti e Lara Sette Non c'è due senza tre Le emozioni dell'attesa dalla genitorialità alla prenatalità Manuali di Psicologia Psichiatria Psicoterapia pp. 391, lire 50.000 Bollati Boringhieri editore 10121 Torino corso Vittorio Emanuele II, 86 tel. 011.5591711 fax 0x1.543024 e-mail: bollatib@tin.it Ristampe e riletture Franco Lucentini, Notizie degli scavi, a cura di Domenico Scarpa, pp. 102, Lit 14.000, Avagliano, Cava de' Tirreni (Sa) 2000 La vecchia passione di Domenico Scarpa per F & L è nota ai lettori dell'Indice" da quando è uscito un suo pezzo che coniava la formula dei "libri comico-teologici" e ne discuteva le scelte di stile, o meglio lo stile come scelta intellettuale. Era il gennaio 1993. Sulla celebre coppia, politicamente scorretta e vistosamente mercenaria, duravano i sospetti: anche sul romanzo più ambizioso, A che punto è la notte, un raro esempio di romanzo giallo e gnostico, oggi divenuto un libro di culto, un surreale e realistico promemoria della Torino degli ingegneri Fiat. Oggi però, compiendo Lucentini ottantanni, capita talvolta che la coppia venga disunita. L'editore Avagliano, in un libriccino impreziosito dai disegni di Franco Gentilini, ristampa l'ultimo (1964) dei tre racconti giovanili, i soli che Lucentini abbia firmato con il solo suo nome. Racconto breve. E Scarpa ne raddoppia lo spessore impegnandosi in un affettuoso esercizio di saggi-smo narrativo, che incomincia con l'umile impresa del riassunto e poi s'allarga alla linea filosofale di Lucentini, percepibile (forse) pur nel lavoro di coppia, e declina infine nelle memorie personali. Dalla storia di vita di un poverino narrata "nella sua lingua di trenta parole" - tuttofare in una pensione di cattive signorine finito a caso negli scavi di Villa Adriana -, da un contenuto dunque di bassa quotidianità romana trasvoliamo a riflettere sullo statuto delle cose e delle parole, del tempo, dell'universo. La lettura di Scarpa punta tuttavia alla concretezza, al "genio del concreto" che assiste Lucentini (e la coppia) nelle spericolate divagazioni. E Lucentini, oggi, cosa risponde a Scarpa che vorrebbe andare alle radici della disperata fraternità di quei primi racconti? All'epoca (dice citando Valéry) era in preda davvero alla disperazione di ritrovarsi sui trentanni "senza essere né ricco né celebre". Fedele al concreto e alla propria cifra ironica. Fedele al proprio enigma. Lidia De Federicis Margaret Doody, Aristotele e il giavellotto fatale, ed. orig. 1980, trad. dall'inglese di Rosalia Coci, premessa di Beppe Benvenuto, nota conclusiva di Luciano Canfora, pp. 65, Lit 12.000, Sellerio, Palermo 2000 Margaret Doody, Aristotele detective, ed. orig. 1978, trad. dall'inglese di Rosalia Coci, presentazioni di Beppe Benvenuto e Emanuele Ronchetti, pp. 449, Lit 18.000, Sellerio, Palermo 1999 In una pagina dedicata a scienza e filosofia, e all'interno di una riflessione sul ritorno all'antico e su certi stereotipi e vecchie maniere, Francesco Adorno sul "Sole - 24 Ore" (domenicale del 23 luglio) recensiva l'Aristotele detective parlandone invece assai bene, come di una monografìa "solo ora tradotta in italiano dalla Sellerio", anzi "un'operazione consapevole sulla logica di Aristotele" sebbene in forma di (con virgolette) "romanzo giallo". Si tratta in verità di un giallo autentico, già schedato sull'"lndice" di febbraio da Giulia Visintin: un vecchio Giallo Mondadori, il numero 1652, attestato dal catalogo storico fra lo sconosciuto Nathan Gottlieb e un Ed Mc-Bain. Alla prima uscita, nel 1980, si presentava alla buona, con i tagli che lo adattavano alla praticità del (rimpianto) periodico. Nessun'eco allora, nessuna notorietà. Passando dalla veste economica della stampa settimanale agli ornamenti dell'editoria sofisticata, il restaurato Aristotele s'è arricchito di due presentazioni, di Beppe Benvenuto ed Emanuele Ronchetti, che hanno raccolto le scarse notizie disponibili sull'autrice: canadese di nascita e accademica di mestiere in varie sedi, fino alla Vanderbilt University (dove ha avuto un suo posto nel sito) e all' ateneo di Notre-Dame nell'Indiana dove attualmente lavora. Poche aggiunte vengono ora dal breve racconto Aristotele e il giavellotto fatale, tradotto in italiano davvero per la prima volta (a quanto se ne sa) con premessa di Benvenuto e nota conclusiva di Luciano Canfora. Si tratterebbe di un'inchiesta basata sulla Fisica del filosofo, mentre la prima era dedicata alla Metafisica e la terza, in corso di pubblicazione, lo è alla Poetica. Così annuncia la quarta di copertina. Ma il lettore arguto non si lascerà intimidire, sapendo che i gialletti di Margaret Doody restano amabili e possono dare, a chi lo apprezza, il lento piacere del ragionamento indiziario. (L.D.F.) Alfonso M. Iacono, La giustizia è l'utile del più forte?, con la collaborazione di Gioacchino Bonomo, Giuseppe Burgio, Calogero Sciortino, pp. 60, Lit 12.000, Ets, Pisa 2000 Alfonso Iacono, professore all'Università di Pisa e collaboratore alle pagine culturali del "manifesto", è tornato dopo più di trentanni al liceo Empedocle, di Agrigento, di cui è stato allievo, per rileggere Platone assieme agli studenti e trattarne un tema - il fondamento della giustizia - di sicura attualità. Dal I libro della Repubblica ha ripreso una tesi sostenuta da Trasimaco secondo cui "il giusto è l'utile del più forte", traendone però un insegnamento opposto a quello usuale: dalla verità che Trasimaco enuncia, sulla logica interna alla natura del potere, può discendere infatti non l'inerzia dello scetticismo ma un atteggiamento critico, un passo decisivo per la democrazia (tesi, questa, del simpatico Iacono). Il quaderno ora pubblicato, nell'ambito del progetto d'istituto "Paideia" (1998-1999), contiene il resoconto della lezione-base di la-cono e della successiva discussione. Il testo di Iacono s'aggancia, riassumendolo in parte, all'argomento di un suo libro maggiore, il saggio Autonomia, potere, minorità, uscito a settembre da Feltrinelli (e recensito da Francesca Rigotti in questo stesso "Indice"). Ma si caratterizza per l'elegante semplificazione del discorso e per il tono conversevole che ammette qualche accento più personale a proposito dell'impegno nel lavoro filosofico: un bel modello di come si possa, persino nella biasimata lezione frontale, parlare da adulti a giovani in un delicato equilibrio fra autorevolezza e familiarità. Con Iacono interloquiscono circa trenta studenti, femmine e maschi, di tre classi terze. So- no accaniti e bravissimi nel far domande. Iacono si mostra assai coinvolto, ma (da professore) può anche giocare di leggerezza: "Non sposo i filosofi, non faccio matrimoni esclusivi. Secondo me, in filosofia, piuttosto che avere dei mariti o delle mogli è meglio avere degli amanti 0 delle amanti". Piacevole esordio (prima di rispondere seriamente sul peso che ha avuto Heidegger nella sua formazione). (L.D.F.) Pier Antonio Quarantotti Gambi- nl, L'onda dell'incrociatore, con una nota di Tullio Kezich, pp. 264, Lit 18.000, Sellerio, Palermo 2000 Ristampa felice, che rimette in luce uno scrittore di collocazione insolita e un bel libro, entrambi fuori moda e un po' dimenticati. Quarantotti Gambini (1910-1965), istriano e perciò obbligato a dolorosi esili, pubblicò L'onda dell'incrociatore, il suo romanzo più riuscito, nel 1947. Durante la guerra, fra il 1942 e il 1943, mentre era bibliotecario alla Civica di Trieste, l'aveva immaginato e scritto ma spostandone la vicenda autobiograficamente al passato, all'età incerta della sua stessa giovinezza: è infatti in una giornata di settembre del 1935 che il ragazzo Ario, cresciuto nel porto assieme a Berto e a Lidia, svolta dalle turbolenze del sesso a un repentino senso di morte e al gusto amaro della fatalità. Perché Quarantotti Gambini, nel pieno della guerra, volle risalire alla giornata di dieci anni prima per rappresentarvi un mondo di innocenze perdute, di disastri inevitabili? Di tal genere sono le domande che Kezich solleva nella ricca nota conclusiva. E accenna a risposte e interpretazioni, e intanto racconta i rapporti dello scrittore con Trieste e con Saba. Tende insomma, nei limiti di un saggio di poche pagine, a introdurre elementi di storicità in una materia narrativa che appare invece tutta presa dalla vita dei sensi e dall'in-sorgere ambiguo dei desideri. Le sorprese migliori vengono, attraverso Kezich, dal commento di Saba al romanzo ancora in corso. Se Saba aveva l'arte del citare (34 citazioni di L'onda dell'incrociatore nel carteggio con l'amico Pier Antonio), non sembra da meno Kezich stesso, che sull'onda di queste lettere e delPanalisi ruspante" di cui Saba si compiaceva, ci invoglia a rileggere una porzione di cultura del Novecento. Cultura triestina, di quando il microcosmo della triestinità (con Saba e Svevo, Slataper, Stuparich) era riconoscibile. Quarantotti Gambini, nuovo nome acquisito da Sellerio, segna il numero 486 di "La memoria", la storica collana tanto meritoria per i testi che propone quanto (spesso) avara delle notizie che si vorrebbero. Ma non è il caso di questo volumetto ben corredato. (L.D.F.) Pier Paolo Pasolini, Amado mio preceduto da Atti impuri, con uno scritto di Attilio Bertolucci, pp. 202, Lit 16.000, Garzanti, Milano 2000 Mentre nei "Meridiani" di Mondadori prosegue a cura di Walter Siti e Silvia De Laude l'edizione esaustiva di tutto Pasolini, di cui già sono usciti sei volumi, anche l'originario editore pasoliniano Garzanti non cessa, con il proprio marchio, di ristamparne le opere sparsamente e a basso prezzo. Quest'anno vari titoli narrativi e saggistici, da II sogno di una cosa a Ragazzi di vita a Empirismo eretico, sono ricomparsi negli economici "Elefanti" in una nuova serie resa riconoscibile a vista dalle illustrazioni di Lorenzo Mattotti. La grafica di copertina è l'unica novità in tali ristampe povere, che per il resto si limitano a riprodurre il libro com'era: a volte con il testo nudo, a volte con i contorni (un'introduzione, una bibliografia) che cominciavano a usarsi una decina d'anni fa. Operazione sbrigativa ma non inutile, specie se ci fa risentire, nei contorni, anche sensibilità e voci d'epoca. È il caso di Amado mio e Atti impuri, i cui testi (per la prima volta in economica) riportano esattamente la prima edizione curata da Concetta D'Angeli e pubblicata nella collana "Le Mosche Bianche" nel 1982. Chi è interessato alla filologia potrà servirsene per confrontare la nota della curatrice con i diversi criteri adottati, e giustificati, nei "Meridiani". Chiunque altro potrà invece approfittarne per leggere con poca spesa due brevi storie friulane fra le più intense e ingenue (non a caso rimaste per trent'anni inedite) sul tema dell'amore efebico e sull'incanto della giovinezza vissuta in "giorni e notti paga-no-cattoliche". Così scriveva presentandole Attilio Bertolucci, non ingenuo poeta degli idilli domestici e naturali. (L.D.F.) Marina Tommaso, Brunella Gasperi-ni. La rivoluzione sottovoce, pp. 208, Lit 28.000, Diabasis, Reggio Emilia 1999 Questo libro è uscito inosservato un anno fa. Vale la pena tentarne una riproposta. Si tratta infatti del primo e unico studio su una giornalista intelligente che di sé confessava poco (e solo con ironia), ma che, scrivendo romanzi rosa e piccole poste e dialogando con altre donne, contribuiva a cambiare il nostro costume. La milanese Brunella Gasperini, pseudonimo di Bianca Robecchi, era nata nel 1918 di buona famiglia borghese. Liceo al Parini, laurea in filosofia. Esordiente nel 1950 su "Novella" e passata poi alla più dinamica "Annabella", pubblicò una ventina di volumi di romanzi e racconti saggi raccolte. Morta nel 1979, è stata finora dimenticata, nonostante il nuovo interesse per le donne scrittrici e fuori canone: nella rivalutazione dei generi il rosa stenta assai più del giallo, e ci saranno pure buoni motivi. La sua paziente biografa è un'insegnante di Roma, che ha il merito anzitutto di non essersi scoraggiata nell'indiscreto lavoro. Sconta le difficoltà e l'imbarazzo di chi non sfoglia soltanto carte ma deve vedersela con i vivi: disturbare una famiglia, rovistare nei cassetti. La mole delle note dà conto delle ricerche e degli incontri che sono stati necessari. Fra i rari studiosi a cui la Gasperini non è sfuggita si notano i nomi di Bruno Pischedda e Vittorio Spinazzola. (L.D.F.)