N. 12 30 Chi inceppa le macchine del dogma? Paul Roazen, I miei incontri con la famiglia di Freud, ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Ada Cinato, presentaz. di Marco Conci, pp. 256, Lit 24.000, erre emme, Pomezia (Roma) 1997 Documenti storici ricchi di informazioni come l'epistolario Freud-Jones sono destinati a lasciare in una certa misura inappagati. Per quanto gli editori chiamino prefatori e curatori a fornire un quadro di fondo e un apparato di note capaci di ricordare gli avvenimenti che costituiscono il background, gli interventi critici possono creare sconcerto e il desiderio di saperne di più. Quando Franco Borgogno scrive che se un tempo era scandaloso parlare in piazza dei panni sporchi della psicoanalisi, oggi costituisce scandalo il non parlarne apertamente, allude a una svolta che abbandona la necessità di controllare e di manipolare le notizie, nell'ingenua convinzione di risparmiare "ingiusti" attacchi a figure che si ritiene opportuno mantenere idealizzate. Svolta che è anche il segno che le macchine del dogma si sono inceppate? Tra gli storici della psicoanalisi l'iniziatore (esterno) della lettura critica delle vicende e dei protagonisti della psicoanalisi è l'americano Paul Roazen, che è stato professore di scienze politiche all'Università di Toronto ed è fondamentalmente uno storico delle idee. Lettura critica non significa attacco, ovviamente. Con la sua vasta e capillare produzione di libri, saggi e recensioni, è praticamente l'autore che ha studiato il maggior numero di fatti e personaggi. Entrato in passato in un conflitto durissimo con V establishment psicoanalitico, oggi è forse lo storico più citato dagli stessi psicoanalisti. "Eros & psiche" è la collana dove Marco Conci ha inserito notevoli lavori, alcuni dei quali controcorrente, come la versione integrale di La rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, un'antologia di scritti di Elvio Fachi-nelli, o la recente rivisitazione dello psichiatra e psicoanalista americano Harry Stack Sulli-van, decisamente stimolante. La stessa collana nel 1997 ha pubblicato un testo di Roazen che è opportuno ricuperare perché fornisce informazioni anche intorno all'epistolario Freud-Jones. Roazen nel 1965 ebbe la possibilità di leggere per primo i documenti dei Jones Ar-chives di Londra che erano in stato di abbandono. La lettura attenta del materiale che gli archivi custodivano confluirà in molte opere dello storico americano, incluso questo I miei incontri con la famiglia di Freud, che racconta le interviste e il loro retroscena. Le annotazioni facilitano la comprensione dei fatti, ma soprattutto ricreano un mondo e un'atmosfera che una prefazione, anche quando onesta, non può che tratteggiare a linee incerte. E nel quinto capitolo che i nodi famigliari si stringono intorno a Jones. Apprendiamo, per esempio, che Anna Freud pensava che la biografia di Jones avesse avuto successo in larga misura perché lei gli aveva permesso di usare le lettere di suo padre: "Anna era diventata il capo della famiglia psicoanalitica, così, pur consultandosi con i fratelli e le sorelle su varie questioni, la sua Freud e Jones il celta È un fanatico e non mangia abbastanza Roberto Speziale Bagliacca Sigmund Freud, Ernest Jones, Corrispondenza (1908-1939), ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Caterina Ranchetti, prefaz. di R. Andrew Paskauskas, introd. di Riccardo Steiner, presentaz. di Franco Borgogno, pp. 860, Lit 150.000, Bollati Boringhieri, Torino 2000 Capita di rado. L'editore Bollati Boringhieri ha fatto precedere la traduzione italiana della Corrispondenza (1908-1939) tra Sigmund Freud ed Ernest Jones da un saggio (corredato da massicce note) di Franco Borgogno che costituisce un vera e propria critica alla logica che ispira alcuni aspetti del lavoro redazionale del curatore Paskauskas, oltre che dell'operato dello stesso Jones. Se diversamente dagli altri pionieri della psicoanalisi Ernest Jones gode di una più vasta notorietà, non lo si deve ai suoi lavori psicoanalitici, benché fin dalla sua prima relazione sulla "razionalizzazione"avesse dimostrato notevole acume. E neppure lo si deve al suo saggio sull' Amleto shakespeariano, bensì a quella Vita e opere di Sigmund Freud, uscita negli anni cinquanta, che, se non è la prima, certamente resta la biografia freudiana con cui tutti gli storici sono stati e saranno obbligati a fare i conti. Si potrebbe addirittura dire che, nel bene e nel male, l'immagine che per molti decenni si ebbe di Sigmund Freud corrispondeva essenzialmente a quella che Jones aveva fornito. Jones nasce nel 1870 a Gower-ton, una cittadina dell'entroterra diviso dall'Adantico dalla baia di Carmathen, nella Gran Bretagna occidentale. Jung lo presentò a Freud come "un celta del Galles (...) che conosce bene i Suoi scritti e pratica personalmente la psicoanalisi (...). E molto intelligente e potrebbe fare delle buone cose", Freud gli risponde: "Il Suo inglese mi è molto simpatico (...) io mi attendo che gli inglesi non si lasceranno mai sfuggire dalle mani le nostre idee, non appena ne avranno preso conoscenza". Qui sono già presenti in filigrana alcuni fattori che, anni dopo, giocheranno un ruolo determinante nella cosiddetta "crisi" della psicoanalisi, e non si tratta ovviamente di Freud che chiama "inglese" un gallese. Prima di tutto il giudizio su Jones di Jung e di Freud cambierà. Poi abbiamo la testimonianza che il neurologo Ernest Jones, come del resto tutti i pionieri, iniziò a fare l'analista sulla base della semplice lettura dei saggi di Freud. Qualcosa di inconcepibile oggi come oggi, quando il trai- ning per formare un analista può durare oltre dieci anni, ma che ha segnato la nascita della pratica della psicoanalisi come terapia. Infine l'affiorare della propensione espansionistica del Freud conquistador. Jones, scrive Steiner nell'introduzione, "costituiva l'occasione di proiettare le sue idee nella cultura inglese e radicarle in essa, consentendogli di entrare a far parte di un mondo che aveva amato sin dalla giovinezza". Lo storico Paul Roazen colloca Jones tra i padri fondatori della psicoanalisi, anche se diventa presto assai critico della versione dei fatti da lui offerta (ad esempio in Freud e i suoi seguaci, Einaudi, 1998). Lo de- scrive come un uomo piccolo e altero che aveva un modo di fare brusco e militaresco, che nei momenti peggiori sapeva essere vendicativo, geloso e querulo. Nelle riunioni di lavoro poteva arrivare a stracciare in mille pezzi lo scritto di qualcuno. Anche con i pazienti aveva fama di essere duro. Era però abilissimo nel perseguire il potere: negli anni trenta volle che la Società inglese "diventasse il centro dell'impero psicoanalitico, tenendo le altre società in una condizione subalterna". Del resto Freud lo considerava "il capo indiscusso degli analisti di lingua anglosassone". Jones era estremamente intelligente ed erudito, possedeva una "Nelle riunioni di lavoro poteva arrivare a stracciare in mille pezzi lo scritto di qualcuno" straordinaria sensibilità storica, ma aveva un carattere settario ed egocentrico. Come scrittore era brillante e come polemista aveva un occhio infallibile per scovare il lato debole delle argomentazioni dell'avversario. "La mia ambizione è piuttosto di sapere, di essere 'dietro le quinte' e 'nel sapere', piuttosto che nello scoprire", scrive nella lettera a Freud del 19 giugno 1910. Era dotato di coraggio: appena i nazisti entrarono a Vienna volò sul posto per adoperarsi a mettere in salvo Freud e la comunità psicoanalitica. Fu aperto alle nuove idee che sostenne contro lo stesso Freud e sua figlia Anna. Tra i meriti che gli vengono riconosciuti c'è quello d'aver scritto una introduzione molto positiva all'opera di uno sconosciuto analista scozzese, Ronald Fairbairn, che solo con il tempo sarebbe stato recuperato come un pensatore di primissimo ordine. Si prodigò poi per sostenere e far venire a Londra (tra l'altro perché analizzasse i suoi figli) Melarne Klein, che a Vienna era in odore di scismatica e che si sarebbe confermata come la grande antagonista di Anna Freud. La dura lettera del 23 settembre 1927 di Freud e la lunghissima risposta di Jones del 30 successivo esprimono i termini della maggiore tensione tra i due: "A Londra Lei sta organizzando una costante campagna contro l'analisi dei bambini di Anna, accusandola di non essere stata analizzata abbastanza in profondità, un rimprovero che ripete nella lettera a me. Devo precisarle che questa critica è tanto pericolosa quanto intollerabile". Va ricordato che l'analista di Anna era stato lo stesso Freud, anche se non si sa se a quel tempo Jones ne fosse al corrente. Bravo giocatore di scacchi, dalla corrispondenza si trae l'impressione che fosse una sorta di braccio del potere temporale di Freud. Nella lettera del 1° febbraio 1927, gli scrisse di voler "fare i passi più appropriati per una azione di propaganda". D'altra parte Freud pensava che le sue opinioni polemiche fossero "troppo rigide, troppo perentorie" e confessava che Jones gli dava un senso "starei per dire, di estraneità razziale. E un fanatico e non mangia abbastanza". Freud ha in mente Giulio Cesare, che diceva di volere intorno a sé "uomini ben pasciuti", e paragona Jones a Cassio. Jung in una lettera del 12 luglio 1908 a Freud - scritta quando ancora i loro rapporti non si erano deteriorati - chiamò Jones "una persona che mi riesce enigmatica" e aggiunse di trovarlo inaffidabile. Cosa risponde Freud il 18 successivo? "A me è sembrato un fanatico che sorride delle mie esitazioni e che dimostra un'affettuosa indulgenza verso di Lei per le Sue oscillazioni... Direi che inganna gli altri, non noi". Paskauskas nel 1988 descriverà come Jones avesse elaborato una strategia per emarginare Jung e prendere il suo posto accanto a Freud che, d'altro lato, valutava positivamente l'attivismo di Jones e fu ben lieto che le sue capacità diplomatiche contribuissero a far sbarcare la psicoanalisi negli Stati Uniti. Una volta emigrato in Canada, Jones pagò cinquecento dollari a una ricattatrice (una ex paziente) per impedirle di accusarlo pubblicamente di averla sedotta; probabilmente era innocente, ma cedette al ricatto per timore di uno scandalo; Jones stesso racconta nella sua autobiografia Free Associations la possibile spiegazione. A Londra era stato accusato da due bambini di essersi "comportato in maniera indecente durante un colloquio con loro"; venne imprigionato per una notte, ma il magistrato lasciò cadere l'accusa. In seguito però una ragazzina di dieci anni con cui Jones aveva avuto un colloquio clinico "si vantò con altri bambini che il dottore le aveva parlato di cose di sesso". E Jones dovette dare le dimissioni. Freud scrisse a Jones espressioni del tipo "l'ho sempre annoverata tra gli intimi della mia famiglia", nei momenti dei lutti è affettuoso e partecipe, ma, al di là di questo, si segnala in lui un certo distacco nei suoi confronti. I toni che usa in tutta la corrispondenza non raggiungono mai quelli caldi riservati a Ferenczi, che viveva come un figlio. Dire, come scriveva Lilla Veszy-Wa-gner alla metà degli anni sessanta, che Jones "fu tra gli amici più vicini a Freud" non solo appare esagerato, ma ricorda molto da vicino quell'alterazione dei dati storici che non di rado Jones si permise. Alcune lettere di questo carteggio conducono a episodi della vita e dell'opera di Jones sui quali il silenzio del curatore viene criticato. Il primo va inserito perché costituisce un precedente per comprendere la disinvoltura di Jones nel secondo episodio. Nella lettera che scrive a Freud il 20 ottobre 1928, Jones accenna al famoso caso di Anna O., a proposito del quale Freud aveva affermato trattarsi della "felice guarigione di un caso di isteria", aggiungendo che Anna era rimasta "sana ed efficiente". Ma la verità è che Bertha Pappenheim (Anna O.) non guarì, ebbe alterne vicende di salute e fu persino ricoverata, anche se più tardi diventò famosa per essersi prodigata costruttivamente per la difesa della donna. Il primo a rivelarlo fu proprio Jones: la moglie di Breuer si sarebbe ingelosita per l'assiduità che il marito riservava alla Pappenheim, così Breuer troncò la cura; avvertì la paziente, che stava già molto meglio, e si accomiatò da lei, ma la sera stessa venne chiamato di nuovo; la trovò in uno stato di grande eccitamento, apparentemente più malata che mai. Jones aggiunge che Anna O., che a Breuer era sempre apparsa come un essere asessuato e non aveva mai fatto allusione ad argomenti proibiti per tutta la durata del trattamento, ora era in preda alle doghe di un parto isterico. Sebbene profondamente scosso, tentò di calmare la paziente ipnotizzandola. "Il giorno dopo partì con la moglie diretto S