,,, L'INDICE dei libri del mese||i Il ritorno del quinto figlio Uomo a rischio Paola Splendore Doris Lessing, Ben nel mondo, ed. orig. 2000, trad. dall'inglese di Grazia Gatti, pp. 216, Lit 28.000, Feltrinelli, Milano 2000 Abbiamo già incontrato Ben, il piccolo mostro nato in una famiglia borghese, nel breve romanzo di Doris Lessing II quinto figlio (1988; Feltrinelli, 1988): l'abbiamo visto crescere come forza maligna e incontenibile, capace di distruggere la sua stessa famiglia, e poi sparire lasciando la madre lacerata dai sensi di colpa. Quel piccolo libro di grande impatto emotivo - a metà tra l'apologo morale e la favola malefica del genere Stephen King - aveva fatto molto discutere, sollecitato le più varie ipotesi interpretative, fino a diventare una sorta di allegoria sociale, la metafora di un'Europa del benessere a confronto con i diseredati del mondo. Ben era comunque l'altro, destinato a rompere equilibri di comodo; il diverso inassimilabile, un essere che non era facile accettare e neppure riconoscere come proprio simile, con sentimenti, bisogni, desideri come chiunque altro. Lo ritroviamo oggi nel seguito che Doris Lessing ha da pochi mesi dato alle stampe, Ben nel mondo. Respinto dalla famiglia, emarginato da tutti, incapace di badare a se stesso e persino di provare la sua età, Ben è facilmente preda di imbroglioni e sfruttatori. È proprio dalla sua incerta identità che prende l'avvio il nuovo romanzo, dall'enigma del suo aspetto inquietante e minaccioso: ha diciotto anni ma ne dimostra quaranta per le rughe intorno agli occhi e la corporatura massiccia che mette tutti in allarme, le larghe narici, i lunghi capelli e le ciglia gialli; persino il suo accento "educato", che mal si accorda con gli abiti sporchi e laceri che indossa, ha un effetto spiazzante su chi lo ascolta. Non è la prima volta che Doris Lessing insegue un personaggio da un romanzo all'altro, l'ha fatto con Martha Quest nella serie dei "Figli della violenza", cinque romanzi costruiti intorno a una giovane donna che si confronta via via con i problemi del suo tempo fino a diventare emblema di una generazione che andava prendendo coscienza di sé e dei suoi diritti, e con Jane Somers, una donna matura questa volta, che si trova a un punto di svolta della sua vita, una sorta di crisi esistenziale, e che, nel confronto prima con la malattia e la vecchiaia e poi con i giovani, riuscirà a dare un senso alla propria vita (quasi tutti i romanzi di Doris Lessing sono pubblicati in italiano da Feltrinelli). Diverso è il caso di Ben: il suo non è un viaggio di formazione né una ricerca di valori: Ben è un ragazzo con uno sviluppo intellettivo ed emotivo inferiore a quello della sua età, con una forte carica di aggressività e una capacità limitata di dominare gli istinti, ma allo stesso tempo è solo, indifeso e disperatamente bisognoso di affetto e di solidarietà umana. La necessità di affidarsi agli altri lo conduce, suo malgrado, in una perversa odissea lontano da Londra - luogo a lui ostile ma l'unico a lui noto, e dove potrebbe ritrovare la madre "perduta" - verso Nizza e poi in Brasile e in Paraguay, in un viaggio irto di pericoli e avventure. Ben nel mondo è un racconto di ambigua appartenenza di genere - parabola, racconto picaresco, favola dell'orrore -, perché Ben è un alieno, un essere di un'altra razza o forse di un'altra epoca giunto sulla terra per mettere alla prova quelli che vengono a contatto con lui, a distinguere i buoni dai cattivi. Nel suo viaggio Ben non incontra solo chi vuole sfruttarlo, ma anche persone che non si spaventano di lui, che riescono ad accettarlo per quello che è e ad amarlo persino, come l'anziana Mrs Biggs che vive con i suoi gatti (è lì che si nasconde Doris Lessing?), che lo ospita in casa sua dove si prendono cura l'uno dell'altro. Quando Mrs Biggs finisce in ospedale sarà la volta di Rita, prostituta di buon cuore, che trova eccitante il corpo villoso e massiccio di Ben e il suo rantolo finale di soddisfazione dopo che l'ha posseduta. Ma il protettore di Rita cercherà di toglierselo da torno proponendogli, in cambio di un passaporto falso, un lavoro di corriere della droga a Nizza. Tutto va miracolosamente bene, ma Ben, confuso dall'ambiente sconosciuto, frastornato dalla lingua straniera e più solo che mai, desidera tornare in Inghilterra. Finirà invece in Brasile, assieme a un regista che, colpito dal suo aspetto, vuole fargli fare un film sugli uomini primitivi; e lì verrà rapito da un gruppo di scienziati che lo rinchiude in una gabbia in mezzo agli escrementi e a povere scimmie, conigli e cani torturati, riconoscendo in lui una creatura ancestrale, l'anello mancante di una importante scoperta nella storia dell'uomo... C'è però Teresa, un'altra donna che lo protegge, e che riuscirà a tirarlo fuori di là. Gli uomini - chi per soldi, chi nel nome dell'arte, chi nel nome della scienza - cercheranno sempre di sfruttarlo, mentre le donne, a partire da sua madre, sembrano le uniche a rispettarlo come persona. Ed è proprio Ben come persona a interessare maggiormente la scrittrice, che privilegia, nella narrazione, una prospettiva interna al personaggio. Ben non è una metafora, anche se è difficile resistere alla tentazione di leggerlo in questa chiave, e nonostante la sua afasia riesce a trasmettere la sua rabbia e la sua solitudine, la sua dignità calpestata e la sofferenza causata dall'egoismo degli altri. I caratteri stranianti di Ben, maggiormente accentuati nel Quinto fi- glio, dove la sua apparizione in un nucleo familiare "normale" evocava una componente fantastica che lo assimilava a quelle creature misteriose - elfi, nani, hobbitt - tanto care a Doris Lessing, qui si stemperano nel rapporto con un reale orrifico dove Ben appare solo un uomo a rischio per cui non c'è spazio di sopravvivenza. Questa lucida favola morale, che interpreta le difficoltà di sopravvivenza dei soggetti sociali emarginati nel mondo d'oggi, porta la ricchissima produzione di Doris Lessing a una soglia record più consona agli scrittori commerciali - quasi cinquanta opere in cinquant'anni, tra le quali più di venti romanzi - che a quelli spinti da forti passioni morali - com'è il caso di questa scrittrice che a ottantadue anni continua a offrirci storie, a sollecitare la nostra riflessione su tutti i grandi momenti della seconda metà del secolo inquieto che si è appena concluso. Ma non è tanto la presenza nella sua opera di tematiche forti - la crisi della sinistra, le lotte di decolonizzazione (ha vissuto i primi trent'anni della sua vita in Rhodesia, oggi Zimbabwe), la condizione femminile, la psicoanalisi e la follia, il misticismo, il pacifismo, le nuove tecnologie, e così via - a renderla lucida testimone del suo tempo, quanto la capacità di collegare il personale con il politico, che rende sempre vissute e credibili le sue testimonianze, e anche una prodigiosa tenuta letteraria che la porta a sperimentare di volta in volta linguaggi diversi agganciando fasce di lettori sempre nuove. Non c'è dunque una formula stilistica in base a cui racchiudere, definire la sua opera, che spazia dalla scrittura realistica dei lavori di esordio, come L'erba canta (del 1950, appena riproposto dalla Tartaruga) alla scrittura sperimentale e apocalittica del Taccuino d'oro (1962) e del visionario Memorie di una sopravvissuta (un'opera importante del 1974, da tempo esaurita e che bisognerebbe ristampare); dal ciclo utopico-fantascientifico "Archivi di Canopus" fino all'ultimo romanzo, Mara and Dann, ambientato in un'Africa del futuro; dal saggio-inchiesta sulla resistenza di uomini, donne e bambini in Afghanistan ai due volumi dell'autobiografia Sotto la pelle e Camminando nell'ombra. Mostro sacro, forza oracolare, grande dame delle lettere inglesi, Doris Lessing è tutto questo. Una voce indispensabile della nostra epoca. ■ David Weiss Halivni Restaurare la Rivelazione La Scrittura divina e le risposte della critica biblica Liliana Treves Alcalay Melodie di un esilio Percorso storico-musicale degli ebrei e marrani spagnoli (con CD accluso) La frontiera e la memoria Anna Ruchat Abraham Yehoshua, Il cuore del mondo, intervista di Matteo Bellinelli, pp. 65, Lit 12.000, Ca-sagrande, Bellinzona 2000 David Grossman, La memoria della Shoah, intervista di Matteo Bellinelli, pp. 78, Lit 12.000, Casagrande, Bellinzona 2000 L'editore svizzero Casagrande (più di cinquant'anni di attività nel Cantone Ticino) è presente dal mese di gennaio anche in Italia con due nuove collane, quella di narrativa, "Scrittori", e quella delle "Interviste e saggi brevi", che conta oggi quattro volumi. In particolare interessa qui segnalare le interviste prodotte dalla Televisione della Svizzera italiana per il ciclo di documentari "Scrittori israeliani. Il dolore della memoria" e condotte da Matteo Bellinelli. Si tratta di interviste lente, prolungate sull'arco di diversi giorni, in cui Bellinelli non solo scava il personaggio (David Grossman, Abraham Yehoshua, Amos Oz), ma cerca anche di cogliere il modo in cui in ciascuno di questi grandi scrittori si rispecchia l'incrocio e spesso il groviglio tra la consapevolezza di radici culturali dalla tradizione millenaria e un'apprensione indulgente nei confronti dell'agire politico di un paese considerato giovane e acerbo. Dalle prime due interviste pubblicate (Yehoshua e Grossman) emergono infatti non soltanto due scrittori molto diversi (pur citando entrambi il modello kafkiano come principale archetipo letterario), ma quasi due culture contrapposte per quanto iscritte in un medesimo tentativo di riconciliarsi con la tradizione. Mediterraneo, solare, razionale e geometrico, Yehoshua vuole lasciarsi alle spalle il mito e "ricollocarsi nella storia"; Yehoshua si interroga principalmente sulle linee di confine, sulla nozione di frontiera che separa tra lo- ro gli stessi ebrei d'Israele ma anche gli israeliani dal mondo arabo e infine il Nord e il Sud dell'Europa. Più ebraico-orientale, discontinuo e contraddittorio, a tratti sentimentale, Grossman è convinto, al contrario, che il popolo ebraico sia ancora vittima della "maledizione" della "terra promessa" e che questa sia la sua condizione esistenziale, al tempo stesso "apportatrice di fertilità" e di perenne incertezza. Il problema di Grossman è la memoria (memoria della tradizione, memoria della Shoah) in relazione alla perdita dell'innocenza, dunque ancora una volta una linea di confine: quella tra l'infanzia e l'età adulta, nell'uomo ma anche in un paese come lo stesso Stato d'Israele. È interessante notare come le due posizioni così contrapposte, addirittura antitetiche rispetto al patrimonio storico e culturale ebraico, si riflettano per l'uno e per l'altro nel modo di scrivere, di organizzare concretamente la stesura di un romanzo. Se il laico e razionale Yehoshua si propone in veste di Creatore - "Per me è importante sapere dove sto andando, qual è la meta, qual è lo scopo del mio romanzo. Certo, non posso e non voglio dare ricette di scrittura a nessuno, ma non credo che si possa cominciare a scrivere senza sapere dove si vuole arrivare. In ogni caso, io non posso accordarmi troppa libertà: devo poter controllare quello che faccio" -, Grossman invece, "succube del paradosso del sopravvissuto" e preda dell'ansia di sciupare il tempo che gli è concesso, scopre dentro la tradizione le proprie storie; di uno stesso romanzo scrive fino a sedici, diciotto versioni, "però arrivato all'ultimo quarto del romanzo mi fermo, non voglio conoscerne la fine anzitempo. Voglio che il libro mi sorprenda: meglio ancora, voglio che mi tradisca". "Ben è un alieno, un essere di un'altra razza o forse di un'altra epoca" "Un gruppo di scienziati lo rinchiude in una gabbia in mezzo a povere scimmie, conigli e cani" Kditrice La Giuntina - Via Ricasoli 26, Firenze www.giuntina.it