c N. 12 L'INDICE ^STRUMENTI ■■ I testi e la loro lingua Arlindo J.N. Castanho Giulia Lanciani, Profilo di storia linguistica e letteraria del Portogallo. Dalle origini al Seicento, pp. 484, Lit 50.000, Bulzoni, Roma 2000 Le considerazioni che seguono possono sembrare a prima vista secondarie o "fuori tema", per quanto riguarda l'oggetto immediato di questa recensione, ma spero che dimostrino alla fin fine di essere, invece, premesse essenziali a una corretta valutazione dell'importanza del volume in questione nel panorama degli studi di lingua e letteratura portoghese in Italia. In quasi tutte le università in cui tali studi sono attivati, i corsi hanno due colonne portanti: l'apprendimento della lingua, con un insegnante madrelingua, e il corso monografico tenuto dal professore titolare della cattedra. Si notano sovente delle discrepanze tra la struttura programmatica dei corsi e l'offerta pedagogica che dovrebbe, in principio, assecondarla. Spesso i programmi dei corsi presentano una struttura tripartita - lingua, storia della letteratura (la cosiddetta "parte istituzionale") e corso monografico -, in netto contrasto con la struttura bipartita (lingua e corso monografico) dell'offerta didattica. Per colmare il divario tra i saperi richiesti dai programmi e le reali possibilità pedagogiche messe a disposizione degli studenti, si prospettano varie soluzioni di ripiego - ognuna di esse francamente insoddisfacente, è chiaro, ma comunque ritenuta "la meno peggio" dai singoli responsabili. La più sbrigativa consiste nell'ignorare del tutto la "parte istituzionale", sia come materia di insegnamento sia come materia da valutare nelle prove finali di esame. Questo è un esempio evidente di inadeguatezza tra teoria e pratica, ma si conoscono prassi ancora più frustranti per gli studenti, come quella di non insegnare affatto la "parte istituzionale" ma esigere la sua conoscenza in sede d'esame, o addirittura quella di trattare atti- vamente tale "parte istituzionale" lungo l'anno accademico e poi disprezzarla per completo nei momenti di valutazione finale, provocando così negli studenti la sgradevole sensazione di aver lavorato invano. Le circostanze riferite rappresentano, comunque, casi limite che gradatamente tenderanno, si spera, verso l'autoestinzione o, se si dimostreranno duri a morire, verso l'estinzione indotta (magari con l'aiuto delle misure proposte dalla riforma universitaria attualmente in corso). I casi più frequenti, invece, sono quelli in cui l'insegnamento e la valutazione della "parte istituzionale" sono già, fortunatamente, una realtà, ma una realtà condizionata da certe discrasie interne o congiunturali. In effetti, lo studio della storia della letteratura di una nazione plurisecolare come il Portogallo implica quasi sempre delle opzioni iniziali, metodologiche e contenutistiche, di scelta non facile - e che, una volta stabilita l'impostazione da attribuire al corso, si dimostrano necessariamente limitative e pedagogicamente insufficienti. Mi spiego meglio: con lo scarso monte ore disponibile per l'insegnamento della "parte istituzionale", o si studia la storia della letteratura portoghese attraverso un manuale (ad esempio quello di Antonio José Sarai-va e Óscar Lopes, o quello di Georges Le Gentil e Robert Bréchon) che la descrive, che la racconta dai primordi all'attualità, senza un contatto diretto con i testi letterari propriamente detti, o si studiano i testi di diversi autori dei vari periodi storico-letterari senza arrivare, però, a una chiara visione d'insieme. Si tratta, in fondo, della difficilmente risolubile dicotomia tra una panoramica filologica globale, ma del tutto astratta, e un'esperienza dei testi concreta ma inevitabilmente frammentaria. La soluzione ideale sarebbe quella di avere a disposizione una storia della letteratura corredata da una scelta antologica di testi, meglio ancora se tradotti e col testo originale a fronte. Ed è proprio a questo punto che mi si impone di parlare direttamente dell'ultima fatica di Giulia Lanciani, giacché il suo Profilo di storia linguistica e letteraria si presenta, in effetti, come il primo tentativo a me noto di risolvere con successo il dilemma pedagogico appena esposto. Questo Profilo, pubblicato con il contributo dell'Instituto Camòes e dell'Instituto portu-guès do livro e das bibliotecas, soddisfa appieno le esigenze di una didattica della storia della letteratura che non voglia perdere mai di vista l'indispensabile conoscenza del testo letterario in sé: i capitoli consacrati a ogni periodo storico-letterario convenzionale - dalle origini al Quattrocento, Cinquecento, Seicento - sono completati da una bibliografia specifica e da un'antologia particolarmente felice nelle scelte, per di più corredata dalla traduzione dei brani (va pure segnalata l'accurata trascrizione dei testi in portoghese, praticamente esente da refusi - al contrario di quanto succede, troppo spesso, in tante pubbli- cazioni italiane di ambito lusita-nistico). La presenza della traduzione a fronte è, in questo caso, ancora più benvenuta in quanto molti dei testi presentati non sono mai stati tradotti prima in Italia, o ancora hanno subito interventi traduttivi piuttosto deleteri. Le sezioni antologiche così strutturate offrono spunti preziosi anche per i corsi di traduzione già attivati in varie università italiane. Inoltre, alcuni dei testi antologizzati sono difficilmente reperibili in libreria perfino in Portogallo, e le difficoltà inerenti alla lettura dei testi antichi scoraggerebbero perfino il più intraprendente degli studenti, qualora non potesse contare sulla presenza di una traduzione precisa quanto possibile, e senz'altro godibile oltre che affidabile. La relativa ristrettezza dell'arco temporale tenuto in considerazione nel Profilo non sminuisce affatto il suo valore complessivo in quanto manuale, giacché per i secoli successivi non è difficile trovare sia i testi letterari essenziali da selezionare, sia informazioni storico-filologiche precise e abbondanti, in modo da poter impartire un corso di livello universitario come si conviene. In più, tenendo conto sia del progressivo incremento dell'importanza della narrativa - e soprattutto del romanzo, praticamente non anto-logizzabile - nei secoli successivi, sia dell'"ingorgo critico" provocato dalla sovrabbondanza di opere letterarie recenti per le quali risulta ancora difficile stabilire una valutazione relativa con il dovuto distacco, la stesura di un secondo volume del genere si presenterebbe altamente problematica e, comunque, di assai dubbia utilità. Come si può desumere anche dal titolo, non è neppure il caso di considerare il volume una mera storia e antologia letteraria, giacché il primo capitolo è dedicato, grosso modo, alla storia della lingua. Tale "valore aggiuntivo" è tanto più apprezzabile in quanto la bibliografia disponibile sull'argomento è piuttosto scarna e l'interesse per questa materia specifica si viene affermando all'interno dei corsi di portoghese proposti, in Italia, dalle singole cattedre universitarie. Non si pensi, però, che il riconoscimento di tutti questi pregi vada a sconfinare in un incondizionato panegirico: non mancano sviste, omissioni o particolari discutibili; ma l'insegnante che utilizzerà quotidianamente il manuale a lezione potrà smorzare, correggere o completare ogni particolare che gli sembri meritare il suo intervento, ovviamente tenendo conto del valore pedagogico del volume nel suo insieme. D'altronde, l'autrice è la prima a "considerare questo libro un work in progress, destinato, si spera, a migliorare nel tempo, anche grazie ai suggerimenti e alle critiche che verranno da chi vorrà utilizzarlo". ■ Margherita Blanchietti, Chodup Ten-zin Lama, Parlo tibetano. Manuale di conversazione con pronuncia figurata, pp. 255, Lit 23.000, Vallardi, Milano 1999 La lingua tibetana veicola un patrimonio culturale di grande importanza, un patrimonio che rischia di diperdersi dopo che la Cina ha invaso il Tibet e ha imposto nelle scuole tibetane lo studio del cinese come prima lingua. L'arrivo in Europa e in America di numerosi profughi, fra i quali maestri buddhisti di grande importanza, ha suscitato molto interesse per la civiltà tibetana, ma si è presto capito che sarebbe stato estremamente difficile comprendere un mondo così diverso senza impararne la lingua. In realtà, chi si accinge a studiare il tibetano deve assimilare non uno ma due linguaggi, uno per l'orale e uno per lo scritto. Inoltre l'orale possiede spesso due forme completamente distinte, la prima delle quali serve per rivolgersi alle persone di livello pari o inferiore al nostro, l'equivalente del nostro "tu", e la seconda è una forma onorifica, che corrisponde al nostro "lei". Ma nella forma onorifica non mutano solo i pronomi, gli aggettivi possessivi e le persone dei verbi, bensì anche i nomi comuni dei complementi indiretti e le radici verba- li. Così stando le cose, non è sufficiente studiare una normale grammatica di base per parlare in modo corretto ed educato. Occorre appunto un manuale apposito. In quello che presentiamo - il primo in lingua italiana - vengono per prime le frasi di uso più comune; seguono le espressioni relative ai numeri, al tempo, ai viaggi, al cibo, e poi ancora altre, fra cui quelle relative ai rapporti umani, al buddhismo, i modi di dire, le parolacce (non molto usate: la peggiore è "scemo"). Al testo originale si affianca la trascrizione fonetica e la traduzione italiana. Antonella Comba Hans Tuzzi, Collezionare libri, pre-faz. di Alessandro Olschki, pp. 272, Lit 38.000, Milano, Bonnard 2000 Niente come un'opera di consultazione permette all'autore di tracciare di nascosto anche il proprio autoritratto: tanto più se, per sua stessa ammissione, "chi scrive ama molto tenere le distanze". Sornione piuttosto che sfuggente, candido nell'affettazione, dandy quando basta per non scalfire la propria vulnerabilità, chiunque si celi sotto lo pseudonimo di Hans Tuzzi (il marito tradito di Diotima, neW'Uomo senza qualità) è maestro d'ironia non invadente, ha buone doti epigrammatiche, una certa saggezza, la giusta malinconia. E quindi non c'è dubbio, chi volesse abitare "la più rarefatta sfera del pensiero collezionista" di Hans Tuzzi può senz'altro fidarsi. Ma anche chi, come me, a dispetto dei diecimila volumi che lo circondano, s'ostina a illudersi di comprare libri solo per "leggerli", e di leggerli solo per "vivere", in Collezionare libri trova pane - oltre che carta - per i suoi denti. "Un libro oggi costa più di ieri: ma domani costerà ancora di più. Compralo". Se questo consiglio - ci racconta il Tuzzi - ha fatto la fortuna di Matthew Bruccoli, massimo collezionista di "fitzgeraldiana", applicarlo sempre e incautamente potrebbe essere rischioso. Per questo il capitolo intitolato al Comprare è qui al terzo posto dopo quelli dedicati al Conoscere e al Valutare; né tutto si risolve nell'acquisto, bisogna anche Conservare e (eventualmente) vendere. E siccome tutte queste operazioni si fanno spesso per posta, o trattando con altri bibliofili (e "il bibliofilo è perlopiù antipatico, sospettoso quando non costituzionalmente asociale"), conviene usare il linguaggio nella maniera più precisa: perciò il Vocabo-larietto essenziale (con voci sempre concise, talvolta tuttavia di bel piglio saggistico), un glossario dei termini di catalogazione antiquaria francesi, inglesi e tedeschi, nonché una lista delle corrispondenze fra nomi antichi e moderni dei luoghi di stampa in Europa; infine, una bibliografia ragionata per temi. Il tutto nella grafica elegante e ariosa, nel bel formato e con le belle illustrazioni (e, almeno stavolta, con un prezzo quasi inferiore a quello "di ieri"...) cui in questi anni ci ha abituati la Bonnard, dedicandosi alla bibliofilia anche per i non iniziati. Tutt'altro che divagante, Collezionare libri spazia ovunque, fra antichi e moderni, aste miliardarie e occasioni per tutti o quasi, consigli molto pratici, "dritte" e aforismi. Entrare nel mondo dei bibliofili è un po' come attraversare lo specchio: certe cose appaiono capovolte, per esempio i temuti refusi, all'improvviso un vanto e un ornamento... La massima attenzione mi sembra dedicata all'editoria del novecento, il cui collezionismo in Italia è ancora agli albori, almeno rispetto alla Francia e soprattutto ai paesi anglosassoni. In questo campo sembra che si possano ancora fare buoni acquisti a prezzi piuttosto modici, permettendo anche al bibliofilo di scarsi mezzi ma buon fiuto e passione di gustare i piaceri di cui tratta Walter Benjamin nel saggio Sballando la mia biblioteca, famoso ma in Italia inspiegabilmente inedito. Francesco Rognoni