Edizioni I! Maestrale Novità 2007 N. 2 Sentimento nazionale di Anna Millo L'ALTRA QUESTIONE DI TRIESTE Voci italiane della cultura civile giuliana 1943-1955 a cura di Patrick Karlsen e Stelio Spadaro pp. 169, € 18, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2006 L'altra questione di Trieste tifila cottura cwfi* À Il titolo intende enunciare un punto di vista meno conosciuto rispetto agli aggrovigliati problemi di politica estera e ai complessi risvolti negoziali insiti nella cosiddetta "questione di Trieste". Le sorti dell'italianità nella Venezia Giulia, regione dove nel corso dell'Ottocento tre nazionalità, l'italiana, la slovena, e la croata, avevano conosciuto processi di formazione e di sviluppo che nel primo Novecento rendevano questo territorio oggetto di rivendicazione e di contesa etnica, uscirono duramente colpite dagli esiti del secondo dopoguerra. Come è noto, solo Trieste e una parte di Gorizia torneranno alla sovranità italiana. L'antologia qui raccolta presenta scritti di intellettuali e di uomini politici giuliani di varia estrazione, ma di comune matrice democratica, dai liberali agli azionisti, dai socialisti ai cattolici. Essa vuole testimoniare delle consapevoli premesse e del faticoso farsi strada, nello stretto crinale imposto dalla drammatica situazione esterna, di una nuova cultura politica, capace di rivolgersi tanto alla collettività di lingua italiana che vedrà riconosciute - sia pure con l'amarezza per la perdita dell'Istria - le sue aspirazioni a far parte dell'Italia, quanto alla minoranzà slovena, che dopo il 1954 si ritroverà inclusa nei confini italiani. Solo una proposta politica fondata sull'inveramento dei diritti di cittadinanza, che assicurasse a ogni singolo individuo, italiano o sloveno che fosse, obiettivi di pacifico sviluppo nella convivenza, poteva essere lo strumento più idoneo a creare stabilità e sicurezza nei territori a ridosso dei nuovi confini, ponendo cosi un argine alla delusione e all'insoddisfazione, e anche a fornire quel quadro di principi di riferimento entro cui realizzare possibilità di cooperazione internazionale con la vicina Jugoslavia, al cui interno era rimasta una piccola, ma significativa minoranza italiana. L'affermarsi di questa cultura politica non era né facile né incontrastato. Emersa dalla lotta clandestina contro il nazifascismo, essa segnava una forte discontinuità con il passato, contrapponendosi sia al liberal-na-zionalismo del periodo asburgico sia all'imperialismo dell'epoca fascista. Di fronte a essa stava un aggressivo fronte missino-neofa- 71 scista che proclamava di voler raccogliere l'eredità di entrambe le esperienze, propugnando un'idea di italianità forgiata sulla compressione e sulla negazione di ogni diritto a chi non era nazionalmente omogeneo e perciò individuando nel parlamentarismo e nella democrazia i nemici più insidiosi della causa nazionale. Ma le peculiarità del contesto locale non esauriscono l'importanza di chi si volle far carico di dare rappresentanza democratica al sentimento nazionale italiano. Anche se notevole era stata l'amplificazione propagandistica che della "questione di Trieste" si era fatta in Italia, un senso di incomprensione e di isolamento era il bilancio che ne traeva alla sua conclusione uno degli intellettuali giuliani più insigni, il poeta gra-dese Biagio Marin, quando constatava come "dietro la nostra coscienza e la nostra volontà non c'era una notevole parte della nostra classe dirigente; qui la tragedia. (...) Molti italiani (...) non hanno sentito la perdita dell'Istria come una stroncatura nel proprio corpo, ma le nostre vicende hanno seguito, come può fare un ricco, con le vicende del parente povero e disgraziato. Siamo soli tutt'ora". Esponente di un liberalismo che affondava la proprie radici nel Risorgimento, Marin metteva in evidenza nel 1955 come la nuova democrazia italiana, nata dalla Resistenza e definita dalla Costituzione repubblicana, scontasse fin dalle origini un limite, fonte di problemi che ancora oggi si presentano a noi irrisolti: la mancanza di un saldo senso di appartenenza e di identificazione con la comunità nazionale come sentimento diffuso a livello di massa. Questo sentimento, che in Europa è il risultato di un lungo processo che porta alle nazioni moderne, è stato in Italia latitante, per storiche motivazioni che risalgono alle modalità stesse dell'unificazione. La risposta del fascismo, in termini di forza e di politica di potenza, aveva portato il paese al disastro. Marin, volontario nella prima guerra mondiale, rappresentante di primo piano della Resistenza giuliana, personalità di austero rigore morale (come risulta anche dal suo carteggio con Arturo Carlo Jemolo), individua cause morali, non cerca fattori politici. Tanto più importanti risultano perciò le scelte e gli sforzi allora compiuti a Trieste da quegli uomini di politica e di cultura indotti dalla catastrofe incombente a misurarsi e a fare i conti con le problematiche della nazione e della democrazia assai più a fondo di quanto sia avvenuto nel resto d'Italia. L'insensibilità di gran parte della società civile italiana e della classe politica che ne è l'espressione rispetto ai valori fondanti della repubblica, la fragilità del loro sentire in questo campo verranno drammaticamente allo scoperto nella crisi del sistema politico che dagli anni novanta continua a protrarsi fino a oggi. ■ anna.millo®libero.it A. Millo insegna storia contemporanea all'Università di Bari Storia Costruzione per contrasto di Annalisa Capristo Michele Nani AI CONFINI DELLA NAZIONE Stampa e razzismo nell'Italia di fine Ottocento pp. 257, € 18,50, Carocci, Roma 2006 Il libro di Nani è un'opera piuttosto ambiziosa. L'autore si propone infatti due obiettivi impegnativi: da un lato, fornire una rilettura originale del processo di nazionalizzazione della società italiana, dall'altro, contribuire a ricostruire un capitolo della storia del razzismo italiano nel periodo postunitario. A differenza di quanto suggerito dal titolo, però, l'indagine non si estende a tutta la stampa italiana di fine Ottocento, ma a una parte di essa, benché molto significativa. Il case-study prescelto è la Torino di fine Ottocento, una Torino non più capitale, ma ancora rilevante sul piano politico e culturale, sede tra l'altro di una delle più importanti comunità ebraiche del regno. Come fonte vengono utilizzati due grandi filoni della stampa subalpina dell'epoca, il liberale e il cattolico, espressione rispettivamente della nazione "costituzionale" e di quella "reale" cattolica. Tranne alcuni accenni, non viene invece analizzata la stampa democratica, repubblicana, anarchica e socialista. L'auspicio che si può formulare è che l'esame venga esteso a livello nazionale e comprenda anche questi settori, in modo da avere davvero un panorama completo del dibattito su questi temi nella stampa di fine secolo. Con la sua ricerca Nani mira del resto a colmare una lacuna storiografica, analizzando il processo di nazionalizzazione della società italiana attraverso un paradigma interpretativo presente negli studi stranieri, ma ancora poco utilizzato da noi: la "nazionalizzazione per contrasto", ossia l'individuazione, nella dinamica del nation-building, di un nesso costitutivo fra l'elaborazione dell'idea di nazione e le figure dell'alterità, tra "noi" e "gli altri". La causa della mancata tematizzazione di questo nesso da parte della storiografia italiana viene ricondotta dall'autore alla persistenza dell'idea di un'assoluta peculiarità del nazionalismo italiano, dal profilo liberale e umanitario. Mentre Nani ritiene che persino sul terreno della cultura diffusa l'Italia partecipò appieno a questo processo. Nell'Italia postunitaria questa funzione identitaria per contrasto venne svolta principalmente da tre "controtipi": africani, meridionali ed ebrei. I primi due furono elaborati prevalentemente dalla stampa liberale, mentre l'antiebraismo fu preponderante in quella cattolica. Nei capitoli centrali del libro, Nani descrive l'origine e lo sviluppo dei primi stereotipi coloniali, la polemica sul Mezzogiorno con le sue radi-calizzazioni razziste e l'antisemitismo cattolico di fine secolo. Un'indagine simile, ma senza il riferimento agli ebrei, è stata condotta da una giovane studiosa americana, Aliza S. Wong, in un libro appena pubblicato da Palgrave-Macmillan (Race and the Nation in Liberal Italy, 1861-1911, 2006), anche questo - come quello di Nani - rielaborazione di un'eccellente tesi di dottorato discussa nel 2001. Il secondo obiettivo che l'autore si propone - in stretta correlazione con il primo - ha a che fare, come si diceva, con l'intento di sottolineare "la diffusa presenza di uno sguardo razzista nell'Ottocento italiano". Anche in questo caso, l'autore sceglie una prospettiva interpretativa che solo da alcuni anni ha cominciato a farsi strada nella riflessione storiografica nostrana, caratterizzata per lungo tempo dalla rimozione del tema del razzismo, come pure dell'antisemitismo. Nella costruzione della nazione attraverso le immagini dell'alterità, e in particolare nella definizione dei caratteri di neri, ebrei e meridionali, Nani evidenzia "la corposa presenza di slittamenti naturalistici" e di forme autenticamente razziste. Sebbene confermi un dato ormai storiograficamente accertato, ossia la presenza di un'aspra polemica antiebraica nella pubblicistica cattolica di fine secolo, il terzo capitolo merita alcune considerazioni specifiche. Innanzi tutto, per la mole di riferimenti antiebraici rinvenuta da Nani nelle pagine dei quotidiani e delle riviste cattoliche torinesi, che è davvero notevole. Un altro aspetto interessante è però soprattutto costituito dall'analisi della "sintesi nazional-cattolica" elaborata da questa pubblicistica, in alternativa alla nazionalizzazione liberale. Nani sottolinea il ruolo avuto dalla costruzione di un'immagine negativa di alcuni gruppi sociali nel rafforzamento dell'appartenenza alla "nazione cattolica"; in questo contesto gli ebrei rappresentavano non solo i nemici della fede, ma anche i nemici della patria. Il riconoscimento della rilevanza della funzione identitaria dell'antisemitismo per la stampa cattolica e, attraverso questa, di tanta parte dell'opinione pubblica italiana di fine secolo, offre interessanti spunti alla discussione circa la presunta "debolezza" dell'antiebraismo nell'Italia postunitaria; le tendenze antiebraiche, da questo punto di vista, appaiono infatti non come espressione dei limiti della nazionalizzazione, ma (per alcuni importanti settori della società italiana) come sue forme costitutive. ■ annalisacapristo@libero.it A. Capristo è bibliotecaria presso il Centro Studi Americani di Roma Alberto Capitta Il cielo nevica Alessandro De Roma pp. 352 14 euro Salvatore Niffoi Il viaggio degli inganni pp. 208 10 euro Salvatore Niffoi Il postino di Piracherfa Salvatore Niffoi Cristolu ÌH( Salvatore Niffoi J| La sesta ora li Rossana Copez Si chiama Violante Mariangela Sedda Oltremare Promozione e Distribuzione RCS Libri Milano