Dal mio diario di Valeria Rossi Pubblichiamo un brano tratto dal reportage di Valeria Rossi Dal mio diario che ha vinto il Premio Paola Biocca 2006-2007 (VII edizione) 6 maggio In Africa i peccati del mondo sono sotto i tuoi occhi, comprensibili e palesi in tutta la loro vergogna, e la capacità di questa gente di non indignarsi e di rispettare la realtà così come si presenta te ne fa sentire ancora più il peso, l'abominevole offesa. Di un continente ferito nella sua percezione più sacra, la vita. (...) 21 maggio (...) La malaria è qualcosa che non conosciamo a fondo, è multiforme, non sempre riconoscibile, rimane latente nel corpo per molti giorni e a volte si manifesta con un semplice mal di testa altre con vomito, diarrea, paralisi delle articolazioni. Ho preso la malaria per la prima volta circa due settimane fa, e ho percepito qualcosa di strano qualche sera prima che si manifestasse, prima di addormentarmi, come un rimescolamento del cervello, vorticoso e incontrollato, i pensieri sembravano sbattere l'uno contro l'altro come impazziti, un freddo gelido improvviso e breve, lo potrei ora riconoscere fra mille sensazioni di freddo, mi percorreva velocemente le spalle e la schiena. È stato per pochi secondi, per fortuna ho avuto una malaria leggera, che mi ha steso per un giorno, con forti dolori alle caviglie e ai polsi e vomito, ma mi ha consentito persino di viaggiare (sono andata in Kenya per qualche giorno), malaria subito ripresa dopo le prime pillole, solo un senso di debolezza alle gambe e un po' di stanchezza. La malaria noi wazungu la conosciamo, ma non la temiamo fino in fondo, come gli africani che ne conoscono la ferocia e la subdola ingannevolezza. La malaria l'abbiamo vista in diverse forme, e spesso ne ridiamo, noi abbiamo un cartellone appeso in cucina per segnare le malarie prese che appuntiamo con la crocetta. La malaria qui uccide tante persone, soprattutto quelle dei villaggi, che non possono raggiungere gli ospedali, o i bambini, che muoiono ogni anno a migliaia, quelli che non riescono a sviluppare gli anticorpi, o sviluppano un'anemia irreversibile. L'altro giorno sul ciglio della strada, a poca distanza dal mio villaggio, abbiamo raccolto una ragazzina, che tremava e si contorceva, la madre le sedeva accanto immobile, impassibile, aspettando una macchina che la conducesse all'ospedale. A quell'ora del giorno, era pomeriggio inoltrato, avrebbe rischiato di passare più di una notte ad aspettare, sull'orlo della strada, impassibile. (...) E adesso questa natura dolce mi sembra d'un tratto ostile. Io non sono niente. Antonella sta bene, già alla prima flebo di chinino si è ripresa. Ci hanno dato una stanza privilegiata, che dà sul campanile della cattedrale, due letti e bagno in camera, siamo sempre wazungu, anche nella nostra condizione di malati. L'essere malato in ospedale, o semplicemente l'assistere un malato, diventa qui un fatto che ci accomuna, quando ci vedono camminare per i corridoi, la donne mi fermano e mi chiedono chi sto assistendo, se sono io la malata, notizie della malata ecc. Questo condividere le stesse malattie è poi motivo di sorpresa, come se la nostra pelle bianca fosse esente dalla corruzione e dai batteri. L'essere malato in Africa è una condizione dell'esistenza, a cui ci si avvicina con la naturalezza di un percorso inevitabile, e il fatto di vivere con loro questa stessa condizione dell'esistenza, pur nelle nostre stanze a quattro stelle, per loro è l'atto più estremo di comunione, il disgregarsi delle barriere. E ancora Antonella si è sentita ri- petere più volte "pole unaumua, dada yangu", mi dispiace che soffri sorella mia. 4 giugno (...) Gli eventi mi hanno travolto e ho passato un periodo di tensione e nervosismo, dovuto alle difficoltà del lavoro, alla mia consapevolezza dell'impenetrabilità di una realtà che invece vorrei possedere in maniera quasi smaniosa, ossessiva, ma questo fa sempre parte del mal d'Africa, che ti prende alle caviglie e ti trascina sempre più giù, verso l'ombelico vorticoso della tua origine. E tutto quello che potrebbe risultare incomprensibile, a volte impenetrabile, ti infastidisce come un incubo notturno che bussa alla finestra con un ticchettio ossessivo, simile ai tamburi locali che stordiscono i sensi nel ritmo reiterato in cui la successione del pensiero si perde e il sillogismo aristotelico è pensiero più profano... Così ho provato a ballare le danze locali, i tamburi ngoni, sono danze di corteggiamento in cui gli uomini formano un cerchio intorno ai tamburi, che suonano ritmi che si ripetono ossessivi per ore, e i canti sono gorgheggi come ululati scoordinati che accompagnano il ritmo dei tamburi con la stessa tediosa obnubilata cadenza. Entrare nel vortice delle danze è pericoloso e fisicamente eccitante allo stesso tempo, gli uomini accolgono la tua partecipazione come una disponibilità all'accoppiamento e i loro movimenti continui, i colori variopinti, la forza dei muscoli che si muovono all'unisono nell'orgasmo collettivo della comunità che segue la ritualità dei gesti ripetuti con sacrale attenzione mi imbarazza, mi spaventa, mi offende a volte nella sua violenta esplosione. Vorrei scappare, ma non riesco a distogliere l'orecchio dalla musica che mi ipnotizza per ore, e l'attrazione che esercita su di me sembra scaturire dalla mia incapacità di comprendere fino in fondo il significato di questi riti tribali... la mia distanza è segnata dalla mia volontà di dare un nome al vortice, presuntuosamente lo vorrei analizzare, distillare nelle sue componenti essenziali, ma è un peccato mortale volerle separare. La lettura è un'arte Imparare la tecnica è facile! Campagna abbonamenti 2007 Se ti abboni nel nuovo anno risparmi comunque Se ne regali uno a un amico il tuo abbonamento è scontato del 50% (€51,50 + 25,00) Se acquisti 3 abbonamenti il tuo è gratis (€ 51^50 + 51,50) Se acquisti un abbonamento e il CD spendi € 70,00 Per acquistare il CD ROM e per abbonarsi: tel. 011-6689823 - fax. 011-6699082 abbonamenti@lindice.com Il comunicato della giuria La giuria sceglie di premiare Dal mio diario di Valeria Rossi, testimonianza appassionata e fin dal titolo dichiaratamente soggettiva, per aver offerto un'occasione di leggere un racconto vissuto in prima persona e scritto con immediatezza e sensibilità sulla Tanzania, uno dei molti paesi africani che sembrano essere usciti dalla storia. Senza indulgere nell'esotismo, l'autrice ha saputo restituire con onestà e sincera partecipazione il modo di pensare e di vivere dei villaggi africani, senza arretrare di fronte alle profonde differenze nel modo di percepire la realtà, i rapporti, le fasi della vita. Si avverte la fatica di adattarsi a costumi tanto diversi, ma anche la curiosità, il rispetto e la disponibilità a penetrare nella visione del mondo dei suoi interlocutori. Tenero, sensuale, ironico e autoironico, il diario africano di Valeria Rossi racconta un'alterità, rivelando con candore e sorpresa anche la fascinazione e la paura, l'estraneità e l'attrazione, che alla sua scoperta si sono accompagnate. La giuria: Vinicio Albanesi, Maurizio Chierici, Delia Frigessi, Filippo La Porta, Gad Lerner, Maria Nadotti, Maria Pace Ottieri. Fra i testi pervenuti, il comitato di lettura -Sylvie Accornero, Melita Cataldi, Piero de Gennaro - ha segnalato alla giuria: Una notte in galera con chi sogna l'America di Alessandro Armato, Siria, viaggio in un paese niente affatto "canaglia" di Emiliano Bos, L'esodo a ritroso dei clandestini del Sahel di Stefano Liberti, "Il chiodo sotto il cuscino". Viaggio nella sanità italiana che cura il dolore migratorio di Francesca Lozi-to, Casa, amara casa di Michele Maino. . fy'Y/- Ari. a tV .Mf-