In primo piano Una riflessione, su basi non solo economiche ma anche culturali e linguistiche, per collocare il cosidetto "miracolo cinese" all'interno di un quadro storico più articolato rispetto al sensazionalismo tanto diffuso che ne coglie soltanto gli aspetti macroscopici. Creatività nazionale di Stefania Stafutti L'attenzione dedicata dalla stampa e dall'editoria italia- na alla Cina in questi ultimi due anni certamente non ha prece- denti, anche se colpisce, talvolta, il tono di sensazione con cui si re- gistra che la Cina si è "affacciata sul mondo": sono oramai venti- cinque anni almeno che la Cina si è affacciata sul mondo (il sinolo- go Guido Samarani, che sta stu- diando i carteggi dell'Eni, ci informa che, già negli anni cin- quanta, un uomo accorto come Enrico Mattei aveva previsto con grande lucidità quanto sta oggi accadendo). Che la Cina sia sulla scena mondiale da un bel po' gli Stati Uniti lo sanno bene, ma lo sanno anche i paesi europei, che almeno quindici anni fa hanno adottato una sistematica politica di accoglienza di studenti cinesi nelle proprie università, e pure gli imprenditori italiani, che per primi andarono in Cina già all'i- nizio degli anni ottanta: non tutti ebbero fortuna, ma alcuni si inse- diarono stabilmente sul territorio cinese. Altri realizzarono guada- gni enormi comperando a prezzi stracciati materie prime di gran- de pregio, si pensi al cachemire, e, mentre oggi il settore tessile patisce la concorrenza cinese per ragioni molto più "europee" che cinesi (i grandi proventi nell'im- portazione del tessile vanno in misura assai più cospicua a van- taggio del comparto della distri- buzione europea che del vendito- re cinese), viene comunque da chiedersi dove siano andati quei proventi e quanta parte di essi siano stati investiti in ricerca e nuova tecnologia. Vorrei porre perciò la questio- ne in altri termini: che cosa dobbiamo augurarci che accada nella Cina dei prossimi decenni? L'interrogativo non è retorico e ci riguarda molto da vicino. Per ten- tare una risposta credo che si deb- ba partire da mia constatazione forse scomoda, ma necessaria: la storia non passa più da qui. Non solo l'Italia, ma l'Europa nel suo complesso ha probabilmente esaurito ogni possibilità di gioca- re un ruolo da protagonista sullo scenario mondiale, certamente in termini economici, forse meno in termini geopolitici, anche se l'am- bito di influenza europeo è a mio avviso molto particolare e an- drebbe valutato con grande atten zione. Il vecchio continente è, ap- punto, oramai vecchio. Vecchio, non da rottamare. Probabilmente non può più dettare condizioni, almeno non può competere in termini di peso economico; pure, ha un patrimonio di cultura e di civiltà che interessa i cinesi e su- scita la loro curiosità e il loro ri- spetto assai più di quanto si im- magini: una classe medio-alta col- ta e consapevole subisce assai me- no l'influenza del modello ameri- cano di quanto in genere si creda. Studiosi, giuristi, politologi cinesi studiano con grande interesse il modello "federalista" europeo, mostrando di crederci talvolta più di quanto la stessa Europa ci cre- da. L'Europa, che non si presenta • come "gendarme del mondo", ha certamente le carte più in regola, nella percezione dei cinesi, per di- scutere anche di questioni scabro- se come i diritti, le libertà indivi- duali, la costruzione di istituzioni più democratiche. Mi soffermo su questo perché mi colpisce, nella pubblicistica italiana dedicata alla Cina, anche in saggi interessanti e certamente accattivanti come II secolo cinese o i più recenti volumi di Rampini, un atteggiamento di fondo che è molto simile a quello che contras- segna la pubblicistica americana, e che anzi spesso a quella pubbli- cistica si richiama per trarre ulte- riore autorevolezza. Ma noi non siamo l'America e potremmo guardare alla Cina con occhi di- versi. Il tono con cui si descrive la Cina è sempre allarmato, preoc- cupato, teso a mostrarne le enor- mi (e reali) contraddizioni. Tutto questo è utile e legitti- mo, ma non basta. Può esse- re utile l'invito a visitare i vecchi vicoli di Shanghai prima che scompaiono inghiottiti dai gratta- cieli, ma è giusto anche dire dello sforzo fatto da quella municipa- lità per riconsiderare proprio l'ar- chitettura dei vicoli (simbolo tra l'altro di un'esplosione edilizia av- venuta nella enclave straniera di Shanghai tra gli anni dieci e gli an- ni trenta del secolo scorso e per questo assai a lungo guardata co- me un odioso retaggio di un re- cente passaggio semi-coloniale - perché i simboli contano, e non solo per noi!). Certo, molto è sta- to distrutto, ma oggi su molti di quei vicoli è comparsa la targa che segnala le "architetture protette" della città. Non basta, certamen- te, ma non è vero che nulla acca- de. Ho scelto un esempio del tut- to marginale, tra i molti, moltissi- mi, che Rampini e non solo lui fanno. Ha ragione Renata Pisu nel suo Cina. Il drago rampante a parlare di "sacco di Pechino", ma lei stessa ricorda che la distruzio- ne sistematica della città vecchia era in opera assai prima che par- tissero i grandi cantieri delle Olimpiadi: ciò che mosse Mao, nel '49, era l'idea di dare un allog- gio con minimi servizi igienici de- centi a una popolazione che vive- va in case costruite con mattoni di fango. Gli hutong (i rari sopravis- suti) sono certamente "pittore- schi": ma quanti di noi ci vivreb- bero, tra scaràfaggi grandi come topi e topi grandi come gatti, sen- za servizi igienici. Certo, qua e là, al loro interno, alcune vecchie ca- se di ricchi funzionari sono state splendidamente restaurate: ma chi può permettersi una magione che si stende su qualche centinaio di metri quadri e si eleva per uno, al massimo due piani? Certamente qualcosa di meglio si poteva fare, ma non va neanche dimenticato che la cultura del re- stauro era in sé assente dall'oriz- zonte culturale cinese. E se è vero che le ciminiere delle acciaierie di Shougan, verso le colline occiden- tali, sono oggi praticamente in città, forse non ha senso tacciare di "somma incongruenza gli ur- banisti di Mao, il quale voleva che la città fosse una giungla di cimi- niere". Ma dov'è costruito, inve- ce, il Lingotto? Dove le Ferriere? Non è, la mia, una difesa giocata con un modulo contrappuntisti- co, anzi, non è affatto una difesa: i problemi della Cina sono enor- mi, gli squilibri che questo svilup- po smisurato produrrà sul piano sociale, ambientale, culturale, umano e individuale, sono certa- mente gravi. Ma la Cina lo sa e, pur se in misura non ancora suffi- ciente, ci sta pensando. E la classe dirigente sta anche introducendo elementi nuovi nei propri mecca- nismi di comunicazione con le masse; ne parla assai bene Liu Kang, nell'interessantissimo volu- me Globalization and cultural trends in China (University of Hawai Press, 2004): se nuove pa- role d'ordine che richiamano alla costruzione di un minzu hun (spi- rito nazionale) potrebbero evoca- re in qualcuno tentazioni nazio- nalistiche, sarà bene ricordare che la parola hun, spirito, era del tut- to bandita dal lessico politico fino agli anni ottanta. Ecco, studiando il linguaggio, si ha la sensazione che la consapevolezza che l'indi- viduo ha proprie irrinunciabili esigenze stia lentamente emergen- do anche nella classe politica (mai si erano visti slogan che lodavano "lo spirito nazionale che si espri- me nella creatività", come quello che campeggiava in centro a Shanghai nei primi anni del XXI secolo): l'Europa potrebbe avere un ruolo molto importante in questo processo di "riposiziona- mento" dell'individuo. Questo avrebbe più senso che fare solo le pulci al gigante sgangherato, in molti già lo fanno. ■ Stefania.stafuttiSunito.it S. Stafutti insegna lingua e letteratura cinese all'Università di Torino Sempre più vicina di me I Libri Stefano Cammelli, Ombre ci- nesi. Indagine su una civiltà che volle farsi nazione, pp. 266, € 16,50, Einaudi, Torino 2006. Laura De Giorgi, Guido Sa- marani, La Cina attraverso la storia. I tempi, gli spazi, le fon- ti, pp. 200, € 15,60, Carocci, Roma, 2005. Liu Kang, Globalization and cultural trends in China, pp. 238, € 25,01, University of Hawai Press, 2004. Renata Pisu, Cina. Il drago rampante, pp. 290, € 16, Sper- ling & Kupfer, Milano 2006. Federico Rampini, Il secolo cinese. Storie di uomini, città e denaro, dalla fabbrica del mon- do, pp. 350, € 8,40, Mondado- ri, Milano 2006. Federico Rampini, L'impero di Cindia, pp. 372, € 15, Mon- dadori, Milano 2006. Federico Rampini, L'ombra di Mao. Sulle tracce del grande ti- moniere per capire il presente di Cina, Tibet, Corea del Nord e fu- turo del mondo, pp. 292, € 15, Mondadori, Milano 2006. Francesco Sisci, Chi ha paura della Cina, pp. 262, € 13,50, Ponte alle Grazie, Milano 2006. Che la Cina sia finalmente arrivata, chiuso il lungo tempo nel quale era soltanto "vicina", può testimoniarlo an- che il fitto elenco di testi di si- nologi che in questi ultimi mesi vanno affollando gli scaffali del- le nostre librerie e si preparano a essere, legittimamente, la grande abbuffata del Natale. Son passati ormai sette anni da quando, per la prima volta, un documento ufficiale americano definì Pechino un "competi- tor", non più un "partner", san- cendo un profondo mutamento di scenario nella gestione del governo del pianeta. Di seguito, come sempre accade quando i think-tank elaborano teorie e analisi di forte carica innovati- va, questo "arrivo" dell'Impero di Mezzo venne registrato am- piamente nella letteratura poli- tica internazionale: Amazon da anni è una vetrina della dovizia di offerte che il mercato di lin- gua inglese propone agli studio- si di economia e di geostrategie, per non dire della notevole pro- duzione di scrittori tradotti e dell'ampio catalogo per i viag- giatori curiosi d'itinerari non frequentatissimi. La nostra edi- toria si aggiunge ora con qualche significativo ritardo (un "clic" su Ibs ci apre un buon orizzonte di lettura), e però il pannello delle proposte recupera la pigrizia, combinando la qualità dell'in- tervento con una diffusa varietà di scelte possibili. Non potrebbe essere altrimen- ti, considerato che il consumo di "cinesismo" si distende ormai lungo un arco d'interessi dove la scoperta di un mondo nuovo ha superato l'impatto delle prime aperture, delle curiosità distrat- te, superficiali, e muove oggi verso itinerari cognitivi che van- no dal soddisfacimento della quotidianità anche la più corriva (negli stessi Stati Uniti i prodotti cinesi sono ormai il 50 per cento dell'importazione dei beni di consumo, e c'è davvero tutto, i computer e le canottiere) fino al- l'ideazione di piani industriali e di politiche finanziarie che coin- volgono i più importanti sogget- ti dell'economia mondiale. Na- turalmente, il livello di consape- volezza non registra ancora una medianità forte, consolidata da informazioni ed elaborazioni se- dimentate nel tempo; ma il fall- out della crescente presenza di "Cina" in ogni processo che coinvolga un dibattito sulle pro- spettive del pianeta, e sul futuro stesso delle nostre società, va contaminando progressivamente il terreno della discussione e ra- dica nell'immaginario un nuovo senso comune. Di questa rottura (Sisci para- gona ripetutamente L'arrivo" oggi della Cina alla rivoluzione, culturale, economica, politica, che comportò la scoperta delle Indie, dopo lo sbarco di Colom- bo) si fanno interpreti un po' tutti gli autori dei volumi qui segnalati, consapevoli che non è sufficiente imparare a conosce- re "un paese" lontano e diverso, ma occorre riconoscere nella Cina uno straordinario motore di accelerazione dei processi economici ma, soprattutto, un fattore di profonda mutazione nella nostra stessa identità. L'integrazione tra due mondi - l'Occidente e la Cina -, dichia- rano gli autori, ma è poi il dato comune di chiunque si avvicini a studiare il processo in atto, non è soltanto la contaminazione di due realtà, diverse e tuttavia col- locate all'interno di una gerar- chia complessiva che conferma all'Occidente la sua capacità di conoscere e poi assorbire "l'al- tro"; questa integrazione sarà differente, perché dovrà com- portare il riconoscimento, da parte dell'Occidente, della forza gigantesca che esprime quel mondo (il miliardo e mezzo d'a- bitanti e la macchina produttiva dirompente d'ogni equilibrio): la consapevolezza e l'orgoglio della sua identità (una storia vis- suta sempre come il paese che pensa d'essere il centro dell'uni- verso) resisteranno a ogni assor- bimento e, anzi, proietteranno su di noi quella storia, costrin- gendoci a riconoscerla e a rispet- tarla nella sua alterità. Naturalmente, da questo sfondo comune i nostri au- tori si muovono poi con la speci- ficità dell'ottica che ciascuno sceglie, sulla base delle rispettive competenze, delle esperienze vissute, del rapporto instaurato nel tempo con la Cina. Tutti, in- fatti, hanno avuto, e hanno tut- tora, frequentazioni intense con quel paese, lungo itinerari che davvero non hanno nulla a che spartire con quanto si scrisse e si lesse sulla Cina ai tempi della Ri- voluzione culturale e dell'inna- moramento ideologico che tra- volse molte aree della sinistra di classe negli anni settanta. Alcuni percorsi di lettura pos- sono essere segnalati, comun- que, come guida di una scelta tra le diversità. Rampini traccia un disegno molto raffinato, e accu- rato, che inquadra la Cina d'og- gi nelle sue relazioni con l'altro gigante asiatico, l'India, e (nel secondo volume) con i riflessi che l'eredità che Mao Zedong ha imposto ai processi della moder- nizzazione. Sisci, che a Pechino vive da anni e vi è stato direttore dell'Istituto italiano di cultura, accompagna la sua analisi con un'attenzione critica, quasi pe- dagogica, dei rapporti che l'Ita- lia e l'Europa dovrebbero saper impiantare con quel sistema- paese. Cammelli dispiega un'au- tentica mappa, sociale, politica, culturale, della Cina, seguendo- ne attentamente la storia nel suo costruirsi attraverso il tempo. Pi- su, infine, compone una narra- zione dove l'amore per la Cina e per i cinesi si manifesta attraver- so un percorso che si legge come un reportage di grande vigore espressivo, colto, ricco di intui- zioni e notazioni, sempre origi- nale. ■